La prima Stella Michelin per il Ristorante Carignano arriva nello stesso anno in cui anche l’Hotel dal quale dipende, il Grande Hotel Sitea a Torino, ha visto coronare la sua lunga storia con l’agognata quinta Stella. Il 2018 è, dunque, un anno da ricordare, anche se il riconoscimento giunto al Carignano è solo un punto di partenza, come ci conferma lo Chef de Cuisine Marco Miglioli, fortemente voluto dall’Executive Chef Fabrizio Tesse, con il quale Miglioli ha già lavorato in precedenza.
La giovane promessa del Carignano arriva a Torino dopo una lunga esperienza:”Conseguito il diploma all’Istituto Alberghiero, ho avuto il privilegio di andare a lavorare a Villa Crespi , dello Chef Antonino Cannavaciuolo, per 2 anni, per passare poi al ristorante Trussardi di Milano, per un anno”. Mignoli vola poi anche a Londra, a Montecarlo e a Dubai. Nonostante tutte le brillanti esperienze all’estero, il suo cuore e la sua anima appartengono a quei ricordi da bambino, che ancora oggi sono la sua “Stella Polare” in cucina: “Provengo da un famiglia in cui il buon cibo, possibilmente a km 0, è stato sempre l’elemento più importante. Non è un caso che al mattino, la spesa l’andiamo a fare al mercato giornaliero a Porta Palazzo, a Torino, preferendo anche prodotti di nicchia.” Marco Miglioli, l’aria della cucina l’ha respirata sin da adolescente: “Avevo 13 anni e aiutavo la nonna al bar nel preparare i caffè”.
Il giovane chef è poi riuscito a volare in alto “Non solo grazie alla passione, ma anche ad un pizzico di fortuna e al fatto di essere, come si suol dire, al posto giusto nel momento giusto”.
Presso il Ristorante Carignano, che ha appena cinque tavoli ed è aperto a cena, la parola d’ordine è:” Tradizione e innovazione. Rispettiamo, infatti, le tecniche basilari delle nostra migliori tradizioni, cercando di aggiungere, ovviamente, qualcosa di noi”.
La prima Stella Michelin:“Viene assegnata sulla base di un insieme di elementi, quali la location, la cantina, il servizio. Questo ambito riconoscimento ci ha cambiato mentalmente perché si riparte verso nuovi traguardi. Questa stella è solo una partenza”.
Sino al 19 gennaio 2019 è possibile regalarsi una visita a quello che, ormai, è diventato non solo l’appuntamento “simbolo” del Natale torinese, ma un vero e proprio “Museo d’Arte all’aperto”. Quest’anno Luci d’Artista ha raggiunto il traguardo dei 20 anni, durante i quali sono cambiati i vertici amministrativi della città, ma ciò che è sempre rimasta fedele a se stessa è l’essenza dell’evento, un “biglietto da visita” della regale Torino. Impreziosite dalle luci artistiche non solo le piazze e le vie del centro storico, ma anche le circoscrizioni e le zone più lontane dagli eleganti palazzi e luoghi che parlano della lunga storia italiana. Cosa è cambiato durante gli anni e cosa è rimasto lo stesso in quest’ evento, ce lo dice l’Assessore alla Cultura del Comune di Torino, Francesca Paola Leon, la quale, gentilmente, ci ha dedicato un po’ del suo tempo per realizzare quest’ intervista.
“Luci d’Artista continua ad essere un esempio virtuoso di intervento artistico-culturale nello spazio pubblico, fuori dalle tradizionali sedi espositive.Il progetto, alla sua XXI^ edizione, nasce come “museo a cielo aperto” circoscritto al Centro Storico, con l’obiettivo di diffondere – attraverso le opere luminose realizzate da artisti di fama internazionale – i linguaggi dell’arte contemporanea e di valorizzare il patrimonio dei beni artistici e storici della Città.
Questo progetto – imitato in Italia e all’estero – ha consentito la massima accessibilità e fruibilità ai cittadini ed è diventato un elemento forte attrazione turistica.
Questa Amministrazione dal 2017 – in occasione del ventennale di Luci d’Artista – ha voluto portare le Luci anche sul resto del territorio urbano, prevedendo l’istallazione di almeno un’opera per ogni Circoscrizione. Si, ogni anno, attraverso la collocazione delle opere temporanee in luoghi diversi e significativi della Città (almeno una per circoscrizione), ci si prefigge l’obiettivo di valorizzarle, di farle conoscere ad un pubblico più ampio e di creare altresì attesa e curiosità: un modo per rendere più accessibili i linguaggi dell’arte contemporanea.
Alle finalità consolidate negli anni, si è aggiunto quindi l’obiettivo di offrire anche ai residenti in altri contesti urbani – ad di fuori del centro storico – la possibilità di fruire delle opere del patrimonio di Luci, valorizzando altri luoghi ritenuti significativi, attraverso un percorso partecipato che ha condotto alla individuazione dei luoghi dove collocare le Luci d’Artista.
La Città quest’anno ha anche avviato, in una delle circoscrizioni che ospita un’opera di Luci, una sperimentazione: un’azione che è stata realizzata con la partecipazione attiva dei cittadini e delle realtà pubbliche e private operanti nel quartiere (scuole, associazioni, enti,…; realizzando, attorno all’installazione dell’opera, alcuni progetti educativi rivolti a studenti ed insegnati delle scuole dell’obbligo.
Oltre alle 23 Luci d’Artista “storiche”, vi sono altre opere luminose realizzate da associazioni, privati ed enti, che arricchiscono l’offerta al pubblico”.
L’inaugurazione di “Luci d’Artista” 2018 è avvenuta il 31 ottobre scorso nel cortile della Scuola Elementare Carlo Collodi e sono state recitate fiabe e filastrocche di Gianni Rodari. L’evento è diventato così, nel corso degli anni, davvero di tutti: dai bambini agli artisti internazionali, dai cittadini di Torino ai turisti, così come ci conferma l’Assessore Leon
“Certo, Luci d’Artista è un evento di “tutti e per tutti”.
Dando seguito ad uno dei punti qualificanti del Programma di questa Amministrazione, l’Assessorato alla Cultura ha ritenuto indispensabile che la scelta dei luoghi, in cui posizionare le opere, fosse condivisa con i cittadini e con tutti i rappresentanti delle Circoscrizioni.
Successivamente, al fine di far conoscere in modo stimolante le opere di Luci d’Artista e altre opere d’arte contemporanea presenti nel territorio urbano, che costituiscono parte significativa del suo patrimonio artistico e culturale, la Città con la Circoscrizione 8 – per la prima volta – ha sperimentato in collaborazione con il Dipartimento Educazione della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e il PAV – Parco Arte Vivente il progetto educativo-artistico-culturale “Incontri illuminanti con l’arte contemporanea” rivolto a insegnanti, studenti e famiglie, coinvolgendo più di 30 classi”.
Ormai Luci d’Artista non è solo il modo in cui la prima capitale d’Italia festeggia le festività natalizie, ma anche una cartolina del tutto particolare che ciascuno può portarsi via con sé, dopo essere stato accolto, abbracciato, coccolato da questo spettacolo di luci e di magia. Chiedo all’Assessore Leon quante siano state le persone accorse lo scorso anno:
“ Luci d’Artista, che inaugura il mese dell’arte contemporanea nella nostra città, fa parte dell’offerta culturale in un momento in cui gli eventi cittadini ruotano attorno ai grandi eventi legati all’arte contemporanea e alle Fiere, tra le quali la prestigiosa Artissima contornata dalle fiere satellite come FlashBack, The Others, Paratissima, Dama, solo per citarne alcune. da Non siamo in possesso di dati certi. Da Turismo Torino e Provincia sappiamo però che nell’edizione 2017-2018 hanno partecipato 7.500 persone allo Special Tour Luci d’Artista da loro organizzato”.
Luci d’Artista non sono soltanto luminarie natalizie, dunque, ma molto di più :”
“Luci d’Artista è una manifestazione apprezzata in Italia e all’estero e, per questo, diventata elemento caratterizzante dell’offerta culturale della Città. Offre a cittadini e turisti scenari artistici inediti nello spazio pubblico. E’ inoltre un’occasione per rendere più accessibile l’arte contemporanea e i suoi linguaggi ai cittadini (delle diverse età) nei luoghi della vita quotidiana. Le luci d’Artista sono a disposizione di tutti i cittadini e dei turisti. I dati sulle presenze nel mese di novembre ci dicono di un incremento dell’8,7% di turisti rispetto allo stesso mese nel 2017”.
Torino rimane sempre la prima capitale d’Italia: regale, di una bellezza che incute un timore reverenziale. E’ per questo motivo che, rispetto ad altre città, le luci installate sono comunque di classe e meno appariscenti?
“Non sono d’accordo, nel giudicarle “meno appariscenti” di altre. Basti pensare ad esempio a “Vento solare di Luigi Nervo” o a “Piccoli Spiriti Blu” di Rebecca Horn …
Il nostro evento è semplicemente diverso dagli altri, perché le opere sono ideate da artisti di fama internazionale scelti dai direttori artistici di due musei d’arte contemporanea di eccellenza come la GAM e il Castello di Rivoli: non sono solo significative dal punto di vista estetico, dietro alla loro creazione vi è sempre una corrente artistica, un concetto, un messaggio che l’artista consegna alla Città.
La scelta del progetto Luci d’Artista di Torino privilegia alla dimensione “evento temporaneo appariscente” la capacità delle opere luminose di essere fruibili in un tempo più lungo e di diventare così parte caratterizzante del paesaggio urbano”.
Torino, dunque, si presenta così: ricca di luci che ti fanno camminare a testa in su per non perderti lo spettacolo di queste opere d’arte. Illuminate lo sono non soltanto le magnifiche piazze, i corsi centrali, la Mole, ma anche il grattacielo. Chiedo all’Assessore Leon se questa scelta sia un modo per far capire che Torino è sia storia che modernità.
“L’arte contemporanea, come tutte le arti e correnti artistiche, ha le sue radici nella storia: l’Opera di Maurizio Nannucci, sulla facciata della GAM “All art has been contemporary” esprime un concetto fondamentale: tutte le arti del passato sono state arti contemporanee nel momento della loro espressione. E’ interessante che anche soggetti privati come Intesa-San Paolo vogliano concorrere ad ampliare l’offerta del patrimonio di Luci d’Artista della Città arricchendo la manifestazione cittadina con nuove opere artistiche luminose come “α-cromative” di Migliore+Servetto Architects sul grattacielo progettato da Renzo Piano.
ARTE, dunque: due consonanti e due vocali che sembrano essere diventate essenziali per l’organizzazione, ogni anno, di Luci d’Artista, come ci conferma l’Assessore Leon: “Luci d’Artista è un museo d’arte all’aperto, ma non certo esaustivo: perché l’arte come le altre forme espressive può essere comunicata in innumerevoli modalità, tante quante sono gli artisti che possono essere invitati a collaborare a questo o ad altri progetti.
Un lavoro, dunque, quello che conduce la città di Torino a Natale, che inizia molto tempo prima e che richiede un grande impegno, come ci conferma l’Assessore alla Cultura: “Per visionare, valutare e selezionare con competenza gli artisti più idonei a produrre nuove opere volte ad arricchire il patrimonio di Luci d’Artista è indispensabile avere un’approfondita conoscenza dell’arte contemporanea a livello internazionale. Per questo motivo nell’eventualità di nuovi allestimenti di nuove opere, da inserire nel patrimonio permanente di Luci d’Artista, la selezione dell’artista e del progetto viene effettuata dalla Direzione del Castello di Rivoli e dalla Direzione della GAM della Fondazione Torino Musei, di concerto con la Città di Torino. Una scelta confermata da una valutazione di fattibilità da parte dei consolidati partner tecnici del progetto Luci: IREN e Fondazione Teatro Regio Torino.
Ogni artista, con la sua opera esprime “unicità”, utilizzando la luce, interpreta in modo personale la realtà collegandosi con i diversi linguaggi del contemporaneo”
Luci d’Artista: è arte e cos’altro per Torino?
“Pensando a questo evento lo si associa all’arte, al turismo e alla promozione della Città: per la sua inaugurazione a fine ottobre come evento di avvio del programma dello Speciale Autunno ContemporaryArt Torino+Piemnte e nel periodo nelle feste natalizie), però è diventato anche un momento per promuovere partecipazione comunitaria, coinvolgendo dei cittadini e dei soggetti pubblici e privati dei diversi territori e anche strumento per promuovere percorsi educativi-artistici-culturali, di avvicinamento ai linguaggi e alle produzioni dell’artecontemporanea.”
In ogni angolo della regale Torino, dunque, si possono ammirare queste opere d’arte di luce: a piazza Carignano ad attenderci sono le Cosmometrie, opera di Mario Airò, ispirati da quarantadue disegni di Giordano Bruno, proiettati sulla pavimentazione della piazza stessa. In Via Giulia di Barolo ci attende “Ancora una volta”,opera di Valerio Berruti, ispirata alla tecnica di video animazione: infatti i 10 fotogrammi dell’opera luminosa si relazionano con lo spazio sottostante. A Piazza Palazzo di Città si cammina sotto un pergolato di luci, opera di Daniel Buren. Anche le Gallerie della città, Umberto I e San Federico sono impreziosite, rispettivamente, da creazioni di Marco Gastini e Piero Gilardi. Mentre in via Carlo Alberto si cammina leggendo una poesia scritta da Giudo Quarzo, che si compone, passo dopo passo, in colori diversi tante sono le strofe che la compongono, grazie alla maestra di Luigi Mainolfi. Il simbolo di Torino, la Mole Antonelliana, è illuminata da “Il volo dei numeri”: una lunga sequenza in cui ogni cifra è la somma delle due precedenti: è la serie di Fibonacci, rivista in chiave artistica da Mario Merz.
Napoli è così: sospesa, come lei sa fare, tra “sacro” e profano” e questa fusione tra due facce della stessa medaglia, è visibile ovunque poggi lo sguardo. E così, in uno dei tanti vicoli, puoi trovare la statua della Madonnina, oggetto di devozione “sacra”, gelosamente custodita in un’edicola ornata di fiori, e poi, qualche metro più in là, decine e decine di persone con i numeri da giocare, per la devozione “profana” che il popolo di Napoli ha per il lotto. E poi c’è il “sacro” rito del pranzo domenicale, con il famoso “rrau’ ch’adda ppippià”, e il “profano” strett-food che coinvolge tutti: bambini, adolescenti, giovani, anziani…perché mangiare in strada il famoso “cuopp” di terra o di mare, la pizza a portafoglio, la sfogliatella, non è placare lo stomaco, ma fare un regalo all’ anima.
E poi, ancora, c’è il “sacro” delle vie dello shopping elegante e della movida, e il “profano” dei “vasci” nei Quartieri Spagnoli…
In questa perfetta mistura s’inserisce anche la storia singolare del “Chiaja Hotel de Charme”, situato nell’omonima via di Napoli. E così, in un “sacro” palazzo nobiliare del 1700, il palazzo Giroux, l’intero primo piano ha visto fondersi un appartamento appartenuto al Marchese Lecaldano Sasso la Terza con il “profano” di una ex casa di tolleranza chiusa con la legge Merlin. Ma entriamo insieme in questo stabile: ad accoglierci c’è un maestoso portone che, di sera, viene chiuso e il cui accesso è consentito da una porticina ricavata all’interno del portone stesso. Nel cortile d’ingresso c’è ancora il portinaio nella sua stanzetta e, dopo essere saliti sulla scala in stile vanvitelliano, si accede nell’ albergo, nato nel 2001 proprio da una commistione, appunto, di “sacro” e di “profano”.
Gli ospiti di quest’albergo possono, così, trovarsi immersi in due atmosfere completamente diverse tra loro ma che i proprietari hanno saputo fondere. Alcune camere si trovano, infatti, nell’antica Casa Lecaldano Sasso la Terza, che fu abitata tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 proprio dal Marchese Nicola, altre, invece, sono ubicate nello storico “Casino di Salita S. Anna di Palazzo”, chiuso nel 1958 dalla legge Merlin. Come è avvenuta questa fusione tra il “sacro” e “profano”, ce lo svela direttamente Pietro Fusella, pronipote del Marchese Lecaldano, nonché Direttore del Chiaja Hotel de Charme. “Era l’anno 2001 e Napoli non viveva un momento felice e non si presentava come oggi, con la grande area pedonale di via Chiaia e via Toledo. C’era, inoltre, una crisi degli alloggi e la proprietà immobiliare della nostra famiglia si stava degradando, così venne l’idea di procedere ad una ristrutturazione e di adibire l’appartamento al primo piano di palazzo Giroux ad uso ufficio, ma io proposi di farne un albergo, in un momento dove le strutture recettive di Napoli si trovavano solo sul lungomare Caracciolo e nei pressi della stazione ferroviaria. La ristrutturazione non riguardò solo l’appartamento, ma anche quei mobili e quelle suppellettili che sono attualmente ospitate nell’ingresso con il camino e nelle varie stanze. In tutto furono ricavate 14 camere: il nostro albergo era una vera bomboniera: piccolo e molto curato negli ambienti e con l’atmosfera di una casa nobiliare di fine 1800. Le cose andarono talmente bene che, dopo appena un anno di attività, decidemmo di ingrandire la struttura, acquistando un appartamento adiacente al nostro, che ci avrebbe consentito di occupare l’intero primo piano di Palazzo Giroux.Solo quando entrammo ci accorgemmo che si trattava, in realtà, di una casa di tolleranza chiusa dalla legge Merlin del 1958, il cui ingresso non era su via Chaia, ma sulla traversa accanto, strategicamente posta nel vicolo Sant’Anna di Palazzo. Così come avevamo fatto per l’appartamento del nostro avo, procedemmo alla ristrutturazione, puntando su tappezzerie dai colori carichi, mantenendo intatta la bellissima vetrata liberty, lasciando altresì, in bella vista, il tariffario dell’epoca”.
Chiedo a Pietro Fusella in che modo fu accolta questa fusione: “Con grande e vivo interesse, nonché con curiosità. Alcune signore emiliane, ad esempio, ci chiedono, espressamente, al momento della prenotazione della stanza, che la stessa sia ubicata nell’ex casa di tolleranza. Moltissimi sono incuriositi dai vecchi oggetti originali esposti nel corridoio. Resistenza fiera solo da una coppia di giovani francesi che, trovatisi di fronte a questa novità, si rifiutarono categoricamente di soggiornare in una di quelle stanze e chiesero, quindi, di essere trasferiti nella parte della casa del Marchese Lecaldano”. Oltre a questa inusuale commistione, un’altra particolarità del Chiaja Hotel de Charme è che ogni stanza ha un nome proprio: nell’appartamento del Marchese ci sono, tra le altre, la stanza “e don Nicola”, la stanza “e Zi Checchina”, mentre nel vecchio casino, si trova quella intitolata a Anastasia ‘a Friulana, Mimì do’ Vesuvio, Dorina da Sorrento. Questa struttura alberghiera al centro di Napoli è strettamente legata anche alla vita culturale della città, come ci dice il Direttore Pietro Fusella: “Un giorno di tanti ani fa, in una Napoli che ancora sonnecchiava, incontrai un amico, al quale chiesi: “Che vogliamo fare?”. E così nacque l’idea di organizzare, nel mio albergo, qualche incontro di poesia. Da allora non è mai venuto meno l’interesse per questa che è diventata una manifestazione patrocinata dal Comune di Napoli. Quest’anno abbiamo festeggiato i 10 anni di “Poetè”, questo il nome dell’evento, e da novembre ad aprile abbiamo un fitto calendario di eventi, tanto che alcune sere sono previste le presentazioni di due libri”.
Non so quanti di voi ricordano la raccolta di figurine “Love is…” (che rientrano tra quelle che compravo da bambina ma di cui non finivo mai la collezione completa!): c’erano due personaggi, uno maschile e uno femminile, ritratti tipo fumetto, che in ogni figurina rappresentavano delle situazioni tipiche di una coppia innamorata; sulla parte alta c’era scritto, appunto, love is…, e in basso la dicitura raffigurante la situazione stessa.
Tra le tante didascalie c’erano: “avere quel pizzico di cavalleria”; “non mostrare mai impazienza”; “un tenero abbraccio sulla porta di casa”; “essere rannicchiati vicini vicini sul divano”; “portarla ad un concerto all’aperto”. Questi sono solo alcuni dei modi in cui, secondo i creatori delle figurine, è possibile mostrare amore nei confronti di un’altra persona.
Ma cos’è veramente l’amore? E non solo inteso quello verso un altro essere vivente ma anche quello per il proprio lavoro, per la propria casa, per la natura; prima di dare qualche definizione più “scientifica” e razionale, vi dico cosa è per me l’amore:
è amore quando, nonostante abbia quasi quarant’anni, non riesco ad andare a dormire se non do la buonanotte a mia madre, personalmente, o telefonicamente se non ci troviamo nello stesso luogo; è amore quando ho aspettato anni, dopo la morte di mio padre, prima di mangiare di nuovo le pannocchie lesse, che avevamo l’abitudine di mangiare insieme il pomeriggio di Ferragosto, e anche se sono riuscita ad assaggiarle di nuovo, senza di lui non hanno più lo stesso sapore; è amore, quando nonostante siano passati più di venti anni dalla perdita di alcuni miei gatti, alcune notti sogno ancora che sono vivi e che stanno giocando in giardino, allora scendo di corsa le scale per andare da loro, ma mi sveglio con le guance bagnate di lacrime; è amore quando, nonostante è dalla nascita che abito sempre nella stessa casa, ancora mi emoziono a vedere il sole che filtra dalle finestre…
Dal punto di vista anatomico e biologico, ogni area del nostro cervello è deputata al riconoscimento e alla gestione di particolari capacità; l’area coinvolta nell’amore, e quindi nelle emozioni e nei sentimenti è il sistema limbico, in particolare una ghiandola, a forma di mandorla, detta amigdala, e che si trova all’incirca in corrispondenza della tempia.
Ovviamente, come ogni essere vivente è unico, così sarà unico anche il suo cervello, e quindi unica la sua capacità e l’intensità ad amare. In particolare, il cervello femminile e quello maschile sono diversi dal punto di vista anatomico, come dimostrano studi scientifici, e quindi diverso è il modo in cui riconoscono ed elaborano le emozioni.
Tornando alle nostre figurine, e cioè all’amore tra due partner, alcuni studi nel campo della scienza delle relazioni hanno evidenziato che alcune caratteristiche comportamentali e alcune situazioni possono contribuire alla nascita e al mantenimento di una relazione amorosa. Tra queste: saper ridere insieme; somigliarsi dal punto di vista intellettivo e formativo; essere gentili; avere un atteggiamento accomodante; avere buone capacità di dialogo.
Ognuno di noi pensa di sapere cosa sia l’amore, di conoscerlo, di provarlo, di dimostrarlo, ma credo che al di là delle ricerche in campo scientifico e psicologico e al di là dei consigli degli esperti, il modo più semplice di sapere se si stia amando nel modo “giusto” un’altra persona, sia guardarla negli occhi e vedere se riusciamo a donargli serenità e gioia, e se, in altre situazioni che non riguardano il nostro partner, riusciamo ad emozionarci e a provare entusiasmo, anche per cose che possono sembrare banali…