Il pomeriggio del venerdì, vennero a trovarti, per quella che sarebbe stata l’ultima volta, i prozii, i quali annunciarono il loro arrivo sotto casa con i due colpi di clacson, come erano soliti fare.
La nonna non era affacciata al balcone e già questa sua assenza alla ringhiera li insospettì. Nessuno si precipitò ad aprirli, tanto che si videro costretti a suonare il campanello, perché nessuno li stava aspettando in veranda o sul balcone in ferro battuto. Serrati ciascuno nel proprio dolore, ognuno si era sistemato nella stanze dove lo stesso dolore poteva trovare un po’ di sollievo: io ero nello studio, seduta dietro la scrivania ma non al tuo posto, nonno, quello che dava le spalle al muro e si rivolgeva alla libreria con i vetri molati, ma a quello che era stato sempre il mio, mi sembrava un sacrilegio utilizzare la tua sedia con i morbidi cuscini. La mamma camminava nervosamente avanti ed indietro lungo l’ampio corridoio con i marmi rossi, la nonna invece era seduta vicino a te e stringeva tra le sua mani un rosario.
Gli zii stavano attendendo che qualcuno aprisse loro il cancello: lo feci io, asciugandomi gli occhi umidi di lacrime. Loro avevano saputo del tuo ricovero ma non avrebbero mai immaginato di trovarti in quelle condizioni. Tu dormivi e non ti vollero disturbare, si accomodarono in cucina dove anche la nonna si era recata per preparare il caffè. Avrebbero aspettato che tu ti svegliassi per incontrarti, allora in attesa di ciò, parlammo così, di cose leggere, futili, del tempo, dell’estate, dei figli, dei nipoti in tenera età.
Poi la tua voce giunse a rompere quel silenzio di parole vuote, quel rumore di voci mute, allora ci alzammo tutti dal tavolo e ti annunciammo il loro arrivo. Fecero timidamente capolino con la testa ed entrambi non poterono fare a mano di portarsi le mani sul viso e di rimanere attoniti, senza nulla da dire. Poi si fecero coraggio, presero ciascuno le sedie di velluto nocciola sistemate ai lati del letto e cominciarono a parlare con te.
Tu ascoltavi i loro discorsi, i loro incoraggiamenti, e al termine del breve incontro ti limitasti solo a dire: “ Ero in prigione quando stavo in ospedale ma adesso sto a casa, nella mia casa, la vedete anche voi quante è bella questa casa?”. Era bella, nonno, ma non in quel momento di commiato, quando tutto sembrava essere diventato così piccolo ed inutile, tutto era ridimensionato da quell’accadimento che aspettavamo con paura da un momento all’altro: la tua morte.
Anche loro piansero quel pomeriggio di venerdì, ma si celarono al tuo sguardo, piansero dopo averti baciato sulla fronte mentre ti dissero: “ Ciao, Pasquale”. Uscirono dalla tua camera da letto, ci strinsero a loro e fu in quel preciso istante che le lacrime, a lungo trattenute, inondarono i nostri visi, annegarono le nostre speranze. Poi gli zii andarono via e si sistemarono nella loro auto, la stessa dove tanto tante volte eri salito con la nonna per andare a fare una passeggiata nella cittadina limitrofa, lungo le riviere ed il porto. La macchina si allontanò lentamente e solo quando girò l’angolo mi sembrò di rivedere, come in flash-back, tutti gli istanti più belli e preziosi della nostra vita assieme, nonno.