Poi, nonno, tu mi dicesti che avresti voluto riposare un pò, io allora accostai gli scuri delle finestre, ti sistemai le lenzuola sulle gambe, ti aiutai a mettere per bene il cuscino sotto la tua testa, tu mi stringesti la mano, ma prima di chiudere l’uscio dietro di me, mi chiamasti per lanciarmi il bacio con le dita unite come per consolarmi della tua sofferenza, come per dirmi di andare avanti.
Fuori la camera da letto ad aspettarmi c’erano la mamma e la nonna entrambe preoccupate, entrambe con gli occhi gonfi di lacrime trattenute a stento. Loro avrebbero voluto chiedere ma non lo fecero, io avrei voluto consolarle ma non lo feci, tu avresti voluto rimanere con noi, con le tue donne, come amavi chiamarci sempre, ma non potevi.
La vita è proprio questo camminare come funamboli sul filo di un’emozione, per poi rimanere lì, immobili, senza muoversi, senza riuscire a prendere una decisione: camminare o cadere giù.
Allora si decide di rimanere fissi ad osservare quel punto quasi a voler fermare il tempo, quasi ad aspettare che qualcun altro venga in nostro aiuto e prenda una decisione anche per noi. Invece non è mai così, siamo sempre e solo noi gli unici artefici del nostro destino, unici responsabili delle nostre decisioni. Io mi limitai a dire alla mamma e alla nonna che, nonostante tutto, eri consapevole e sereno. Di cosa, lo sapevamo tutte e tre. La nonna andò in cucina e tentò di preparare la cena. Aveva comprato due mozzarelle di bufala…due nonno, una per lei e una per te, pur sapendo che non avresti cenato, pur sapendo che ti avrebbe trovato nel vostro letto, pur sapendo che avrebbe dovuto apparecchiare per una sola persona.
Tutto sembrava, in quei giorni, così difficile… ma poi ritornò alla mente quella tua frase: “Sursum corda”, che in latino significa “In alto i cuori”. E allora tornò il coraggio di riprendere in mano la nostra vita.