“Verrò presto da te a Chicago, Ludovica, te lo prometto!”
“Non è la stessa cosa che vederti tutti i giorni, nonna. Fammi rimanere qui con te!” la supplico tra le lacrime.
“Devi stare con i tuoi genitori, come tutti gli altri bambini”
“No, non è giusto….”
Piangiamo fino a singhiozzare ma il ticchettio delle nocche di mio padre al portone mi avverte che è giunto il momento di andare via.
Ci asciughiamo le lacrime e la nonna apre.
Il papà entra, mi abbraccia forte come non aveva mai fatto e mi sussurra in un orecchio:
“Quanto ci sei mancata e quanta è stata lunga e triste la notte di Natale senza di te. Sono felice che torni con noi”.
Bastano queste parole a farmi capire che avrei dovuto ributtare indietro la richiesta che avevo pensato di fargli: rimanere al casolare con la nonna.
Non avrei mai potuto privare papà e mamma della mia presenza, e poi, forse, se fossi riuscita a convincerli di lasciarmi al casolare, la sera, quando mi sarei affacciata alla finestra della mia camera, avrei pensato a tutte quelle centinaia di luci che provengono dalla selva dei grattacieli e mi sarebbero mancati i miei genitori.
Devo partire: questa è l’unica certezza che ho nel momento stesso in cui il papà abbraccia la nonna e mi prende la valigia.