Un giorno, mentre eravamo seduti su quelle poltroncine di pelle marrone del corridoio, mi guardasti dritto negli occhi e mi prendesti il viso tra le mani. Ricordi, nonno?
Mi raccontasti dell’immensa gioia, mista ad emozione, del giorno in cui mi vedesti per la prima volta. Ero in ospedale, il lettino di metallo messo vicino alla mia giovane mamma, indossavo solo una camiciola bianca di cotone e dei calzini perché avevo tentato di dimenarmi quando mi avevano fatto indossare la classica tutina.
Ti sporgesti verso di me, avevo gli occhi aperti, tu mi sorridesti ed io cominciai a muovere le braccia e le gambe come a salutarti. Poi entrò la suora, mi sollevò dalla culla, mi prese in braccio e portandomi in trionfo su e giù per la corsia, esclamò dicendo che non aveva mai visto una pupa come me, così sveglia, attenta e vigile ad appena un giorno di vita. Mi mise sul lettino ed io quasi stavo ritta sui piedini, tu allora, per paura che mi facessi male, mi prendesti tra le tue braccia e pronunciasti il mio nome con gli occhi che ti brillavano.
Quella luce non si è mai spenta, neanche quando, qualche giorno prima della morte, mi facesti segno di avvicinarmi a te per stringerti la mano. Ci siamo subito piaciuti io e te, siamo entrati immediatamente in sintonia, il nostro primo incontro è stato un incontro d’anime.
Sono sempre stata fiera di averti come nonno, lo dicevo a tutti che quell’uomo in divisa sulla bicicletta nera era mio nonno, una persona speciale. Ricordo quando tentavo, in ogni modo, di trovare una somiglianza con te, spulciavo le foto della tua infanzia e, avvicinandole al mio volto, chiedevo alla nonna e alla mamma se non eravamo proprio uguali. Loro due si guardavano e sorridevano bonariamente, dicendomi che era ovvia e scontata la somiglianza giacché io ero tua nipote!
Riguardando quelle immagini in bianco e nero ed analizzandole bene, non era poi così netta la somiglianza di cui andavo alla disperata ricerca ma sono stata contenta di essere cresciuta con questa certezza.
Dal giorno della mia nascita io ero diventata la tua bella bambina, mi chiamavi spesso così, anche dopo la lettura di un articolo o il voto di un esame universitario. Nulla era cambiato dal giorno della mia nascita, l’amore che ci legava cresceva ogni giorno di più. Era talmente palese da sforare l’obiettivo della macchina fotografica: rivedendo tutte le foto non ce n’è una nella quale non ci cerchiamo con lo sguardo, non siamo uno accanto all’altra, non poggi la tua mano sulla mia spalla. La più bella in assoluto, però, rimane quella che ci ritrae il giorno del mio primo compleanno: siamo seduti l’uno accanto all’altra, ci teniamo per mano, tu mi stai guardando ed io sto facendo lo stesso con te. Indosso il vestito bianco e verde, quello goffrato, tu sei elegantissimo con il cardigan color ruggine e le scarpe lucidissime.
Il mio mondo da bambina era tutto concentrato lì, tra le mura della tua casa, la più bella visuale ce l’avevano solo noi, con quegli alberi di pino che si stagliavano fieri all’orizzonte e con quel cielo che ricordava quelli dei presepi allestiti nelle chiese durante il periodo natalizio.