Se penso che nessuno dei miei nuovi compagni di classe non hanno mai provato l’ebbrezza di stare a contatto con la natura e di poter ascoltare la voce del silenzio, quasi mi viene da piangere per loro.
Chiudo la persiana, poi la finestra e mi corico nuovamente nel mio letto, ma il sonno non vuole saperne di arrivare.
Troppo forte è la nostalgia che già provo per queste settimane trascorse.
Eppure l’avevo promesso alla nonna che avrei dormito, oggi sarà una lunga giornata: mi attende l’aereo per tornare a Chicago.
La valigia è già pronta, eccola, posso scorgere la sua inconfondibile sagoma proprio lì, vicino al mio scrittoio.
I vestiti li ha messi, uno accanto all’altro, la nonna proprio ieri sera prima di scendere in cucina per la cena.
Li ha piegati e li accarezzati, quasi per ricordare, nei giorni in cui saremo lontane, la morbidezza dei miei maglioncini di lana.
Sulla sedia ci sono i miei jeans, la camicia bianca, il gilet blu, i calzini multicolori e i miei stivaletti di cuoio.
La valigia l’ho chiusa io, nonostante la nonna mi abbia detto di non farlo perché avrei poi dovuto sistemarvi dentro il pigiama di flanella che ho indosso.
Ma ho deciso: non lo poterò con me, voglio che lo tenga la nonna, voglio che almeno lui possa rimanere qui, con lei, in questo casolare.