“Non puoi rimanere neanche un giorno, figliolo?” gli chiede la nonna al papà.
“No, mamma. Lo so quello che stai pensando, che è da pazzi arrivare da Chicago e ripartire tra qualche ora ma il lavoro che stiamo portando avanti è importante ma non è importante solo per mia equipe ma per l’umanità intera. I sacrifici che ci sta imponendo questa ricerca possiamo sopportarli solo nella piena consapevolezza che il nostro impegno ci condurrà verso mete inimmaginate sino a qualche anno fa”, dice queste parole mio padre mentre scosta una sedia dal tavolo e si mette seduto.
“Vedi, mamma, io non ho preso caratterialmente né da te né da papà. Voi due, sempre così aperti e schietti, pronti sempre a dire: TI VOGLIO BENE. Di carattere sono stato sempre chiuso e adesso che siamo stati lontani per tutti questi mesi, ho sentito forte la tua assenza e tante sere sono stato assalito dalla nostalgia di te e di questi luoghi nei quali sono nato e cresciuto. Il Natale appena trascorso è stato il primo senza di te e non sai cosa avrei dato per sedermi vicino a te e per assaporare la tua polenta. Ma la vita ci impone dei sacrifici e credo che riusciamo ad accettarli solo perché ci sentiamo forti grazie all’amore di chi tiene a noi. Sei sempre stata con me, mamma, sei sempre con me, in metropolitana, mentre cammino per i viali alberati, quando pattino sul Lago Michigan ghiacciato, quando sono chiuso in laboratorio per le mie ricerche. Non credo torneremo più in Italia, ma l’idea di poterti vedere solo per alcuni giorni l’anno mi fa star male terribilmente. Perché non trascorri qualche mese da noi? In primavera, sì, mamma, in primavera, quando le brezze soffiano sull’acqua del lago oppure…vieni quando vuoi basta che ci vediamo…”.
Accidenti, mio padre che fa una dichiarazione d’amore alla nonna così palese! La lontananza da noi due credo, gli abbia fatto bene.
La nonna prende il fazzolettino a quadri dalla tasca del grembiule e dopo essersi soffiata il naso, abbraccia mio padre.