Ci trovammo così, quel 24 dicembre del 2000, riuniti all’una a mezza intorno alla tavola apparecchiata, tutto sembrava essere uguale all’anno prima e a quello prima ancora: la nonna aveva preparato gli spaghetti con le vongole, scelte da te come sempre, la frittura era stata acquistata nella pescheria di fiducia, il capitone era quello fresco, di quelli che si vedono arrotolarsi dentro le grandi vasche di plastica, in attesa di esser presi con il retino, ma non poteva certo mancare il baccalà in umido con un sugo leggero di capperi ed olive.
Lo dicevi ogni Natale, sempre, non lo scordavi mai, che il baccalà era preparato per la mamma, ghiotta di questo piatto. E poi, ancora, nel ricco menù, cavolfiori, insalata mista, vino della casa e, immancabile, lo spumante che versavi nei bicchieri di tutti… ricordi nonno, poi ne lasciavi un po’ per noi, lo facevi scivolare giù nel mio e poi nel tuo bicchiere, e guardandoci negli occhi dicevi: “Quello che rimane, lo conserviamo per domani a pranzo”. Dunque, tornando a quel Natale del 2000, tutto sembrava essere uguale a quelli passati, ma sentii qualcosa dentro di me quando mi sedetti, come facevo da anni ormai, vicino a te: un freddo dentro, un brivido lungo la schiena e mentre ti vedevo intento nell’eseguire il rituale dell’assegnazione dei posti, nel presentare le portate ad una ad una, mi sembravi già più lontano, come se la morte cominciasse a prendere un po’ di te.
Mangiai per tutto il tempo con la mano appoggiata sulla tua… percepii quasi che quello sarebbe stato l’ultimo Natale e quella, l’ultima volta che mi avresti detto: “Alessandra, la mia bella bambina, seduta qui, vicino a me, vicino al nonno”.
I posti li assegnavi tu, degli anni rimanevano invariati, degli anni cambiavano, io, te lo dico solo adesso, ogni festa comandata che Dio ci ha fatto trascorrere assieme, speravo sempre che tu mi dicessi che il mio posto era alla tua destra, nell’angolo della cucina, vicino alla finestra, era quello più scomodo, certo, ma vicino a me c’eri tu ed il resto non contava niente, non importava se dovevo stare seduta per l’intero pranzo con una gamba attorno ad un tavolo e con l’altra attorno a quello di riserva, più alto di quello lungo che da anni troneggiava in cucina. Se ricordi bene, nonno, mentre tutti entravano nella stanza e chiedevano dove potersi mettere a sedere, io aspettavo che tu decidessi dove volevi che mi mettessi seduta io e rimanevo fuori dalla porta, con le braccia incrociate, la testa reclinata in attesa che tu, come un principe azzurro, allargassi le braccia, mi sorridessi, e mi dicessi che, anche quella volta, mi volevi vicino a te.