Mi limitai a scendere giù per le scale tra il trillo degli uccelli che svolazzavano felici tra i rami degli alberi in giardino, inconsapevoli di quanto stava accadendo dietro i vetri di quella persiana che tante volte avevano lambito durante i loro voli radenti.
La porta-finestra era socchiusa, già potevo intravedere la tua ombra proiettata, dalla luce dell’abat-jour, sul muro, vicino l’armadio. Non eri più a letto ma adagiato sulla poltrona e, per nascondere alla mia vista la magrezza delle tue gambe, te le copristi abilmente con quel plaid marrone.
Mi facesti segno di accomodarmi sul letto, era ancora caldo, questo vuol dire che avevi lasciato coperte e lenzuola solo per me, solo per parlare con me.
Facesti, come era nel tuo stile, un breve preambolo, riassumesti quanto avevamo fatto nell’orto, non senza esserti complimentato con me per l’ottimo lavoro svolto tra piantine e vanghe.
C’era un’ultima cosa che dovevo sapere: quando far potare gli alberi. Capii, solo in quel momento, che la tua morte era ormai sempre più vicina, più vicina ancora di quanto il tuo stato di salute potesse far presagire. Gli alberi, in 50 anni, avevano conosciuto solo la tua mano, a me permettevi, d’estate, di annaffiarli, e sempre sotto la tua super-visione.
Quante volte mi hai ripetuto, da bambina, che gli alberi sono come le persone: bisogna rispettarli, averne cura, conoscere le loro necessità per permettere una crescita sana e vigorosa.
Ricordi, nonno, quel caldo pomeriggio d’agosto, quando tu e la nonna andaste, come era vostra abitudine fare, a prendere il pesce di paranza al porto e al tuo ritorno mi vedesti che stavo bagnando, con il tubo di plastica, le foglie del limone in giardino?
Mi rimproverasti per aver procurato all’albero un fastidio che avrei potuto comprendere appieno solo se qualcuno si fosse comportato con me come io stavo facendo con il limone. Cosa avrei potuto mai provare se, dopo tante ore trascorse sotto il sole, qualcuno fosse venuto da me per bagnarmi con dell’acqua fredda? Non avrei avuto un sussulto, non avrei provato un profondo senso di fastidio? Allora perché, mi chiedesti, avevo inflitto tutto ciò al povero albero di limone? Lasciai cadere il tubo dell’acqua e ti chiesi scusa per la disattenzione e per non averti aspettato.
Ecco, l’unico intervento permesso sugli alberi del giardino era l’annaffiatura sotto stretta sorveglianza, come scherzosamente dicevo io, e nulla di più.
Adesso tu, invece, stavi insegnando a me quando intervenire su loro rami, consapevole com’eri che non sarebbe stata più la tua mano a potarli a fine stagione. Ebbi la sensazione netta di scappare, ma cosa mai sarei stata davanti ai tuoi occhi? Una codarda, una persona priva di coraggio, incapace di accettare la realtà. Tu prendesti fiato, io accavallai le gambe ma il nervosismo le stava facendo tremare eccessivamente, allora decisi di metterle giù.
Non fu solo una lezione di giardinaggio, quella che mi stava aspettando, ma un sunto della tua vita da bambino, un insegnamento su come il futuro esige la nostra volontà ed il nostro coraggio per diventare realtà. Dietro una terra ben arata, un orto ben coltivato, c’è sempre tanta fatica.
È una continua lotta, quella che l’uomo intraprende con la natura aspra e selvaggia, sempre pronta ad infestare di erbacce un campo coltivato, ma la soddisfazione di un bel raccolto lo ripaga di tutte quelle ore trascorse con la schiena piegata.
Eri uomo di cultura, indubbiamente, imbattibile in greco e in latino, insuperabile in storia, ineguagliabile in letteratura, ma avevi saputo conoscere anche la terra e le sue esigenze. La tua curiosità ti aveva sempre spinto oltre: oltre il dolore, la solitudine, la guerra, le privazioni, e questo tuo innato ottimismo ti aveva sempre ripagato. Quando portavi dalla campagna gli ortaggi invernali o la deliziosa frutta estiva, i fichi settembrini come l’uva, ringraziavi sempre Dio per averti concesso, anche quell’anno, la possibilità di poter condividere i frutti del tuo lavoro con la tua famiglia. Pur amando profondamente la vita non davi mai nulla per scontato, alla mattina come alla sera, ringraziavi il Signore che ti aveva donato un’altra giornata.
Terminasti a fatica la lezione sulla potatura degli alberi: io avevo compreso gli aspetti essenziali ma sarebbe stata poi la pratica a confermarmi se la comprensione era stata adeguata.