Tutto inutile…le lotte, le battaglie, gli sforzi, le speranze, le lacrime.
Ci lasciasti il mattino del 3 luglio, nonno.
Fu allora, infatti, che l’infermiera constatò il tuo decesso, dopo che tu non rispondesti più al suo chiamarti. La mamma ed io eravamo in cucina, le finestre della tua camera da letto erano aperte, così come quella della stanza dove stavamo facendo colazione… potemmo solo sentire mentre stavamo bevendo il tè: “Pasquale, Pasquale, Pasquale!”.
E poi, subito dopo: “Anna, Anna corri subito qui”. L’infermiera salì, poi, nel nostro appartamento e con il fiato corto e gli occhi gonfi di lacrime che non volevano saperne di scendere giù e di lambire gli angoli della bocca, ci disse che non rispondevi più, che eri morto. Aspettò tanto a pronunciare quella parole, quasi fosse un sacrilegio, quasi nella speranza che se non le avesse dette quella parole, tu avresti potuto miracolosamente riprenderti la tua vita.
Ma non era così.
La mamma cominciò a piangere. Non lo aveva mai fatto in quel modo così plateale, davanti alle sue figlie, ma era disarmata ormai, suo padre non sarebbe stato più vicino a lei, pronto sempre a consigliarla per il meglio, ad incoraggiarla come quei giorni prima della mia nascita, quando lei, primipara, era piena di interrogativi e di paure e tu la tranquillizzasti con il solo gesto di accarezzarle il pancione. La mamma continuò a piangere ininterrottamente, pianse quando l’infermiera l’abbracciò, quando i parenti tentarono di consolarla, quando la nonna cercò da noi una parola di conforto. Pianse tutto il giorno e tutta la notte, e poi il giorno del tuo funerale ed il pomeriggio successivo, pianse la sera nella quale eri già al cimitero e il mattino dopo, continuò a piangere anche quando tutti gli altri attorno avevano smesso di farlo.
L’infermiera, dopo averci comunicato quella notizia che tutti temevamo di ricevere, pur nella certezza della sua ineluttabilità ed inevitabilità, si congedò da noi, mi chiamò proprio sull’uscio di casa e mi chiese se volevamo che ci pensasse lei a privarti di quegli abiti da malato e ad abbigliarti con il tuo vestito più bello. Feci convulsamente di sì con la testa, ma proprio non riuscii a pensare a te come ad un corpo privo di vita disteso sul letto, nonno, così come mi sembrava impossibile immaginare che uno dei tuoi tanti abiti non ti sarebbe servito per uscire con la nonna, ma l’avresti usato per uscire da questo mondo, per sempre.