Poco prima che le sirene dell’ambulanza squarciassero l’aria, mi facesti cenno con la mano di avvicinarmi e di sedermi vicino a te, non sillabasti chiaramente le parole anzi, la tua bella voce stentorea sembrava soffocata, ma io riuscii, nonostante tutto, a ricomporre questo dolorosissimo puzzle di frasi a metà e capii che volevi avermi accanto, volevi vedermi.
Poi, l’ultima tua richiesta, proprio mentre l’ambulanza stava voltando nella nostra via: “Non lasciarmi”.
Quante volte, nonno, ero stata io ad implorarti di restare ancora un po’ con me, nelle sere d’inverno quando, per non farmi prendere freddo, salivi tu da me per darmi la buonanotte. E così, incerta, piangente, addolorata, ero vicino a te, a stringerti le mano.
D’improvviso, sentimmo una sirena: era destinato a te quel suono sgradevole, lo stesso che avevamo sentito tante volte mentre eravamo comodamente seduti sul dondolo, mentre innaffiavamo le piante o mentre chiacchieravamo nello studio. E sempre ci chiedevamo, con il cuore stretto in una morsa, chi andasse a prelevare quell’ambulanza, in quale casa sarebbero entrati gli infermieri, chi avrebbero trovato a piangere, chi avrebbe lasciato la propria abitazione, senza neppure sapere se quella volta sarebbe stata l’ultima. Ma quel giorno di giugno, caldo, caldissimo, che faceva sciogliere quasi l’asfalto sulla strada, l’autoambulanza si sarebbe fermata sotto la nostra palazzina gialla, gli operatori del 118 sarebbero entrati dal grande cancello e saremmo state noi a piangere, a preoccuparci, a chiedere informazioni sul caso, a disperarci all’idea di saperti lontano da noi, mentre un interrogativo mi dilaniava l’anima: e se quella fosse stata l’ultima volta che vedevi la tua casa? Cosa avresti portato con te nell’aldilà? Forse l’immagine di noi due seduti sulle poltroncine di pelle marrone del corridoio, forse l’incantevole scenario di verde che si godeva dalla finestra della tua stanza da letto, forse il volto improvvisamente invecchiato della nonna, forse il mio viso da bambina che, mi dicevi spesso, ti appariva davanti agli occhi nei momenti di difficoltà? Mentre tutte queste idee affollavano la mente, affogandola in un mare senza risposte, l’ambulanza rallentò mentre si stava avvicinando a casa. E fu così che si fermò sotto la nostra palazzina, che normalmente a giugno era già pronta per l’estate, con il mattonato della veranda tirato a lucido, il dondolo con i morbidi cuscini colorati, l’ombrellone incastrato nella base di cemento, con le sdraio, con il braciere pronto ad accogliere le melanzane e quei saporitissimi peperoni della tua campagna. Invece quel giugno del 2001 iniziava tristemente così, con un’ambulanza che si fermava sotto il grande cancello di ferro battuto.