Il giorno stesso del tuo ritorno a casa, nonno, seppi che non ti specchiavi da mesi, da quando il tuo corpo stava cominciando a perdere peso, a diventare leggerissimo ma anche pesante, da quando il tuo viso con la pelle sempre abbronzata, aveva perso il suo tipico turgore.
Ti chiesi come avevi potuto mai raderti con il tuo fedele rasoio elettrico senza l’ausilio di uno specchio e tu mi avevi risposto a gesti, mimando il percorso delle lame sul viso come a dire che, dopo tanti anni, andavi a memoria, e non avevi più bisogno di un pezzo di vetro che riflettesse la tua immagine. La barba poi era cresciuta inesorabilmente durante quelle tre settimane in ospedale, e nonostante tutti noi ti avessimo chiesto se volevi farla radere da qualcuno, tu avevi sempre rifiutato l’offerta, al limite dello sdegno.
Lo so, nonno, quello che per gli altri era una conseguenza della malattia, quello che agli altri sembrava essere una cosa inevitabile e da accettare, per te rappresentava una violazione del tuo corpo, un’interferenza non voluta e tanto meno cercata. Si, perché il raderti tutti i giorni con l’elegante rasoio dall’impugnatura blu, celava un profondo significato, era un voler dire a te stesso che ti rispettavi, che eri capace di coccolarti.
E riflettevo su come anche un gesto quotidiano, semplice, compiuto da tutti gli uomini del mondo a volte controvoglia, come il radersi la barba, l’avevi trasformato in un rito piacevole, da gustare in tutte le sfumature.
Ricordo ancora come si svolgeva questo particolarissimo e personalissimo rito: prelevavi dal tuo comodino il rasoio elettrico che ancora custodivi nell’incarto di plastica e nella sua originaria scatola, prendevi dall’armadio l’asciugamano di lino bianco con le frange, infilavi la spina e cominciavi a far scorrere le lame rotanti sul tuo viso: eri bravissimo, non sbagliavi un movimento, quel rasoio elettrico sembrava accarezzarti la pelle, avvolgerla in un abbraccio. Controllavi se la rasatura era di tuo gradimento, solo dopo aver visionato il risultato finale e solo se questo era da te ritenuto soddisfacente, sfilavi la spina, riavvolgevi il filo attorno al rasoio e lo risistemavi nella sua custodia. Poi prendevi l’asciugamano di lino bianco e te lo passavi sul viso, non dopo averlo sciacquato con abbondante acqua fresca. Ricordi, nonno, quante volte, da bambina, ti ho chiesto di assistere a questo rito? Tu non sapevi dire di no, anche perchéti assicuravo che sarei stata lì, buona e senza proferire parola… e così appoggiavo il capo reclino sull’anta aperta e ti ammiravo. Sentivo la leggiadria di quei gesti, percepivo la leggerezza di quelle lame, il lieve suono del rasoio elettrico, la mobilità del tuo sguardo attento, il tuo specchiarti fiero. E stavo lì a pensare a quanto ti amavo, a quanto eri importante per me, a quanto la tua presenza fosse così forte nella mia esistenza quotidiana.