Mila e Pila erano nate un pomeriggio di febbraio di tanti anni fa, quando io, costretta a letto da una varicella che mi stava dando il tormento, mi misi a piangere perché quel bellissimo vestito da Fata Primavera che la nonna mi aveva cucito per la festa in paese del giovedì grasso, sarebbe rimasto chiuso nell’armadio, forse per sempre, perché io stavo crescendo e quell’abito giallo e bianco, forse, non avrei potuto indossarlo l’anno successivo.
Dalla finestra della cucina potevo vedere, in lontananza, tutte le mie compagne di scuola avviarsi festose verso la piazza del nostro paese mentre io sarei rimasta a casa, tormentata da quelle vescicole che si stavano aprendo e che m’impedivano persino di potermi coricare nel mio letto.
Ero lì, con le mani attaccate al vetro e con il mio alito che stava formando un alone, dove scrissi:
“Non è giusto”.
Poi passai all’altro vetro e anche lì, dopo aver respirato contro la finestra, scrissi:
“Non è giusto”.
La nonna mi guardò e mi rispose alitando contro l’ultimo spicchio di vetro lasciato vuoto dalla mia disperata considerazione che, appunto, non era giusto rimanere a casa il giovedì grasso mentre un bellissimo vestito di carnevale da Fata Primavera intristiva nel mio armadio.
Nonna Angela scrisse sul vetro:
“Potrebbe essere più divertente di quanto tu possa sperare”.
Allorché io incuriosita le chiesi:
“Cosa, nonna, cosa potrebbe essere più divertente di quanto io possa sperare?”
E lei, guardandomi con il suo sguardo dolce, più dolce delle castagnole che stava impastando solo per me, mi rispose:
“Potremmo inventarci due personaggi, ai quali assegnare un nome e poi costruirci attorno una storia”.