Tra carri allegorici e cortei in maschera, tra stelle filanti e coriandoli, ecco arrivare anche loro: le frappe e le castagnole, i dolci tipici di questa festa antica, che affonda le sue radici nell’antica Roma dove, in onore di Saturno, si organizzavano feste goliardiche chiamate, appunto, Saturnalia.
Era questo, un periodo nel quale l’ordine delle cose poteva essere sovvertito per tornare, poi, rinnovati e rigenerati, ad un assetto nel quale la morigeratezza dei costumi ed il rispetto delle regole avrebbero rappresentato, nuovamente, il cardine fondamentale dell’intera società.
Durante i Saturnalia, non poteva certo mancare la celebrazione anche della gola: ecco nascere, i Frictilia, ovvero dei dolci fritti nello strutto che venivano distribuiti alle persone le quali, durante questo periodo delle storia romana, si riversavano, numerose, nelle strade.
Le frappe fritte e cosparse di zucchero a velo e un goccio di cioccolato (foto per gentile concessione di Dora Paternò)
E sempre un grande gastronomo e cuoco, nonché scrittore romano, Marco Gavio Apicio, parla nel suo libro “De re coquinaria”, di frittelle a base di uova e farina tagliate a bocconcini, fritte nello strutto e cosparse di miele.
Una frappa a forma di mascherina di Carnevale (foto per gentile concessione di Dora Paternò))
Con l’avvento del Cristianesimo la festa del carnevale rappresenta l’ultimo avamposto della celebrazione dei peccati di gola e della goliardia, non a caso il Martedì Grasso, che conclude il Carnevale, precede di un giorno il Mercoledì Delle Ceneri, con il quale ha inizio la Quaresima, che conduce alla celebrazione della Santa Pasqua.
Proprio il nome Carnevale sembri derivi dal latino “Carne levare”, ovvero togliere la carne, perché, secondo l’ortodossia cristiana, nei quaranta giorni che vanno dal martedì grasso alla Pasqua di Resurrezione, non andrebbe consumata la carne.
Inalterate sono rimaste, invece, sin dall’epoca romana, le tradizioni legate alla preparazione e al consumo dei dolci: le classiche frappe, dirette discendenti delle Frictilia, sono ancora il simbolo di questa festa, anche se la ricetta più simile a quella dell’odierna frappa, è quella che Domenico Romoli scrive, nel 1560, in un suo libro, dove parla di questo impasto a base di farina, uova, zucchero, stesa, tagliata a strisce, fritta nello strutto e cosparsa di miele.
Regione che vai, nome che trovi di queste gustose strisce di pasta dai bordi arricciati e spolverate di abbondante zucchero a velo: chiacchiere, cenci, frappole, crostoni, bugie.
Una leggenda vuole che proprio il nome di chiacchiere, con cui sono conosciute in molte regioni d’Italia, sia legato alla richiesta della regina di Casa Savoia al suo cuoco Raffaele Esposito, di deliziare le conversazioni, o chiacchiere, appunto, nelle stanze di Palazzo Reale con dei dolci fragranti, semplici ma saporiti.
Con il tempo si sono aggiunte anche delle varianti alla ricetta originaria: c’è chi aggiunge all’impasto, ad esempio, il marsala, il Vin Santo o quello bianco.
Più recente, invece, l’origine dell’altro dolce tipico del carnevale: le castagnole, così chiamate perché, per la loro forma e dimensione, ricordano, appunto, quella della castagna.
Le deliziose castagnole (foto per gentile concessione di Rita Umili)
I primi cenni scritti di quest’altra delizia, li troviamo nell’Archivio di Stato di Viterbo: siamo nel 1700, ma c’è chi fa risalire la comparsa delle castagnole, impasto a base di uova, zucchero, farina, burro, un secolo prima, alla corte degli Angiò e dei Farnese.
Anche le castagnole, nel corso del tempo, hanno visto aggiungere al loro impasto originario, il rum, il cioccolato, l’alchermes, così come le frappe hanno conosciuto anche un altro metodo di cottura, quella al forno.
Cambiano il tempo e le abitudini ma loro, le frappe e le castagnole, rimangono sempre le indiscusse protagoniste del Carnevale.
Alessandra Fiorilli