Delusa dalla sua risposta, mi rimisi alla finestra ad assistere alla gioia delle altre bambine, libere di correre e di gettarsi addosso coloratissimi coriandoli.
Ma nonna Angela non si perse d’animo e tornò, dopo qualche minuto, con una buffa borsa nera lucida, delle scarpe con il tacco, indossate però con dei pesanti calzini di lana grigia e uno scialle che emanava il tipico odore della naftalina.
“Signora, buonasera, io sono Mila, si ricorda di me?”
La guardai senza sapere bene cosa rispondere e rimasi in silenzio, in attesa che continuasse quella che mi sembrava essere solo una sciocca recita improvvisata lì, tanto per farmi scordare che era giovedì grasso e che non sarei potuta uscire in maschera neanche l’ultimo giorno di carnevale, martedì grasso, perché il medico era stato chiaro:
“A casa per altri dieci giorni”.
La nonna continuava a stare lì e m’incalzava:
“Signora Pila ma come fa a non riconoscermi?”.
“Si sta sbagliando persona”, risposi con voce spenta.
“Signora Pila come fa a non ricordarsi di quel giorno in cui ci conoscemmo al mercato settimanale e ci mettemmo a battibeccare perché volevano entrambe quelle splendide castagne che ogni venerdì d’ottobre Giuseppe portava al suo banco?”
Nonna Angela per nessun motivo avrebbe mollato, sarebbe stata capace di rimanere lì, con quella buffa borsa e con quelle scarpe dal tacco alto che quasi sembrava si spezzasse, per l’intero pomeriggio, in attesa che io le rispondessi a tono.