Era martedì grasso, ricordi nonno… ti trovai seduto su quella poltroncina di pelle del corridoio, i piedi li tenevi incrociati all’indietro, le mani erano giunte, il tuo sguardo fissava la cravatta a righe rosse e blu che avevi già sapientemente annodato sulla camicia ed eri triste, ma fu sufficiente il mio picchiettare sui vetri della porta-finestra a farti tornare il sorriso. Ti precipitasti ad aprirmi e quando ti chiesi se ti andava di uscire insieme a me, rispondesti di andare, di cominciare ad incamminarmi da sola verso la piazza perché se fossi rimasta ad aspettarti, avrei rischiato di perdermi la sfilata dei carri. La verità è che non ti andava di mischiarti a quella festa di colori e di risate, di musica e di maschere, la verità è che il tuo corpo cominciava già ad abbandonarti, diventando sempre più pesante ma anche più fragile.
Ti incontrai più tardi, seduto su di una panchina del lungomare: eri riuscito solo ad arrivare in piazza e a fatica ti eri trascinato sino davanti al palazzo comunale alla disperata ricerca di un posto dove sedere, per riposarti. Ti accorgesti che ero preoccupata per te e così, tendendomi una mano, prendesti la mia e, mostrandomi con l’altra tutta quella festa di colori e musica, mi invitasti a godermela: “Bella bambina, sta allegra! Non vedi che bello spettacolo stanno facendo?”. Non ricordo più nulla di quella giornata di festa, la mente si chiuse su di te, il mio sguardo abbracciò e cullò quella tua immagine triste, nonno, mentre eri incurvato su di una panchina con gli occhi a terra, incurante persino dei bambini che avrebbero potuto imbrattare, con la schiuma da barba utilizzata per spruzzarsi, il tuo amato impermeabile.