Poi, sulla strada del ritorno, mi vennero alla mente frammenti di discorsi di quando ero bambina, di quando ero costretta a rimanere a letto per la febbre causata dall’influenza stagionale.
Ricordo che, di ritorno dalla consueta passeggiata pomeridiana con la nonna, tu venivi sempre a farmi visita per augurarmi la buonanotte. Entrando poi, con grande riverenza nella mia cameretta e vedendomi pallida ed affannata, ti sedevi sulla sedia della scrivania, poggiavi il cappello sulle ginocchia e, passandomi una mano sulla fronte per accertarti se avessi ancora la febbre, non riuscivi a non lasciarti andare a questa amara considerazione: “Ho visto fuori le tue compagne di scuola giocare in strada. Erano tutte scalmanate e tu…”. Avresti voluto continuare dicendo: “E tu, costretta a stare a letto, tu, la mia Alessandra, forte e solare, sempre pronta a sorridere, tu, avvolta in queste tristi lenzuola, con la fronte madida di sudore”.
Ma non le pronunciavi mai quelle parole e continuavi dicendo: “E tu… cosa hai fatto di bello tutto il giorno? Lo hai letto quel libro che ti ho portato ieri? Appena ti passa la febbre, anche se non puoi ancora uscire perché ti senti debole, vieni giù nello studio e vediamo se i passi che ti sono piaciuti di più sono gli stessi che io amo tanto”.
Allora mi consolò che quei pensieri fatti su quegli uomini anziani incontrati al mercato del giovedì, li avevi fatti anche tu, quando ero bambina, quando stavo a letto, mentre le mie compagne di scuola giocavano in strada tutte scalmanate. Tu amavi me quanto io amavo te, avresti desiderato, in quei momenti, vedermi libera di correre e scherzare, quanto io avrei voluto incontrarti per strada, al mercato, quel giovedì, tra le gente mischiata ai banchi chiassosi e ai vestiti appesi su tristi stampelle.