La mattina di Pasqua scesi di corsa le scale per venirti a dare il buongiorno: eri già seduto sulla poltrona della camera, in attesa che fosse trasmessa la Santa Messa.
Con dolore ammettesti che quella era la prima volta che non assistevi di persona alla messa di Pasqua e quanto ti piaceva farlo, con tutti i preparativi che concerneva! La nonna si lasciò sfuggire un: “Sarà per l’anno prossimo”.
Io e te ci guardammo, poi ognuno girò la testa verso la parte opposta a quella dell’altro, come a dire che non ci sarebbe stata nessuna altra volta, nessuna altra Pasqua.
La giornata era splendida, il sole caldissimo, era una di quella mattine che tanto ci piacevano, con il cielo spazzato da ogni nuvola, con gli uccelli che, vibrando a mezz’aria, sfrecciavano davanti le finestre di casa per andarsi poi ad appoggiare sugli alberi del giardino. Ma preferii, nonostante l’invitante giornata, rimanere in casa con te, per assistere alla Santa Messa in tua compagnia, mi misi seduta sul tappeto, vicino ai tuoi piedi e per tutto il tempo ti strinsi la mano.
Sembravi sereno, meno addolorato del solito, sentivi caldo, tanto che ti levasti anche il gilet e rimanesti in camicia e calzoni: questo tuo privarti degli abiti superflui offrì al mio sguardo il tuo corpo magro. Nel frattempo erano rientrati tutti dalla messa e dalla passeggiata sul lungomare: ebbero la gradevole sorpresa di vederci uno accanto all’altra, intenti nell’apparecchiare la tavola di Pasqua.
La tovaglia era quella destinata alle occasioni speciali, il servizio era quello di porcellana bianca, immancabile, poi, la bottiglia del vino prodotto da te con l’uva della tua campagna, sistemata al centro della tavola, tra la caraffa dell’acqua ed il cestino del pane che stavo affettando. Eravamo pronti ad andare a tavola quando ci invitasti a disporci in fila lungo il corridoio per celebrare l’usuale rito della benedizione: prendevi una boccettina di vetro trasparente con l’acqua benedetta, un rametto d’olivo distribuito durante la messa della domenica delle Palme e con rapidi gesti della mano cospargevi con quell’acqua, aiutandoti con il rametto d’ulivo, il capo di tua moglie e dei tuoi figli.
A me spettava ricevere quelle gocce di acqua benedetta dalle mani della mamma e di papà, ma esigevo sempre che anche tu, nonno, cospargessi il mio capo. Potevamo, dopo la conclusione del rito, accomodarci a tavola mentre la nonna sistemava nei piatti la prelibata lasagna, della quale tutti chiedevano sempre il bis.
Quella volta gli occhi erano rivolti a te, seguivamo con trepidazione ogni tuo gesto e tu, pur di non deluderci, tentasti di mangiarne un pezzo. Stentavi ad inghiottire quel boccone mentre nervosamente giravi nel vuoto la forchetta che cercava di tagliarne un altro pezzetto. Fu così anche per la pastiera di grano. Tu notasti la nostra preoccupazione ma ci invitasti a godere di questa giornata di festa.
L’uovo di Pasqua fece, al termine della sfilata delle portate, il suo ingresso sulla tavola e proprio in quel preciso istante avrei voluto fuggir via, con le lacrime agli occhi, ad urlare il mio dolore in faccia al mondo che continuava la sua vita, senza sapere nulla di noi, ma rimasi lì, accanto a te, a te che stavi distribuendo a tutti i commensali un pezzo di cioccolata.