Fu davvero un pomeriggio speciale, nonno, quello trascorso nella quiete magica del tuo studio, baciato dai tiepidi raggi di sole ed abbracciato dalla brezza che faceva gonfiare la leggera tenda di lino bianca che tu amavi scostare spesso dai vetri, per poter ammirare il petto d’angelo, l’elegante e raffinato arbusto che avevi piantato tanti anni prima.
Dopo aver concluso ilnostro lavoro che mi aveva consentito di imparare a memoria l’intera poesia da recitare il giorno successivo a scuola, rimanemmo nella stanza dai marmi rosa e bianchi ancora per un po’, rapiti da quella luce che ho visto solo nelle nostre case, nonno. Ancora oggi mi succede di poterla godere, nel grande soggiorno al piano superiore, nella cucina che si affaccia sul giardino, nel tuo studio, nel salone con il divano in pelle e legno, nella camera da pranzo con l’imponente lampadario di cristallo.
Ho visitato molte case, nonno, ma in nessuna sono riuscita mai a captare quell’inclinazione particolare della luce che entra nelle nostre stanze: è un fascio che entra di traverso e che va a posarsi sull’angolo del tavolo di noce, sulla sedia di paglia, sull’anta della libreria, sulla chiave della credenza.
Entra prepotentemente e gentilmente si adagia sul pavimento, sul mobilio, sulla cornice di un quadro e rimane lì, quasi a voler godere anch’essa di quell’armonia, di quella serenità che, nonostante tutti gli avvenimenti, ancora regna nella nostra casa. Questa luce un po’ speciale è da mezzo secolo l’ospite non invitata ma molto gradita delle nostre giornate, delle nostre mattine trascorse in cucina a preparare il pranzo, dei nostri pomeriggi passati a lucidare l’argenteria.
È la stessa luce che s’incunea tra i rami del limone e va a adagiarsi sulla palma, è la stessa luce della quale andavo alla ricerca per tutta casa quando ero bambina, nei caldi pomeriggi d’estate. Tutto è cambiato, nonno, e tu ben lo sai. Eppure, io continuo ad amare quella luce che sembra riportarmi indietro alle nostre giornate felici.
È quasi inspiegabile, nonno, questa continuità delle sensazioni che provo, questo esserci nella vostra assenza che pesa sino, delle volte, a diventare insopportabile. E proprio nel momento in cui ci si lascia afferrare dalla disperazione, nessuno di noi ne cade vittima, perché, all’improvviso, viene quella mano dal cielo in aiuto, proprio come nella poesia de ”Il Cinque Maggio”. E allora tutto quello che è rimasto, rivive vivificato dal ricordo di te e di chi non c’è più, e quella stessa luce che entra ancora nelle nostre case, ci dona sollievo e ci induce a pensare che è la stessa che anche voi potete vedere da lassù. Siamo un po’ tutti Napoleone nel corso della nostra vita, eppure la speranza è un obbligo, se si decide di non soccombere, di continuare a vivere, non a sopravvivere, ma a vivere, nella speranza e nella gioia.