“Chi ha fatto cosa? Ma davvero dici?”. “Hai visto quella lì? Dicono che…”. “Sembra che abbia fatto..”
Queste e altre frasi si ritrovano nel pettegolezzo, una forma di comunicazione non necessaria e che non porta a nessun obiettivo in particolare.
Anche se può sembrare un argomento “frivolo” o di poco conto, in realtà il pettegolezzo è studiato da diversi psicologi che si occupano di comunicazione e molti ricercatori hanno messo in atto diversi esperimenti per comprenderne meglio le dinamiche.
Se prendiamo un comune vocabolario, sotto il termine “pettegolezzo” troviamo scritto: “Chiacchera inopportuna, indiscreta o malevola”.
Esso comporta diverse informazioni trasmesse di bocca in bocca, che passando da un soggetto ad un altro vanno incontro alla riduzione o aggiunta di particolari, ad omissioni, a deformazione, e questo porta alla conseguenza che la “notizia” di partenza si modifichi. Si parla, in questo caso di accentuazione, ovvero il fenomeno per il quale alcuni particolari scompaiono mentre altri diventano salienti e proprio intorno a questi ultimi si crea la diceria.
Diversi studi hanno sottolineato una caratteristica comune nel pettegolezzo: quella dell’asimmetria sociale, ovvero sono soprattutto le azioni e i comportamenti dei personaggi pubblici o delle persone che occupano una posizione sociale superiore ad essere oggetto di dicerie.
Inoltre, sempre secondo alcuni ricercatori, il pettegolezzo è un indicatore dell’invidia sociale: chi mette in atto i pettegolezzi, di solito, non è nella condizione di fare ciò che la persona oggetto della diceria fa o è in grado di fare.
Un’altra caratteristica del pettegolezzo è quello di essere considerato, da chi lo ascolta, un’informazione molto credibile: anche se non ha nessun fondamento razionale ed oggettivo, esso viene trattato come fosse un’informazione scientifica e documentata. Questo perché, la maggior parte delle volte, le dicerie vengono messe in giro da persone con legami interpersonali forti, come un parente, un vicino di casa, un compagno di scuola, la cui credibilità non viene, pertanto, messa in discussione da chi ascolta. Ma, nonostante questa peculiarità del pettegolezzo, esso diventa, quasi in modo paradossale, impersonale, cioè, la responsabilità diventa impersonale, e questo fenomeno è ben esemplificato dalle premesse dei discorsi, quali: “Si dice che..”, “Sembra che..”, “Hanno visto..”.
A volte, il pettegolezzo può trasformarsi in maldicenza, che ha lo scopo di denigrare, calunniare ed infangare il buon nome di che ne è vittima. Essa rappresenta una vera e propria forma indiretta di violenza e di aggressione indiretta; uno studio condotto da un gruppo di psicologi britannici ha messo, infatti, in evidenza come le aggressioni dirette (ovvero quelle fisiche) e quelle indirette (verbali) svolgano funzioni simili.
Non si ferisce solo con una spinta o con uno schiaffo, ma anche con le parole e con chiacchere che molti considerano innocue o un “semplice” passatempo.
Alla maggior parte delle persone sarà capitato, dopo una discussione, una delusione, una preoccupazione, di manifestare sintomi quali crampi allo stomaco, nausea, bruciori, gonfiore o di non riuscire a mangiare sperimentando la sensazione di “stomaco chiuso”.
Il nostro intestino è uno dei primi bersagli degli effetti psicosomatici correlati allo stress; siamo in presenza, quindi, di somatizzazione, ovvero il fenomeno per il quale sperimentiamo sintomi fisici che però non hanno nessuna causa organica.
Diverse ricerche scientifiche hanno dimostrato che eventi stressanti provocano disturbi e, in alcuni casi, anche lesioni al sistema digerente. Si parla, in questi casi, di patologie funzionali, ovvero senza una causa organica nota, e tra queste troviamo la sindrome del colon irritabile.
Perché avviene tutto ciò? Perché quando proviamo emozioni negative abbiamo ripercussioni specialmente sul nostro apparato digerente?
In quest’ultimo si trova un gruppo di cellule nervose, dette, nel loro complesso, cervello addominale; tali cellule comunicano con il nostro sistema nervoso: c’è, quindi, uno “scambio di informazioni” tra i nostri “due cervelli”.
Il cosiddetto cervello addominale è in grado di funzionare in modo autonomo, come se fosse, appunto, un secondo cervello, e controlla le contrazioni intestinali e il flusso sanguigno nella parete intestinale.
Le aree cerebrali coinvolte nella reazione allo stress provocano delle secrezioni di ormoni e neurotrasmettitori che intervengono sull’intestino, e quest’ultimo invia al cervello messaggi che provocano, a loro volta, un nuovo rilascio delle stesse sostanze, in una specie di circolo ininterrotto. In situazioni di stress vengono, perciò, prodotte da diverse aree cerebrali alcune molecole, presenti anche nell’apparato digerente, che, una volta rilasciate, provocano alterazioni del funzionamento intestinale.
Diversi sono gli effetti di un evento stressante sull’apparato digerente: dolori durante la digestione, accelerazione dell’attività del colon, alterazione della flora intestinale, fino alle infiammazioni croniche.
Ovviamente, ognuno reagisce in modo diverso agli eventi negativi o traumatici e anche in caso di disturbi legati all’apparato digerente, diversa sarà la loro entità. I disturbi intestinali, così come altri disturbi psicosomatici, dipendono dalla capacità di adattamento psicologico del singolo individuo: in caso di adattamento positivo, l’organismo ritrova un nuovo stato di equilibrio, mentre in presenza di un adattamento negativo, l’organismo si esaurisce e lo stress provoca, di conseguenza, disturbi fisici.
Alcune volte non possiamo impedire agli gli eventi negativi di accadere, in quanto non dipendono da noi, ma possiamo comunque imparare a gestirli e ad affrontarli. In particolare, coloro che somatizzano soprattutto a livello dell’apparato digerente possono mettere in atto alcuni comportamenti, alcune piccole accortezze per fare in modo di non peggiorare i loro disturbi; ad esempio consumare i pasti in un clima rilassato, sedersi a tavola con persone con le quali fa piacere stare insieme ed evitare discussioni nelle ore che precedono e seguono i pasti.
La prossima volta, pensiamoci bene prima di accettare un invito a pranzo da una persona con cui non ci sentiamo a nostro agio!
Una storia, quella del “ Caffè più antico della città”, come ci dice Alberto Landi, curatore de “Al Bicerin” , che affonda le sue radici in un tempo lontano.
Nato nel 1763, lo storico locale è ospitato dal 1856 al piano terra dell’elegante palazzo antistante il Santuario della Consolata, a Torino, città nella quale Al Bicerin: “Rappresenta, da secoli, una sicurezza”, come dichiara Alberto Landi, il quale sottolinea un altro aspetto importante: “Nella scelta delle materie prime ci facciamo guidare dal senso profondo e dalla fedeltà alle nostre tradizioni e alle antiche ricette che si riflettono nella qualità dei nostri prodotti”.
La “merenda regale” a base di bicerin, torta, biscotti al burro (foto per gentile concessione de “Al Bicerin”)
Oggi come ieri, infatti, i torinesi, ma anche i turisti italiani e stranieri, sono accolti in un ambiente caldo e confortevole, ricco arredi in legno, di specchi, di lampade e di scaffalature progettate appositamente per ospitare i numerosi vasi di confetti.
Gli interni del locale (Foto per gentile concessione de “Al Bicerin”)
La bevanda con la quale torinesi e turisti amano coccolarsi è il bicerin a base di caffè, cioccolato, crema di latte e servita rigorosamente nei bicerin, piccoli bicchieri di vetro, dai quali, appunto, prende il nome.
Il bicerin (Foto per gentile concessione de “Al Bicerin”)
Tra i personaggi che abitualmente hanno frequentato “Al Bicerin”, un nome che ha fatto la Storia d’Italia: Camillo Benso Conte di Cavour, il quale sorseggiava la bevanda mentre attendeva la famiglia in visita al prospiciente Santuario della Consolata.
Il ritratto di Camillo Benso Conte di Cavour (foto per gentile concessione de “Al BIcerin”)
“Al Bicerin” vanta anche un altro primato: è stato il primo locale a conduzione femminile e l’unico dove le donne potevano entrare a gustare vermouth e rosolio.
Altri frequentatori dello storico caffè torinese, sono stati: Alexandre Dumas padre, nel periodo del suo soggiorno nella città della Mole, Friedrich Nietzsche , il compositore Giacomo Puccini, gli scrittori Guido Gozzano, Italo Calvino, Umberto Eco, e i torinesi Erminio Macario, l’ Avvocato Gianni Agnelli, il re Umberto II con la consorte Maria Josè.
La Torta Bicerin (foto per gentile concessione de “Al Bicerin”)
Non solo politica e letteratura, “Al Bicerin” è stato amato anche dal cinema, non a caso è stato il set di molto film, tra questi “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana, e “Ciao ragazzi” di Liliana Cavani.
A rendere così unica la bevanda del bicerin è la cioccolata che cuoce lentamente per ore in particolari pentole di rame, secondo un’antica tradizione, non a caso nel 2001 la Regione Piemonte ha inserito proprio il bicerin nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione.
Le tradizionali pentole di rame (foto per gentile concessione de “Al Bicerin”)
I frequentatori del locale possono gustare, oltre al bicerin, anche l’omonima torta glassata, a base di caffè e cioccolata, nonché il Liquore Regale , la torta di nocciole, il toast al cioccolato e i biscotti al burro.
La torta alle nociole (Foto per gentile concessione de “Al Bicerin”)
“Per infarto del miocardio s’intende la morte cellulare causata da un restringimento delle coronarie che portano il sangue al cuore. Tale restringimento è legato a problematiche dell’aterosclerosi, una patologia cronica, che dà manifestazione acuta proprio durante l’evento infartuale. Nell’aterosclerosi il trombo è un aggregato di piastrine che forma una sorta di “tappo“, il quale, appunto, va ad occludere completamente, o in parte, le coronarie”.
A parlare è uno dei massimi esperti in campo internazionale, il Professor Paolo Calabrò, direttore della UOC di Cardiologia ClinicaaDirezione Universitaria e direttore del Dipartimento Cardio-vascolaredell’A.O.R.N Sant’Anna e San Sebastiano a Caserta, Professore Ordinario della Cattedra di Cardiologia, presso il Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”.
Il Professor Paolo Calabrò (Foto per gentile concessione del Professor Paolo Calabrò)
Causa principale dell’insorgere del infarto, sono gli elevati livelli di colesterolo nel sangue: “Oltre il 60% dei pazienti con infarto del miocardio, presentano livelli elevati di colesterolo, ecco perché è quanto mai importante tenerlo sotto controllo” come il Professor Calabrò ha esaurientemente illustrato in una precedente intervista pubblicata sulla rivista online EmozionAmici., il 12 Febbraio scorso e che potete leggere al seguente link : https://www.emozionamici.it/2020/02/12/ipercolesterolemia-familiare-dislipidemie-e-sindrome-metabolica-ne-parliamo-con-uno-dei-maggiori-esperti-internazionali-il-professor-paolo-calabro/
“La restante parte dei soggetti che annualmente va incontro ad un infarto, non presenta elevati livelli di colesterolo anche se, l’evento legato all’infarto del miocardio, è indicativo che qualcosa, ovviamente, non va”
I sintomi più frequenti dell’infarto sono: “Dolore al torace, dispnea e astenia. Questa è la sintomatologia classica legata all’insorgenza improvvisa dell’infarto, anche se il soggetto diabetico e l’anziano, ad esempio, possono presentare un quadro atipico della manifestazione: si parla, infatti, di infarto silente che si verifica abbastanza di frequente. Ma anche in questo caso, il danno al cuore si riscontra comunque”
Dopo l’insorgenza dell’episodio infartuale: “Il paziente può riportare un danno minimo o un danno esteso al muscolo cardiaco, e nei casi più gravi, ne può conseguire un’insufficienza (o scompenso) cardiaco.”.
Coloro che dopo un infarto riscontrano danni più pesanti, di solito sono pazienti: “Con uno stile di vita errato, che fanno scarsa attività fisica, fumano, abusano di sostanze alcoliche, e non assumono correttamente la terapia che viene prescritta loro ”.
Oltre a tenere sotto controllo i livelli di colesterolo nel sangue, dopo i 40 anni d’età, è consigliabile anche sottoporsi annualmente ad un elettrocardiogramma, nell’ambito di una prevenzione che può aiutare particolarmente coloro che presentano un rischio elevato di andare incontro ad un infarto del miocardio: “L’elettrocardiogramma non salva la vita, certo, ma è comunque necessario effettuarlo”.
E dopo un infarto cosa deve fare il paziente? “Da un punto di vista alimentare, potrà assumere tutti gli alimenti, ma in quantità moderata e poi dovrà seguire, nel periodo che segue alla dimissione ospedaliera, una riabilitazione, necessaria sia per i giovani che per i meno giovani. Tali sedute di riabilitazione cardiovascolare possono essere messe a punto già nella stessa struttura, dove è avvenuto il ricovero, come avviene presso il Dipartimento Cardio-Vascolare che ho l’onore di dirigere all’interno dell’AORN Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta”.
Il paziente già colpito da un infarto ha spesso il timore di dover affrontare un secondo episodio: “Questa eventualità dipende dal soggetto, dalla sua aderenza a terapie e controlli che gli verranno prescritti e dalla sua attenzione ai fattori di rischio di cui abbiamo già parlato”.
E’ importante conoscere il proprio fisico e prestare attenzione ai segnali che esso ci manda, perché una presentazione tardiva al Pronto Soccorso può comportare conseguenze gravissime, come: “Il crepacuore, ovvero la rottura del cuore, che rientra tra le complicanze meccaniche più gravi dell’infarto, ma che oggi, per fortuna, risulta essere relativamente rara“.
Purtroppo di presentazioni tardive al Pronto Soccorso se ne sono registrate moltissime durante il periodo del lockdown, causato dall’emergenza sanitaria COVID-19: “I pazienti si sono tenuti l’”infarto addosso”, come si dice in gergo, e lo stesso infarto ha avuto, dunque, tutto il tempo di danneggiare il cuore. Nelle prime settimane del lockdown non solo i pazienti che avrebbero dovuto eseguire i controlli di ruotine non si sono presentati, ma, cosa ancora più grave, come abbiamo detto, le persone con sintomi legati all’infarto, hanno scelto di rimanere a casa, dove, purtroppo, sono morti di crepacuore per la mancata presentazione al Pronto Soccorso. Attualmente, dunque, nelle strutture ospedaliere si sta registrando un super lavoro, ma anche un aumento dei casi di aritmie dovute al fatto che in moltissimi si sono tenuti lontani dagli ospedali durante l’emergenza sanitaria”.
1860: a Napoli, nella centralissima Via Chiaia, nasce il Gran Caffè Gambrinus, la cui gestione passerà, nel 1890, a Mario Vacca, il quale volle fortemente che le sale del locale, ormai punto di ritrovo per i napoletani, venissero affrescate dall’architetto Antonio Curri, che aveva già decorato con la sua arte, formatasi alla Scuola di Posillipo, la Galleria Umberto I, poco distante dal Gambrinus.
Una delle Sale del Gambrinus (Foto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
Il nome del locale simbolo di Napoli , deriva da quello del Principe delle Fiandre Joannus Primus, considerato patrono della birra, bevanda, questa, non tipicamente partenopea, ma che salverà il Caffè Gambrinus negli anni ’70 del secolo scorso, quando il colera infesterà Napoli, come vedremo oltre.
La sua doppia anima, di Caffè Letterario al mattino e al pomeriggio, e di Caffè Chantant alla sera, farà del Gambrinus un punto di riferimento non solo per gli abitanti di Napoli, ma anche per i letterati, come Gabriele D’Annunzio, il quale durante il suo soggiorno nella città dominata dal Vesuvio, dal 1891 al 1893, proprio nelle sale affrescate del Gambrinus, dove s’ intratteneva, darà alla luce la poesia “A vucchella, “ successivamente musicata da Francesco Paolo Tosti e appezzata in tutto il mondo grazie alla voce del grande Enrico Caruso. Ai tavoli del Gambrinus amavano sedersi anche Benedetto Croce, Matilde Serao e Edoardo Scarfoglio, e questi ultimi, come si narra, ebbero l’idea di fondare il quotidiano “Il Mattino”, proprio davanti ad una tazzina di ottimo caffè.
Particolare di una Sala (Foto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
Non solo gli italiani, tra i quali anche musicisti come il compositore Pietro Mascagni, ma anche gli intellettuali stranieri subirono il fascino del Gran Caffè Gambrinus e delle sue sale: da Oscar Wilde al Premio Nobel per la Letteratura Ernest Hemingway, dalla Principessa Sissi al filosofo francese Jean-Paul Sartre.
Un’ altra Sala (Foto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
In tempi più recenti, il caffè Gambrinus è stato il luogo preferito da Maurizio De Giovanni, dalla cui penna sono nati i romanzi “I bastardi di Pizzofalcone”, poi diventati fiction di successo.
Il grande compositore Pietro Mascagni seduto al tavolo del Gambrinus (Foto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
“Ancora oggi il Gran Caffè Gambrinus accoglie ed organizza incontri letterari e presentazioni di libri, a testimonianza di un fermento culturale ancora così vivo”, dichiara Massimiliano Rosati, il quale, insieme agli zii materni Antonio e Arturo Sergio, gestisce il Gambrinus, che nel corso della sua storia centenaria ha conosciuto, almeno sino al lockdown dello scorso mese di marzo, una solo chiusura: “Nel 1938, quando che i gerarchi ritennero che i locali fossero un punto di incontro per gli intellettuali contrari al fascismo”.
I fratelli Arturo e Antonio Sergio con il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella (Fto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
Ma nel 1946 il caffè riaprì e da allora ha ripreso la sua storia, come se quella parentesi durata 8 anni, non fosse mai esistita per gli animi dei napoletani, per i quali il Gambrinus rappresenta: “Un motivo di orgoglio. Non è un caso che ogni qualvolta i nostri concittadini hanno un ospite in famiglia, decidono di fargli assaporare la vera anima napoletana, offrendogli il nostro caffè”.
Massimiliano Rosati (Foto per gentile concessione di Massimiliano Rosati)
Ma il Gambrinus non è solo sinonimo della bevanda simbolo di Napoli, ma racchiude in sé le tradizioni più care, come: “Il caffè sospeso e la più classica pasticceria”.
Anche il turista è attratto dagli storici locali: “In grado di scatenare in lui una forte curiosità” , turista che non va mai via senza aver gustato il caffè, che per Napoli è un sentimento”.
La tazzina di caffè (Foto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
E poi come non gustare il simbolo della Pasticceria napoletana come la: “Sfogliatella, che rappresenta la napoletanità nel suo essere e che ha avuto una svolta particolarmente felice dopo il 1994, anno in cui Napoli ha ospitato il G7. Non a caso, da allora, le nostre sfogliatelle, sia ricce che frolle, spesso insieme alla pastiera, sono spedite ogni giorno in tutto il mondo”.
Sua Maestà la sfogliatella (Foto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
Dietro lo sfarzo delle sale da thè e alla ricchezza della pasticceria che fa bella mostra di sé, e al via vai continuo, ininterrotto di persone, c’è il sogno di un bambino, come ci racconta Massimiliano Rosati: “Mio nonno Michele, agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, rilevò la conduzione del locale assieme ai figli Artuto ed Antonio, i miei zii, e al genero Giuseppe Rosati, mio padre. Ecco… proprio nonno Michele, quando da bambino, passava per via Chiaia con suo padre, era attirato dalle vetrine appannate del Gambrinus e un giorno, profeticamente, disse al mio bisnonno che di vetrine ne avrebbe aggiunte altre, quando un giorno sarebbe diventato il proprietario del prestigioso locale: e così è stato. Ma prima di arrivare a realizzare questo sogno, la nostra famiglia ha dovuto affrontare il periodo buio dell’epidemia di colera del 1973, quando, a risollevare le sorti del locale fu la comunità di eritrei che abitavano a Napoli, e che facevano largo uso di birra da asporto, ovvero bevevano direttamente dalla bottiglia”.
E quindi quella birra di cui abbiamo parlato all’inizio dell’articolo, “E’ stata provvidenziale”.
Terminata l’emergenza sanitaria del colera, il Gambrinus ha conosciuto una crescita esponenziale, divenendo il locale preferito dei Presidenti della Repubblica Italiana, i quali, quando erano a Napoli non potevano fare a meno di gustare un caffè nello storico locale: “Negli anni ’80 Francesco Cossiga e poi, nel 2001 l’allora Capo di Stato Carlo Azeglio Ciampi che insistette per pagare il caffè. I miei zii all’inizio fecero resistenza, ma poi videro il grande appuntamento con la Storia: quello era il primo euro speso al Gambrinus. “.
Dopo decine e decine di anni di ininterrotta attività, sempre pronti ad accogliere i propri clienti, anche il Gambrinus ha dovuto chiudere nei mesi del lockdown in seguito all’emergenza sanitaria per il Covid-19: “Ci siamo sentiti come un treno in corsa che si è schiantato contro un muro. La cosa più sconvolgente di quei mesi è stato il silenzio, non solo ovviamente, nei nostri locali, ma in tutta Napoli, in tutta Italia. E in una città come la nostra il silenzio fa ancora più male perché per le vie, le piazze c’è sempre quel brusio piacevole che ti coccola e ti fa compagnia”.
Poi la riapertura e quel: “Finalmente!” pronunciato da tutti, eppure, mentre tutto riprendeva vita e le voci tornavano a salire: “Noi abbiamo ripreso a lavorare a testa bassa, così alacremente e con rinnovato impegno, da far nascere, nei nostri laboratori, un silenzio assordante: perché quello non era il momento di parlare, ma di ricominciare il nostro impegno quotidiano”.
Ringrazio Massimiliano Rosati per la sua disponibilità, la sua affabilità tutta napoletana e lo ringrazio per quei suoni, odori e sapori che è riuscito a rendere così reali e vicini attraverso le sue parole, le sue descrizioni di Napoli, della gente, delle personalità, dei turisti, che nel corso degli anni sono entrati al Gambrinus, dove anche la Storia si è seduta al tavolo per sorseggiare un ottimo caffè.
L’adolescenza, questa fase di transizione che rappresenta l’anello di congiunzione tra l’infanzia e l’età adulta, è un momento nel quale si deve prestare attenzione anche all’alimentazione.
Come nutrirsi durante l’adolescenza e quali accorgimenti usare per trovarsi, negli anni a seguire, in salute e in forma? Ne parliamo con il Dottor Rolando Alessio Bolognino, Biologo Nutrizionista, Professore al Master in Scienze della Nutrizione e Dietetica presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Professore al Master in Medicina Oncologica Integrata presso l’Università degli Studi di Roma “Guglielmo Marconi”, Istruttore di protocolli Mindfulness per la riduzione dello stress. Autore di libri ed esperto scientifico sulle reti nazionali, nelle trasmissioni “Uno Mattina”, “La Prova del cuoco”, “Buongiorno Benessere” su RAI 1, su “Tutta Salute” su RAI 3, Rete 4, LA7, Sky.
Il Dottor Rolando Alessio Bolognino (Foto per gentile concessione del Dottor Rolando Alessio Bolognino)
“L’adolescenza è una fase delicata, rappresenta infatti, uno sviluppo che comporta cambiamenti fisici, psicologici e sociali. Quindi, anche l’alimentazione andrà incontro ad un mutamento sia in termini quantitativi che qualitativi. La colazione, il primo pasto della giornata, dovrà essere necessariamente tale da poter dare energia immediata: quindi, bene le fette biscottate con marmellata, latte e cereali. Gli spuntini, ottimi quelli a base di frutta, oppure con uno yogurt e delle mandorle, ad esempio, diventeranno necessari perché l’adolescente non dovrebbe stare più di 3/ 4 ore senza mangiare. In considerazione delle ore trascorse sui libri, dobbiamo altresì sottolineare come il cervello consuma calorie: in modo particolare ha bisogno, per il suo funzionamento, di zuccheri, ecco perché non vanno banditi dalla dieta. La scelta ovviamente cadrà sui carboidrati meno raffinati. Via libera anche a vitamine e verdure, queste ultime da consumare a pranzo e a cena, e non dimentichiamo come durante l’adolescenza, si ha un accrescimento muscolare e l’allungamento osseo, pertanto la dieta richiederà anche l’introduzione, rispettivamente, di proteine, di frutta secca e prodotti latto-caseari. Mentre il ferro, altro elemento importante nella dieta, lo troviamo nei legumi, alimenti, questi ultimi, poco amati dagli adolescenti, anche se poi molto dipende dai gusti e dalle abitudini”.
Abitudini le quali, poi, si riflettono anche sullo stile alimentare futuro, non è un caso che: “Il gusto dell’adulto di domani si formi nell’adolescenza”, come sottolinea il Dottor Bolognino, il quale punta anche l’attenzione su come sia fondamentale il ruolo della famiglia nello stile alimentare dei più giovani: “Già uno studio di 20 anni fa, ha evidenziato come, nell’86% dei casi, da genitori obesi si abbia la possibilità che anche i figli siano o diventino obesi”.
Statistiche alla mano, si sta registrando, a livello mondiale, un aumento di giovanissimi in sovrappeso, tanto da poter parlare di una vera e propria: “Pandemia. I ragazzi lasciati talvolta soli, con le famiglie smembrate per il lavoro e che delegano ad altri, rappresentano, per le industrie alimentari, un interessante oggetto di studio commerciale per le vendite. Negli ultimi anni, si parla, infatti, di Neuromarketing, azione svolta dalle aziende per individuare quale combinazione di odori colori e sapori sia in grado di stimolare le aree del piacere cerebrali creando dipendenza nei consumatori. Questi cibi, sono, per i più giovani, come il canto delle sirene per Ulisse e i suoi compagni”.
Sono soprattutto le adolescenti, ad avere, nei confronti del cibo, un rapporto ambiguo, come dichiara il Dottor Bolognino:” La dieta non è sinonimo di poche calorie e di soffrire la fame, ma di un giusto apporto dei nutrienti. E non bisogna demonizzare i carboidrati, che forniscono 4 calorie per grammo, proprio come le proteine. Certamente è più facile mangiare un petto di pollo alla piastra con un filo d’olio a crudo piuttosto che un piatto di pasta lessa! Il problema, semmai, sono i condimenti, spesso responsabili dell’aumento delle calorie totali. E sono sempre le ragazze che pur di non rinunciare al “junk food”, saltano il pasto successivo”.
Anche i cambiamenti sociali si riflettono sulle abitudini degli adolescenti a tavola, difatti, proprio negli ultimi decenni, tali mutamenti hanno avuto ripercussioni anche sul regime alimentare dei più giovani. “Nelle maggior parte delle case degli italiani, abbonda il “ready to eat”, il cibo pronto e veloce da mangiare. I cambiamenti sociali, con i genitori fuori all’ora di pranzo, si ripercuotono anche sul frigorifero e sulla credenza, all’interno dei quali si trovano, sempre più spesso e facilmente, dei cibi che producono forti piaceri palatali da gustare in 2 minuti di micronde, ricchi di conservanti ed esaltatori del sapore. Anche l’uso delle verdure crude in busta è aumentato. Come dico sempre ai pazienti, l’ideale è consumarla fresca, ma se la scelta è tra la verdura in busta che solitamente viene trattata con irradiazione per evitare la crescita di muffe, e un piatto pronto, sicuramente meglio la prima opzione, anche se non dobbiamo dimenticare come la verdura in busta sia più povera, rispetto alla fresca, di nutrienti. E tornando all’importanza del consumo dei legumi, se proprio non si ha la possibilità di consumarli freschi, sempre meglio optare per quelli in vetro piuttosto che quelli in latta”.
Determinante, dunque, educare sin da piccoli, alla buona alimentazione e alle scelte più giuste in campo alimentare: “Organizzo spesso nelle scuole medie e superiori degli incontri sul tema “cibo“, in cui intervengono sia gli studenti che le loro rispettive famiglie. È importante notare come i genitori, i quali, inizialmente partecipano con poco slancio, quasi “obbligati”, siano i primi a fare domande e a partecipare, poi, attivamente all’incontro, ringraziandomi per le informazioni date. La chiave di tutto è sempre la conoscenza”.
Le abitudini del “gruppo amici” influenzano anche quelle personali, sempre più spesso si va fuori a mangiare il tanto demonizzato “junk food”, il cibo spazzatura, ma non si disdegna, ormai, neanche il famoso aperitivo che i giovanissimi consumano sempre più spesso. Abitudini che da sociali diventano ovviamente, alimentari, con tutte le conseguenze del caso: ”Se non si riesce a dire “no” alla proposta di un pranzo o di una cena a base di “junk food” è importante non consumarlo più di una volta alla settimana. Cerchiamo di limitare i danni dov’è possibile: meglio, ad esempio, ordinare dell’insalata e del pollo ai ferri piuttosto che pollo fritto con patatine imbevute da salse di ogni genere. Anche il consumo dell’aperitivo rischia di trasformarsi da momento di ritrovo sempre più in voga tra i giovanissimi, in una vera e propria bomba calorica: si ha la sensazione di non aver mangiato nulla, invece si sono incamerate dalle 300 alle 1000 calorie, alle quali vanno ad aggiungersi quelle del soft drink, che spesso a 16 anni si consuma nella variante “alcolica leggera”. Nella seconda adolescenza, invece, il problema diventa più serio, perché l’aperitivo inizia ad essere alcolico. Ricordo che le calorie dell’alcool non danno energia, ma si convertono direttamente in grasso. Purtroppo l’abuso d’alcool sta diventando un problema serio perché, studi scientifici dimostrano come sia in grado di creare danni al cervello degli adolescenti, provocando alterazione nella formazione dei neuroassoni cerebrali”.
Uscire la sera con gli amici significa, specie d’estate, anche mangiare un gelato assieme: “Sicuramente è da preferire quello artigianale, meglio ancora se alla frutta. Quelli confezionati sono, infatti, più poveri di nutrienti e spesso più grassi. La panna, quando si può, è meglio evitarla”.
Di fondamentale importanza, per gli adolescenti, è anche l’attività fisica regolare o il praticare uno sport anche a livello agonistico: “Lo sport e la corretta alimentazione sono due anelli essenziali per lo sviluppo armonico psico-fisico dell’adolescente. In particolare, l’agonista ha spesso già una “forma mentis” verso la giusta alimentazione ed è più rigoroso, anche se non si deve mai eccedere in un controllo spasmodico delle calorie. È sufficiente anche una qualsiasi attività aerobica, ma se pensiamo che a fronte di circa 100 ore in cui si è svegli, solo 2-3 sono dedicate all’attività fisica, questo ci fa comprendere come i ragazzi non si muovano a sufficienza. E tutto questo influisce anche sullo stile alimentare che devono seguire: se ad esempio, trent’anni fa, la classica merenda era fatta con pane olio e pomodoro, perché poi si andava in bicicletta o si giocava al parco con gli amici, oggi, schiavi di una vita sedentaria, tra libri cellulari tv e console, questo è meno possibile. Quindi,se ci si muove meno, l’apporto calorico giornaliero andrà comunque ridotto, altrimenti il peso continuerà a crescere”.