Mi chiamo Pila.
No, non stupitevi per questo mio nome così bizzarro: sulla carta d’identità, sul passaporto e su tutti i documenti ufficiali che mi riguardano, c’è scritto che io sono Ludovica.
Vi chiederete allora perché inizio a raccontarvi questa storia dicendovi che mi chiamo Pila.
Perché io sono Pila e lo sarò per sempre, così come mia nonna, che all’anagrafe è registrata con il nome di Angela, è stata, è, e sarà per sempre Mila.
Mila e Pila: una nonna e una nipote legati da un amore viscerale, grandissimo, indissolubile, che riesce a superare, ogni giorno, le immense distese d’acqua salata che ci separano.
Se avete del tempo, ve ne prego, leggete la mia storia e se proprio vi sembra di non potervi fermare neanche per un istante, per favore, trovate un paio di ore da dedicare a Mila, a Pila e ai nostri racconti.
Dunque, nasco in un paese di provincia, uno di quei paesi che da lontano, mentre si percorre la strada per arrivarci, sembra mollemente adagiato sui fianchi di una collina, quasi che quella vallata di pini secolari e sempreverdi, lo culli tra le sue braccia.
Mia madre e mio padre sono due ricercatori farmaceutici.
Nei ricordi di bambina me li ricordo sempre trafelati, con una valigia che non veniva più neanche messa a posto nell’armadio, ma veniva lasciata sempre lì, sulla poltrona della loro camera, in attesa di essere riempita del necessario per la trasferta internazionale.
Sono molto bravi nel loro lavoro, i migliori, dicono in azienda, dove hanno trascorso gran parte della propria vita.
E così, io rimanevo a casa con nonna Angela, la madre di mio padre, in quel casolare in pietra che tanto ho amato da bambina.
Nei lunghi pomeriggi d’inverno, quando il vento faceva sentire la sua voce attraverso la canna fumaria del camino e quando gli alberi gli rispondevano facendo ondeggiare vorticosamente le loro folte chiome, io, Ludovica, diventavo, quasi per magia Pila e nonna Angela si trasformava in Mila.
Dopo che io avevo svolto i miei compiti e dopo che la nonna aveva terminato le pulizie domestiche, nell’istante stesso in cui la pizza, impastata da nonna Angela, crepitava nel forno della grande cucina, ecco che ci guardavamo negli occhi noi due e dicevano all’unisono:
“Perché non giochiamo a Mila e Pila?”