La giornata continuò ad essere calda ed invitante e subito dopo pranzo, mentre eravamo affacciati al balcone della cucina, sfilarono tante persone, quasi tutte indossavano magliette colorate con le maniche corte, jeans rivoltati alla caviglia, scarpe leggere, a testimoniare che la primavera era veramente arrivata quel giorno di Pasqua del 2001.
I bambini erano sistemati nei passeggini ed i ragazzini più grandi sfrecciavano lungo la strada con le biciclette, le mamme richiamavano ad alta voce i propri figli, le macchine passavano, gli uccelli cantavano: ognuno continuava la propria esistenza e non nascondo che provai un senso d’invidia per loro, per quelle persone felici, inconsapevoli del mio dolore, del dolore di una nipote che stava per perdere il proprio nonno.
Ricordo quello che leggemmo un giorno nella Lettera sulla felicità di Epicuro che ti avevo regalato. In poche e semplici parole, Epicuro affermava che non dobbiamo avere paura della morte perché quando non c’è lei ci siamo noi e quando c’è lei siamo noi a non esserci più. Ci salutasti, terminato il pranzo, ringraziandoci uno ad uno come mai avevi fatto sino ad allora, per esserti stati vicino, poi andasti via nella tua camera da letto mentre la nonna era intenta a sistemare la lasagna che non avevi consumato in un piccolo contenitore d’alluminio, nella speranza che poi, la sera, l’avresti mangiata.
La nonna ragionava ancora basandosi sul passato, su quello che era stato ma non sarebbe stato più. Tutto stava tragicamente cambiando attorno a noi, a noi, che rimanemmo inebetiti da cotanto straziante spettacolo di un uomo di buona forchetta costretto dalla malattia a giocherellare mestamente con le posate e a far rimanere, per un tempo eccessivamente lungo, la deliziosa lasagna sui rebbi della forchetta.
Mi complimentai con la nonna per quell’ottimo pranzo, la strinsi a me e mi accorsi, così facendo, che stava tremando. Era impaurita, intimorita perché la vita senza di te le sarebbe sembrata troppo vuota ed inutile. Salutai tutti i commensali e corsi su nella mia camera dove rimasi a leggere per un po’ qualche passo di un libro preso a caso.
Solo più tardi salii in terrazzo ad ammirare il tramonto mozzafiato che quella tristissima giornata mi stava, in ogni caso, regalando. Il cielo passava senza soluzione di continuità dall’arancione al rosso vivo mentre gli uccelli sembravano rincorrersi e trillavano felici e liberi.
Tu invece eri ancora nel letto e non avevi ancora lasciato quelle lenzuola. Avevo persino pensato di non scendere da te quella sera, per lasciarti riposare ma, proprio mentre stavo riflettendo su ciò, la nonna venne a chiamarmi: tu volevi parlare con me.
Quel giorno avrei ascoltato senza fiatare, perché avevo terminato tutte le parole ed i pensieri che pure sino ad allora mi avevano, a tratto, fatto compagnia. Non immaginavo neanche cosa volessi dirmi, dopo una giornata così faticosamente trascorsa tra le nostre speranze e la cruda realtà, tra le nostre paure ed il tuo stato di salute sempre più malfermo.