Il mattino del 17 maggio 2001, il giorno del tuo onomastico, scesi da te, nonno…eri in camera da letto, seduto sulla poltroncina di velluto color nocciola, mi sorridesti, io mi misi a sedere sul tappeto, accanto alle tue gambe coperte dal plaid.
E ti porsi il mio regalo…il mio regalo…e così, tremante, sfilai la lettera dalla tasca dei miei pantaloni.
Cominciai a leggerla e mentre andavo avanti, vidi i tuoi occhi velarsi di lacrime. La lettera parlava di te, del tuo attaccamento viscerale alle cose che più amavi e che più avevi amato nel corso dei tuoi 79 anni. Menzionai, ad esempio, quella cartella di pelle nera che solevi agganciare alla canna della tua bicicletta, nonostante gli anni l’avessero resa piena di rughe ed appannata nel colore, tu non te ne separasti ma Così avvenne anche per la tua penna stilografica, quella color argento. Poi, però, arrivò quel Natale ed io ti regalai un cappello di lana blu. Tutti pensavano, me compresa, che non l’avresti messo mai perché non ti saresti separato da quel berretto di lana color giallo paglierino. Lo vidi in vetrina, entrai nel negozio e chiesi un pacchetto regalo. Ero impaziente di consegnartelo, tanto che non aspettai neanche il 24 dicembre per dartelo, ma te lo feci scartare qualche giorno prima. Ti dissi che ero sicura che non l’avresti indossato mai perché tu eri così, tremendamente attaccato a quelle cose che possedevi da qualche tempo ma era un regalo mio, era un cappello del quale mi ero perdutamente innamorata. Era per questo motivo che l’avevo acquistato, pur sapendo che non avresti mai mandato in pensione il tuo fedele berretto giallo paglierino.
Tu non dicesti nulla, mi ringraziasti e piegando a metà il mio cappello di lana blu, lo riponesti nel secondo cassetto del comò. Venne la vigilia di Natale, stranamente non eri ancora seduto a tavola mentre noi eravamo lì in cucina, la sorpresa di quel Natale la portavi tu sulla tua testa: indossavi il cappello che ti avevo regalato io e come a far finta di niente, ti accomodasti e dicesti alla nonna che poteva cominciare a porgere i piatti.
Noi ti guardavamo con stupore, tu con un sorriso di chi ha capito, dicesti che era venuto il momento di cambiare cappello, perché questo blu era più caldo, più elegante, più bello.
La lettera che ti lessi quel mattino del 17 maggio 2001 terminò con un felice parallelismo: ti dissi che l’unico regalo che potevo farti in quel momento era un vestito d’amore, un pigiama di ricordi, una stola d’amore e speravo che l’avessi accettato, come accettasti tanti anni prima quel cappello di lana blu.
Balbettai pronunciando queste ultime parole. Io avevo il capo chinato verso il basso per non farti vedere che stavo piangendo, tu lo capisti lo stesso e con la mano desta mi tirasti su per il mento, mi guardasti negli occhi ed asciugasti le lacrime, senza dirmi niente. Fu un mattino speciale…fu l’incontro tra due persone che si erano amate tanto, ma che erano consce della separazione che di lì a poco sarebbe avvenuta.