Di ritorno dall’ospedale, con la pioggerellina che bagnava le mie spalle, il tuo pigiama a righe, le ciabatte della nonna, la tua valigia di pelle, dovetti affrontare la realtà, dovetti scendere a patti con la morte per averti almeno qualche giorno in più. Ma quest’ultima fu inclemente: era un giovedì quando rientrasti a casa e il martedì mattina eri già pronto per essere vestito con l’abito più bello, con le tue scarpe lucide e stavolta non ti sarebbero servite per uscire con la nonna e camminare per il lungomare.
Nel trambusto del primo pomeriggio, tra le cose da acquistare in farmacia, l’infermiera che andava avanti ed indietro per tutta casa, in modo da organizzare il lavoro nella maniera più funzionale e fruttuosa possibile, con la valigia ancora da disfare, con la nonna che cercava di rendersi utile, pur se sommersa da un mare ormai incontenibile di lacrime, tra tante cose da fare, dunque, io mi ero dimenticata, per un istante, che tu eri finalmente rientrato a casa.
Lasciai il lavoro agli altri e mi diressi verso la tua camera, e nel preciso momento in cui varcai la soglia della tua stanza da letto, trovasti la forza per chiamarmi vicino a te e per dirmi: “Vedi, ce l’ho fatta… sono riuscito a tornare a casa per vederla un’ultima volta. Prima ero in prigione, ora sono libero”. La tua grande forza d’animo, il tuo coraggio, il tuo ottimismo, il tuo vedere, come dicevi spesso, il bicchiere sempre mezzo pieno, è condensato in queste parole che riuscisti a pronunciare, anche se con la voce appannata, di ritorno dall’ospedale.
Parlasti di libertà ma ad occhio nudo nessuno avrebbe potuto vederla: non eri libero perché non potevi muoverti, non potevi mangiare… non potevi fare nulla di quello che più amavi, eppure… eppure parlasti di libertà.
Dove era celata? Nel tuo essere a casa, tra quelle lenzuola di lino ricamate a mano, nelle finestre che potevi chiedere a noi di aprire o di chiudere, in quel vedere fuori la finestra non strade a te sconosciute, ma luoghi a te cari, misurati ogni giorno con i tuoi passi.
Eri libero, nonostante chiunque avrebbe potuto affermare il contrario, senza essere in errore. La tua libertà era la tua casa, il tuo giardino, era la nostra presenza in ogni momento della giornata. Ecco cosa ci rende liberi: l’amore, solo l’amore.