Dunque, stava per arrivare la Pasqua e mi dicesti che volevi regalarmi un uovo, come quando ero bambina. Mi chiedesti di conservare per sempre il regalo che avrei trovato all’interno, così come conservavo ancora quello del primo uovo che mi avevi regalato. Ero restia ad accontentarti, mi sembrava sciocco ed inutile ricordarmi di te attraverso una banale sorpresa di Pasqua, poi capii tutto all’improvviso: mi ricordai di quell’anno, quando tu, invece del solito uovo, mi desti del denaro che avrei potuto spendere come meglio credevo.
Ci rimasi molto male quella volta, ma avevo 15 anni ormai e pensasti di farmi cosa gradita. Ti rimproverai allora il fatto di essere passata in secondo ordine rispetto a mia sorella più piccola di me, alla quale avevi già comprato l’uovo, tu quella volta non rispondesti e facesti bene, perché era l’accusa di una ragazza sciocca, accecata dalla gelosia.
Ti limitasti a dire che quello era stato l’unico nostro “litigio” e che non sarebbe mancata occasione di farti perdonare. Ecco quello che mi stavi chiedendo di fare, quell’ultima Pasqua della tua vita: stavi cercando il mio perdono per quell’uovo mancato, dirottato in altre mani.
Non c’era bisogno di quel gesto, nonno, ti avevo già perdonato ma tu rispondesti che dovevo assolutamente scegliere per me un uovo che mi piacesse. Girai un po’ tutti i supermercati ma non era mia intenzione farti spendere molti soldi così scelsi uno di medie dimensioni. Lo portai a casa, mancavano cinque giorni alla Pasqua ma ti chiesi se potevo aprirlo subito, tu annuisti ed io, in preda ad una gioia quasi infantile, cominciai a slegare quei laccetti micidiali che non volevano saperne di staccarsi dall’incarto. Andai allora in cucina a prendere delle forbici, riuscii a togliere tutti quei fiocchi e fiocchetti e, finalmente, prelevai l’uovo di cioccolata dal coloratissimo incarto.
Era grande, lucidissimo, emanava un buon odore che anche tu volesti annusare. Con un colpo netto della mano lo aprii, mentre dei pezzettini di cioccolato volarono sul tavolo della cucina: all’interno c’era un pacchettino di plastica che un minuscolo ciondolo d’argento.
Poi mangiammo un po’ di quella cioccolata, a te piaceva molto, nella credenza della cucina non ne mancava mai un pezzo fondente. Adoravi farla scioglierla sotto al palato, dopo il sonnellino pomeridiano che seguiva il pranzo, ma soprattutto amavi offrirla alle persone che più amavi. Era un modo per dire: “ Seguiamo insieme questo rituale…”. Inoltre avevi brevettato anche un sistema per placare paure o per fermare le lacrime delle donne della tua famiglia: se ci vedevi in difficoltà, era sufficiente che ci porgessi un bicchiere d’acqua fresca accompagnata da un pezzetto di cioccolato ed ecco che il momento di difficoltà sembrava dileguarsi magicamente e scivolare via, dietro quelle mani, dietro quel sorriso che ci spronava a riappropriarci della giusta dose di serenità. Il segreto non stava in quello che ci offrivi, ma nel modo in cui ti avvicinavi a noi, ci accarezzavi la testa e dividevi con noi la cioccolata. È sempre stato il tuo amore a sorreggerci e ad incoraggiarci. Ancora oggi facciamo con la mamma un gioco: quando non sappiamo cosa fare, pensiamo a cosa diresti tu in quel momento e torna il sorriso.