Intanto, anche il mese di aprile ci stava lasciando e maggio ti avrebbe regalato le ultime calde giornate di sole, un sole benevolo per quelle piantine dell’orto che stavano rigogliosamente crescendo grazie alle mie cure. Anche il 1° maggio, così come avevo fatto per il mattino di Pasqua e di Pasquetta, decisi di trascorrerlo con te.
Quel giorno ti trovai seduto in cucina, indeciso se mangiare o meno quelle fettine di pane colorite da un sottilissimo velo di marmellata. Non avevi molta voglia di fare colazione, tanto che fui costretta a registrare come la tua perdita di appetito fosse diventata costante e stava, anzi, aumentando ogni giorno di più. Cercai di non farti pesare ciò e ti invitai ad uscire in giardino con me: avremmo ricreato fuori, tra gli alberi e le piante, quell’atmosfera gioiosa che molte persone avrebbero vissuto in quel giorno di sole, seduti sui plaid, stesi sull’erba o in spiaggia in riva al mare.
Noi ci saremmo sistemati sulla nostra panchina e sarei andata a prendere il tavolo pieghevole di legno nel ripostiglio di casa. La tovaglia da stendervi sopra doveva intonarsi con la giornata, nessuna tovaglia di lino ricamato, dunque, né di fiandra, ma una bella colorata, sullo scozzese, come quella che avevo regalato alla nonna qualche anno prima, in occasione del Natale. Sarei andata a comprare delle fave e del buon pecorino romano proprio nel negozio dove abitualmente ti servivi tu. Sarei poi scesa in cantina a prendere una bottiglia di vino, magari invecchiata, perché quel giorno doveva essere speciale.
Ti ubriacai di parole, di sorrisi, di progetti, d’ottimismo e tu, di fronte al mio entusiasmo, non riuscisti a tirarti indietro. Allora rimanesti lì, seduto sulla nostra panchina, ad assistere al mio buffo andirivieni con il tavolino, la tovaglia, i piatti, i bicchieri, le fave, il formaggio, il pane fresco, il vino, il tuo vino. Invitammo anche gli altri a partecipare alla nostra celebrazione del 1° maggio ma rifiutarono l’invito perché vollero regalarci una giornata solo per noi.
Mi assentai per mezz’ora, giusto il tempo necessario per andare a comprare la pagnotta di pane cotto a legna, fragrante e profumata, il pecorino saporito, le fave fresche di campo. Apparecchiammo il nostro tavolino che prese un po’ di colore e vivacità grazie a quella tovaglia a quadri e vi sistemammo sopra i piatti, le forchette, i coltelli, il mio bicchiere, la tua fedele brocca in vetro. Cominciammo a prendere dalla busta di plastica color carta da zucchero, le fave e mentre le sgusciavi portandone alla bocca i semi, un velo di tristezza transitò per qualche secondo nei tuoi occhi: guardare questi ortaggi e pensare che la tua campagna era rimasta lì, da sola, senza che nessuno si prendesse più cura di lei, ti dispiaceva molto. Allora fu invitabile che il discorso scivolò su quella distesa di terra che ti aveva visto, per 20 anni, suo amico fedele.