Non c’è verso di prender sonno, tanto vale alzarsi.
Mi dirigo verso lo scrittoio e, aprendo il cassetto, vedo che c’è ancora un quaderno a quadretti di scuola mai usato.
Piego più volte una pagina fino a ricavarne un quadratino piccolo sul quale scrivo:
“Spero tanto di vederla presto, signora Mila”.
Lo ripiego in due: quando tra qualche ora la nonna andrà giù in cucina e indosserà il suo grembiule, io lo metterò nella sua tasca, senza farmene accorgere: sarà il nostro arrivederci.
Mi corico nuovamente, sento di essere stanca ma la tristezza di dover lasciare di nuovo la nonna è più forte della stanchezza.
Attendo che l’alba del nuovo giorno inondi di luce la mia stanza.
Arriva così mattina, arriva così il momento dei saluti.
Sento la nonna scendere in cucina, ha il passo pesante, sembra essere diventata all’improvviso più stanca.
Mi alzo dal letto e mi vesto: tra meno di un’ora mio padre verrà a prendermi con il taxi per andare in aeroporto.
Piego il pigiama di flanella, metto in ordine il letto, prendo la valigia e vado dalla nonna.
Lei non parla mentre sta riscaldando il latte della colazione.
“Una fetta di ciambellone, Ludovica?” mi chiede la nonna.
“No, grazie ho lo stomaco chiuso”, rispondo.
Poi la nonna si mette a sedere vicino a me e mi accarezza i capelli all’indietro, come faceva anche il nonno.
“Sei stanca, non hai dormito?” mi chiede.
Io non vorrei dirglielo ma poi lo faccio, mi butto tra le sue braccia e grido tutto il mio dolore per la nostra separazione.