“Sua Maestà” il Basilico, Re del pesto genovese

Nel  nome, il destino: l’origine etimologica della parola basilico è legato alla regalità, infatti, significa “Erba del re”.

E come affermare il contrario? Come non attribuire alla pianta del basilico un ruolo di primo piano nella cucina mediterranea, un ruolo da re, appunto?

In un sugo leggero, sull’immancabile fresella estiva, sulla “panzanella”, su un pomodoro tagliato a metà…ma il suo trono, quello dal quale ha saputo affascinare le tavole di tutto il mondo, è il pesto.

“Sua Maestà” il basilico (foto di Lorenza Fiorilli)

Una salsa unica, semplice, che è stata celebrata oltreoceano nei primi anni ottanta del secolo scorso a New York, nell’ambito di una rassegna significativamente chiamata “The italian fancy food show”, lo spettacolo del fantasioso cibo italiano. Qualche anno più tardi, nel 1989, il rinomato quotidiano inglese “Sunday Times”,  ha esaltato il pesto in un articolo intitolato “A sauce called pesto”, una salsa chiamata pesto, dove è stata messa in grande evidenza la capacità dei liguri di saper coltivare il famoso basilico nei piccoli fazzoletti di terra ricavati grazie ai famosi terrazzamenti tipici della regione.

In realtà,  per il basilico, siamo debitori proprio agli inglesi, perché sono stati loro ad importare questa pianta, che nasce in Africa e nell’Asia Orientale, nel vecchio continente, di ritorno da uno dei tanti viaggi compiuti durante l’epoca coloniale.

Gli anni ’90 del secolo scorso vedono il pesto prendere la via del Canada, della Germania,  della Giordania e delle Hawaii, ottenendo ovunque lusinghieri consensi. Intanto i coltivatori liguri di basilico riescono ad ottenere l’ambito marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) proprio per tutelarne l’autenticità e per proteggerlo  da eventuali imitazioni e contraffazioni.

Il pesto che si fregia del marchio DOP, deve, però,  nascere dall’incontro del basilico coltivato nell’area tra Pra e Pegli (Genova), con l’olio extra vergine d’oliva, aglio e sale italiano, Parmigiano, Grana o Pecorino DOP e con i pinoli della pianta Pinus Pinea che cresce solo nell’area del Mediterraneo.

Se non disponiamo del basilico genovese, possiamo sempre usare anche quello che in molti coltivano nei vasi, sui balconi e sulle terrazze, ma per aver un pesto di buona qualità, bisogna seguire pochi ma necessari passi: usare il mortaio di marmo e il pestello in legno (l’ortodossia lo vuole di bosso), mai il frullatore, privare le foglioline di basilico della nervatura centrale, schiacciarle con aglio, pinoli, sale, aggiungere il Parmigiano (o Grana o Pecorino o entrambi in egual misura) e infine, l’olio extravergine d’oliva.

Il pesto è ora pronto per andare all’altare con trenette, trofie, linguine in un trionfo di sapori mediterranei.

Alessandra Fiorilli

 

 

I racconti di Mila e Pila. 31 dicembre: il monopattino in legno e quello d’alluminio-3° Parte

La nonna afferra dolcemente quel vecchio gioco di legno e accarezza, una a una tutte le parti di cui è fatto: su ogni parte c’è l’ingegno di mio padre, la sua ricerca di pezzi, le sue richieste al falegname per avere il legno, al meccanico per avere i cuscinetti.

E riflette: sì, la nonna riflette sui tempi andati, sull’infanzia di suo figlio, che ora è lontano ma che comunque è felice perché il suo lavoro gli piace così tanto.

Capisco che ha bisogno di un abbraccio ma lei, ancor prima del mio gesto, si trasforma della signora Mila per scacciare via quel velo di nostalgia.

“Signora Pila, non sa cosa mi hanno combinato questi due monopattini un po’ birbantelli!” dice la nonna.

“Mi racconti signora Mila sono proprio curiosa!” rispondo a tono.

La storia fantastica inizia così.

“ Proprio qualche giorno fa, mentre ero intenta a fare un po’ di pulizie nella cantina, sento una vocina un po’ indispettita dire queste parole:

“ Va dicendo che è bello, cromato, veloce, sicuro…che impertinente!”

Incuriosita, mi avvicinai agli oggetti custoditi in cantina, e notai che era il vecchio monopattino a parlare.

I racconti di Mila e Pila. 31 dicembre: il monopattino in legno e quello d’alluminio-2° Parte

“Nonna…”

“Ludovica, sai che non si parla con la bocca piena…”.

Ingoio quel delizioso boccone ricco di candidi e uvetta e, mettendomi vicino a lei per godere di quello spettacolo che la nonna offre quando è in cucina, le dico che non ho avuto neanche il tempo, in queste settimane trascorse al casolare, di tirar fuori quel monopattino cromato, che la mamma mi ha regalato poco prima di partire per l’Italia.

“ Vai in camera, allora, e fammi vedere come sei brava. Ma non credo proprio che potrai superare tuo padre…” lascia questa frase volutamente a metà per solleticare la mia curiosità.

“Mio padre, perché anche lui andava sul monopattino?” le chiedo corrugando la fronte.

“Certo, Ludovica, ed era velocissimo ma anche molto attento. Pensa che in tanti anni non è mai caduto, non si è mai sbucciato le ginocchia!” continua la nonna.

“Accipicchia…ed io che l’ho sempre immaginato, sin da piccolo, chiuso dentro un laboratorio…” dico mentre cammino su e per giù per la sala.

“Vai giù in cantina Ludovica. Appena entri, sulla sinistra c’è un piccolo aggeggio di legno, prendilo e torna su”.

Non me lo faccio ripetere due volte e dopo qualche minuto entro trionfante con quest’antico monopattino di legno, frutto della fantasia e dell’ingegno di mio padre.

Non posso resistere, vado su in camera mia e prendo anche il mio di monopattino, quello che la mamma mi ha regalato.

Buttare o non buttare? Questo è il dilemma!

 

Sarà capitato a tutti di fare le cosiddette “grandi pulizie”: svuotare e riordinare cantine, garage, ripostigli, cassapanche o scatole che non aprivamo da parecchi anni e che contenevano vecchi documenti o fotografie.

 E alzi la mano chi non ha mai pronunciato almeno una di queste frasi:Può sempre essere utile”, di fronte ad qualcosa che non abbiamo mai usato; “Lo avevo ancora conservato???  Non lo avevo già buttato?”, riferendosi ad un oggetto che la nostra mente non ricordava quasi più; “Beh, è ridotto male, ma è un ricordo di mamma/papà/nonno-a/zio-a/ cugino-a/ migliore amico-a” parlando di un vecchio regalo al quale teniamo particolarmente; “Si, come no! E io ci credevo pure!”, leggendo un bigliettino di San Valentino di un ex con su scritto “Insieme per sempre”; “Come sono invecchiato/a!” guardando una vecchia fotografia.

E quando ci troviamo di fronte a vecchi regali, biglietti di auguri, vestiti che non vanno più, ognuno di noi si trova a dover rispondere alla fatidica domanda: “Lo butto o lo conservo?”.

(Foto di Lorenza Fiorilli)

Sembra una cosa sciocca ma non lo è: di fronte a questa decisione entrano in gioco molteplici fattori, in particolare quelli emotivi. Ogni oggetto, che sia un vestito, un giocattolo di quando eravamo bambini, una cartolina, porta con sé tutte le emozioni, positive o negative, di quel particolare periodo o ci ricorda una persona che magari non c’è più. Ci si trova da soli, con quell’oggetto in mano e ci si sente dubbiosi sul da farsi.  Ma, alla fine, riusciamo sempre a prendere una decisione; e quando si decide di non conservarlo è perché facciamo appello alla nostra parte razionale oppure perché preferiamo tenere con noi il ricordo di quell’oggetto piuttosto che conservarlo fisicamente.

Quando invece prendiamo la decisione di tenerlo, l’importante è che l’oggetto in questione susciti in noi emozioni positive o che sia legato a momenti piacevoli della nostra vita, in quanto conservare cose che ci ricordano persone con cui non abbiamo più un bel rapporto oppure oggetti che ci rimandano ad un momento spiacevole può essere d’intralcio al nostro cambiamento.

In che modo? Ce lo spiega lo space clearing”, ovvero “l’arte di fare spazio”, una disciplina che mette in stretta relazione l’ordine esteriore con quello interiore; secondo i fautori di questa disciplina dovremmo tenere con noi solo cose utili o che, comunque, suscitano in noi ricordi piacevoli ed emozioni positive. Conservare oggetti inutili o che riportano alla mente ricordi negativi o spiacevoli può impedirci di affrontare e accettare i cambiamenti che la vita ci offre, in quanto accumulare oggetti superflui può creare un “ingombro interiore” e diventare una “zavorra emotiva” che ci tiene ancorati ad un passato che non ci appartiene più.

Tale disciplina chiama gli oggetti inutili o superflui “clutter”, e sono tutti quelli legati ad esperienze passate che ci procurano emozioni negative quali tristezza, malinconia o rabbia, oppure oggetti che ci sono stati regalati da persone che, per qualche ragione, vorremo dimenticare.

Fare ordine nei nostri armadi e cassetti, quindi non è una cosa così banale, ma ordine e cambiamento sono spesso legati; non a caso, quando stiamo passando un periodo di trasformazione, quale può essere la fine di una relazione amorosa, il trasferimento in una nuova città, o un cambio di lavoro, viene voglia di riordinare; questo perché quando facciamo ordine nella nostra casa, mettiamo ordine in noi stessi.

Dottoressa Lorenza Fiorilli, Psicologa

 

 

 

 

I racconti di Mila e Pila. 31 dicembre: il monopattino in legno e quello d’alluminio- 1° Parte

 

Si avverte già nell’aria il desiderio di tutti di iniziare un nuovo anno, di dare l’addio a quello vecchio e di stilare un resoconto dei 365 giorni appena trascorsi.

Il signor Luigi, che ci ha già portato dell’ottimo pesce in occasione della Vigilia di Natale, è già passato nuovamente per casa nostra perché quando scendo giù in cucina, la nonna sta imbottendo di mollica di pane, di capperi, di olive e di pomodorini le deliziose seppie che odorano di mare.

“Nonna, per primo c’è sempre il prelibato piatto di spaghetti allo scoglio?” le chiedo con l’acquolina in bocca.

“Stamattina non mi saluti neanche?” mi dice la nonna.

“Scusami!” e così dicendo l’abbraccio forte e le do un bacio lunghissimo sulla guancia.

“Se vuoi per colazione, c’è ancora quel panettone artigianale che abbiamo acquistato ieri al forno della signora Maria” mi dice mentre sta trafficando con lo snocciola olive.

“Nonna ma come fa la signora Maria a preparare dei dolci così buoni?! Si riesce a percepire in bocca ogni ingrediente eppure, lo stesso ingrediente è perfettamente amalgamato con l’altro!” le chiedo mentre sto tagliando una fetta grandissima di panettone.

“La famiglia della signora Maria si tramanda di generazione in generazione l’antico modo di lavorare il pane, la pizza, i dolci. Ma credo che il vero segreto di tanta bontà sia uno soltanto: l’amore che mettono nel loro lavoro!” mi risponde la nonna con infinita dolcezza.

Positano: tra miti e leggende, una bellezza che incanta il mondo intero

Quando ci si trova davanti ad una bellezza che sembra sfuggire ad ogni umana definizione, tanto  che nessuna parola è in grado degnamente di circoscriverla, allora, in nostro aiuto, giungono le leggende, dove spesso, il sacro e il profano  si intrecciano e  convivono felicemente.

Lo splendido panorama in avvicinamento a Positano (foto di Lorenza Fiorilli)

E’ il caso di Positano, uno tra i più caratteristici paesi che imperlano la meravigliosa costiera sorrentina ed amalfitana.

L’inconfondibile profilo d Positano (foto di Lorenza Fiorilli)

Il legame che la cultura italica ha con quella della Magna Grecia, lo ritroviamo in molte leggende che vedono come protagonisti paesi e città costiere del sud Italia, e anche Positano ne è una testimonianza: pare che il nome di questo centro marino,  arroccato sulle pendici dei Monti Lattari che si protendono verso il mare, sia legato al nome del dio del mare, Poseidone, il quale lo fondò in nome dell’amore da lui nutrito per la ninfa Pasitea.

L’Italia, però,  non è solo cultura classica ma anche cristiana, e la seconda leggenda sul nome di Positano è proprio legata all’effige della Madonna che si trovava su una nave, la quale fu colta da una tempesta proprio nei pressi della costa dell’attuale Positano e la leggenda vuole che i marinai sentirono la voce della Madonna dire loro: “Posa, Posa”, e la interpretarono come la volontà dell’effige di rimanere per sempre su quel tratto di costa.

Non è un caso che a Positano la chiesa più importante e anche quella universalmente conosciuta ed immortalata nelle foto, sia proprio quella dedicata a Santa Maria Assunta, la cui cupola è rivestita con le tipiche maioliche della zona. I colori sono il giallo e il verde, che ricordano il colore di un sole, il quale,  difficilmente, anche d’inverno, si scorda di baciare  Positano e il verde, che incornicia questo paese magicamente arroccato sulla roccia.

E i miti classici e le leggende avvolgono anche i tre isolotti ben visibili da Positano, noti con il nome di Isole Li Galli, o Le Sireneuse, per via della storia mitica che le vede protagoniste.

Le Isole Li Galli ben visibili mentre ci si avvicina a Positano (foto di Lorenza Fiorilli)
In lontananza, Le Isole Li Galli (foto di Lorenza Fiorilli)

Si narra, infatti, che proprio su quest’arcipelago formato da tre isolotti, Gallo Lungo, La Rotonda e La Castelluccia, vivessero delle Sirene, pronte ad ammaliare, con i loro canti, i marinai che transitavano  con le loro imbarcazioni. Sembra che di lì passò anche Ulisse, il quale riuscì a resistere alla soave bellezza di quel canto, facendosi legare all’albero della sua nave, evitando così il naufragio certo.

Di nuovo le Isole Li Galli (foto di Lorenza Fiorilli)

 

Le case bianche, i rampicanti, la spiaggia di Marina Grande, il colore di un mare che ti accoglie come in un abbraccio: tutto rende Positano un luogo magico, e non è un caso che il cartello di benvenuto reciti “Positano città romantica”.

La spiaggia di Marina Grande (foto di Lorenza Fiorilli)
Il cartello di benvenuto a Positano (foto di Lorenza Fiorilli)

A Positano sembra che l’estate non vada mai via: le foto che corredano questo mio articolo sono state scattate un fine novembre: chi potrebbe affermare, tranne che per la spiaggia priva di ombrelloni e di bagnanti, che mancasse solo  qualche settimana a Natale?

Alessandra Fiorilli

I racconti di Mila e Pila- 30 dicembre: la romantica sedia a dondolo- 6° Parte

“Vedete- riprese a parlare la sedia a dondolo con un tono dimesso che non somigliava per nulla a quello di qualche istante prima- la soddisfazione maggiore che ho, non sta nel legno pregiato di cui sono fatta, non sta nella mia solidità e nella mia bellezza, quanto nei ricordi di cui sono testimone.”

Tutti gli oggetti le si avvicinarono incuriositi e si misero a cerchio intorno a lei perché capirono che la storia si stava facendo interessante.

“Sono in questa sala da più di mezzo secolo. Su di me la signora Mila ha cullato il suo figliolo quando non voleva saperne di addormentarsi, e sempre su di me si riposava lei dopo che il suo lavoro di mamma era finito. Il marito della signora adorava cullarsi sul mio andirivieni dopo una giornata trascorsa nei campi. Quante storie ho ascoltato, ho assistito al primo sorriso di Ludovica, ai suoi passi, ma ho anche dato conforto alla signora Mila quando il marito volò via in cielo. E quanti ospiti si sono dondolati su di me mentre il camino scoppiettava. Sono felice e fiera di ciò che ho potuto regalare a questa famiglia. Grazie signora Mila per avermi voluta sempre con lei spero di regalarle altri momenti felici. E se potessi, le asciugherei le lacrime quando sedendosi su di me piange perché pensa a Ludovica che è così lontana”.

La sedia a dondolo fu capace di dare, quel pomeriggio, con il suo racconto, un grande insegnamento: sono le emozioni che restano, quelle e null’altro.

 

I racconti di Mila e Pila. 30 dicembre: la romantica sedia a dondolo- 5° Parte

“Bene, nasco tra queste colline. Il legno che è stato usato per darmi la vita proviene proprio da questi boschi. Ricordo ancora le parole del falegname quando disse che quell’ottimo legno avrebbe costruito la più bella sedia a dondolo della sua vita…!” a queste parole seguì un BUU di disapprovazione da parte degli altri oggetti della casa che stavano, insieme con me, ascoltando in silenzio la storia della sedia a dondolo.

“Silenzio, fate silenzio per favore” dissi loro per acquietarli.

“Grazie, signora Mila. Bene, quando il falegname terminò il suo lavoro fu talmente soddisfatto che fece accorrere tutti i suoi parenti e amici nella sua bottega e tra questi c’era anche il marito della signora Mila che mi acquistò perché fu colpito dalla mia bellezza. E da allora sono il fiore all’occhiello di questa casa!” concluse la sedia a dondolo.

“Non credi di essere offensiva riguardo agli altri oggetti?” le chiesi io con un tono di voce che sapeva di rimprovero.

“No, perché il bello della storia deve ancora venire!”

Allorché tutti gli oggetti si sollevarono perché ne avevano veramente abbastanza di tutta questa boria.

“Calma, silenzio, lasciamola finire di parlare” intervenni io con voce ferma.

I racconti di Mila e Pila. 30 dicembre: la romantica sedia a dondolo- 4° Parte

La storia inizia così.

“Un pomeriggio, mentre ero andata fuori l’orto, sentii provenire dalla sala da pranzo un vociare fitto fitto. Prima di entrare casa, mi affacciai dall’esterno e vidi che tutti gli oggetti sulle mensole e sul camino erano intorno alla sedia a dondolo che stava andando su e giù per la sala con il suo incedere elegante.

Entrai con il mio cesto pieno di verdure e chiesi alla sedia a dondolo il motivo di tutto quel trambusto.

“Ho potuto notare che gli oggetti della casa si stavano annoiando allora per animare un po’ la situazione ho deciso di raccontar loro la storia della mia vita” disse la sedia a dondolo con la sua voce impostata da cantante lirica.

“La tua vita, perché cosa ha di speciale la tua vita?” le risposi incuriosita.

“Ma come, me lo chiede anche signora Mila? Io sono stata la testimone di tutte le persone che hanno vissuto in questa casa, di quelle che sono venute, negli anni, a farvi visita perché se lei ha la memoria corta e non è colpa mia, io sono stato l’oggetto più apprezzato di questo casolare!”, rispose piena di boria.

“E allora sentiamo un po’ cosa ha da raccontare di così interessante!” le dissi mentre mi accomodai sulla sedia di cucina.

I racconti di Mila e Pila. 30 dicembre: la romantica sedia a dondolo- 3° Parte

E’ strano potersi fermare a parlare in negozio, e stare lì anche più del dovuto, senza fretta, senza scadenze da rispettare, senza orari della metropolitana da controllare sul cartoncino colorato che la mamma ha provveduto a mettermi nelle tasche di tutte le giacche, di tutti i piumini, di tutti i giubbotti che ho nell’armadio della nostra casa di Chicago.

Tutta la mia vita è condizionata da quei numeri, seguiti da a.m. e p.m., che scandiscono il mio arrivo a scuola e il mio rientro a casa.

Sempre di fretta, senza mai avere la possibilità di fermarsi a parlare, senza che gli altri ti chiedano premesso per salire sul vagone della metropolitana.

Ma oggi non c’è fretta, oggi sto facendo la spesa con la nonna nel nostro paese, in quei negozi che sanno ancora di bottega.

Mentre stiamo rientrando a casa, nell’istante preciso in cui la nonna si sta stringendo nel suo cappotto, vedo dal suo sguardo che un po’ di tristezza le ha bussato alla porta del cuore, sta pensando, come lo sto facendo anch’io, che tra qualche giorno dovrò ripartire per Chicago.

Allora, stringendo forte la sua mano, mentre stiamo rientrando a casa, si trasforma in Mila e mi racconta la sua storia fantastica.

“Signora Pila, voglio proprio dirle ciò che mi è successo un po’ di tempo fa”.

“Con grande piacere signora Mila!”