Vado avanti, nonno, ma tu fatti trovare sempre, ovunque, in qualsiasi momento, fammi sentire che ci sei, accanto a me, in piedi, proprio dietro la mia sedia mente scrivo di noi, sul divano color crema mentre sfoglio l’album delle fotografie, nel tuo studio, mentre ordino i libri che tanto amavi, in giardino, mentre innaffio le piante, in mezzo alla gente, in una caotica stazione, tra valigie e voci che annunciano la partenza e l’arrivo dei treni.
Non lasciarmi, così come non mi hai lasciato quel mattino del 3 luglio 2001.
Certo, non posso negarti, nonno, che delle volte, in alcuni giorni, desidererei tanto averti accanto a me per parlarti o solo per sentire la melodia della tua voce o per gustare la dolcezza del tuo sorriso. Quando desidero tutto questo, non faccio altro che chiudere gli occhi, nel silenzio della tua casa, e immaginare le nostre giornate più belle, come quei giorni di vendemmia, quando, essendo le tue piante di vite ancora troppo giovani per darti sufficiente uva, arrivavano, nel primo pomeriggio, quelle bigonce alte, di plastica color crema carico, che trasbordavano di grappoli dai chicchi piccoli e dorati che sarebbero diventati il vino dei nostri giorni di festa ma ancor prima si sarebbero trasformati in mosto. Ah, il mosto! Sapore d’autunno, di giorni dai tramonti color porpora, delle prime giacche che tiravamo fuori dagli armadi, di giornate che regalavano sorrisi ed emozioni, confidenze e risate.
Quanto mi manca bere un bel bicchiere di mosto, in tuo compagnia, nonno, mentre io lo butto giù tutto d’un fiato e tu lo assapori sorso dopo sorso, per non perderti niente di quella preziosa bevanda dal colore deciso, tendente quasi al porpora. La tua assenza, talvolta fortissima, diventa all’improvviso dolce, proprio come quel mosto che ogni anno preparavi per me, perché i ricordi di te vengono a cullarmi mentre il fruscio delle foglie degli alberi in giardino somiglia tanto al suono di una ninna nanna.