Curare l’artrosi con l’Ossigeno Ozono Terapia: ce ne parla un luminare in questo campo, il Professor Umberto Tirelli

L’artrosi è una malattia degenerativa che interessa le articolazioni. Quasi il 50% della popolazione oltre i 60 anni di età, soffre di questa patologia che può variare da forme più lievi a più gravi.

Tale percentuale aumenta anche  sino al 90% quando si  parla di soggetti con più di 80 anni. Tutto ha inizio da un’alterazione della cartilagine che conduce, successivamente, alla degenerazione dell’ articolazione”.

Inizia così la mia intervista con l’eminente Professor Umberto Tirelli, Specialista in Oncologia, Ematologia e Malattie Infettive, Past Primario Oncologo e attuale Senior Visiting scientist presso l’Istituto Nazionale Tumori di Aviano (PN), Direttore Centro Tumori, Stanchezza cronica e Ossigeno Ozono Terapia della Clinica TIRELLI MEDICAL Group e tra i primi Top Italian Scientists dalla rivista Plos Biology del 2019.

Il Professor Umberto Tirelli (per gentile concessione del Professor Umberto Tirelli)

 Tra i primi fattori di rischio, dunque :  L’età avanzata, ma non sono da sottovalutare anche l’obesità, la familiarità, il diabete, il tipo di lavoro svolto: infatti è esposto ad un rischio maggiore chi sta molte ore in piedi e per le donne, un altro fattore determinante è la menopausa”.

La sintomatologia legata all’insorgenza dell’artrosi si manifesta: “Con dolore e limitazione dell’attività articolare, infatti, le articolazioni tendono a diventare rigide, quasi bloccate. L’anziano lamenta il fatto di avere dei dolori alle ossa e spesso di non riuscire a camminare”.

L’artrosi di divide poi in: Primaria, detta anche idiopatica, se legata ad una predisposizione genetica, secondaria se causata da traumi. E nel caso dell’anziano, si parla di artrosi localizzata se ad essere interessata è solo una singola articolazione, di solito quella del ginocchio, dell’anca o della spalla, oppure generalizzata se riguarda più articolazioni”.

Ad essere maggiormente interessate, sono il ginocchio e la colonna vertebrale: “Dove spesso si  notano anche delle profusioni discali”.

Alle prime avvisaglie di un’articolazione che tende a diventare sempre più dolorante e rigida, solitamente: “Si ricorre, come esame diagnostico, ad una semplice lastra che già da sola è in grado di mostrare  i segni dell’artrosi. A quel punto si potrà anche approfondire con una risonanza magnetica”.

Accertata la diagnosi di artrosi, segue la fase del trattamento:” Spesso si ricorre alla chirurgia, utilizzando protesi, specie se ad essere interessata dall’artrosi sono le articolazioni dell’anca, del ginocchio e della spalla”.

Anche per l’artrosi, però possiamo fare molto per evitare di soffrirne nella Terza Età, o comunque, per non incorrere nelle forme più gravi :” Svolgere regolarmente attività fisica è sempre una buna cosa, anche una semplice camminata va benissimo. Una grande attenzione, però, è da porre anche al peso corporeo: da evitare, quindi, di incorrere nel sovrappeso ma soprattutto nell’obesità”.

Al primo insorgere dell’artrosi :” Bene anche ricorrere alla fisioterapia”  e, per quanto attiene ai farmaci :” Solitamente si ricorre al paracetamolo e in genere ai Fans ma c’è da dire che non sempre i farmaci sono poi così efficaci per la cura dell’artrosi. Una cura, invece,  efficace e senza effetti collaterali è quella che prevede il ricorso all’Ossigeno Ozono Terapia che può essere somministrata in via sistemica, quando i dolori provocati dall’artrosi sono diffusi in tutto il corpo, oppure in via locale se invece, il dolore è localizzato ad una sola articolazione”.

Il gruppo di lavoro del Professor Umberto Tirelli (per gentile concessione del Professor Umberto Tirelli)

Il motivo per cui  proprio l’Ossigeno Ozono Terapia  si è rivelata efficace nella cura dell’artrosi, ce lo spiega, a conclusione dell’intervista,  il Professor Tirelli :” L’ozono ha un elevato potere antinfiammatorio e proprietà antidolorifiche, andando a migliorare il microcircolo e quindi la sintomatologia legata all’artrosi.  L’Ossigeno Ozono Terapia, inoltre, è estremamente indicata per quegli anziani che non possono essere sottoposti a intervento chirurgico”.

Ringrazio il Professor Umberto Tirelli, il quale mostra sempre una grande disponibilità nei miei confronti, trovando del tempo da dedicare al giornale EmozionAmici, sul quale troverete una prima intervista al Professor Tirelli sulla fibromialgia, anch’essa curata con l’Ossigeno Ozono Terapia.

D’altronde, non c’è da stupirsi che il Professor Tirelli, un luminare della scienza, sia anche un esperto divulgatore, con ottime doti comunicative: nel suo curriculum di due pagine fitte fitte,  accanto alla sua attività di ricerca, spicca anche l’essere stato vincitore, nel 2003, del IV Premio Festival della Televisione Italiana per la comunicazione medico scientifica.

                                           Alessandra Fiorilli

Gli effetti della diagnosi di Alzheimer sui familiari del malato: ne parliamo con il Professor Giovanni Battista Frisoni, uno dei maggiori esperti in campo internazionale.

L’insorgenza di una malattia non riguarda solo il malato, ma anche tutti coloro che lo amano e che si trovano, di fronte ad una diagnosi in grado di stravolgere le proprie esistenze, a dover fronteggiare qualcosa di inaspettato e di tragico. Questo è ancor più drammaticamente vero per l’Alzheimer, la malattia neurodegenerativa della quale il Professor Frisoni, Direttore del Centro della Memoria all’Ospedale Universitario di Ginevra, è uno dei maggiori esperti in campo internazionale.

Il Professor Giovanni Battista Frisoni (per gentile concessione del Professor Frisoni)

“Il malato d’ Alzheimer ci mostra le nostre stesse paure, le nostre fragilità. Questa patologia presenta non solo una propria specificità rispetto alle malattie d’organo, ma anche a quelle psichiatriche, in quanto richiede una rielaborazione del registro relazionale. Faccio un esempio pratico: in ciascuna famiglia ciascuno ha dei ruoli che sono tali anche dopo 20,30,40 anni. Durante questo lasso di tempo si sono instaurati una comunicazione verbale e non verbale e un gioco di ruoli costituenti  una struttura relazionale che la malattia, invece, costringe a dover revisionare per permettere che la relazione continui.  Difficilissimo adattarsi per il coniuge convivente: dopo decenni di vita comune e di adattamento su un certo registro di relazione (che sia dominante, accudente, controllante, o altro) il coniuge non malato deve revisionare il tutto… e non è detto che ne abbia la voglia, la forza o la capacità”.

Dopo questa illuminante prefazione, l’eminente Professor Frisoni, (già da me intervistato per EmozionAmici sulla malattia d’Alzheimer), ci parla, in dettaglio, di uno degli aspetti più dolorosi, e talvolta, sottovalutati: gli effetti emotivi dell’Alzheimer sui familiari del malato.

“Davanti alla diagnosi della malattia, la reazione non è univoca, ma spazia tra due estremi opposti: da una  consapevolezza che porta a dire: “Lo sapevo già”, ad un’amara sorpresa che si concretizza in un: “Ma cosa dice, Dottore, non è possibile!”.  In mezzo a questi due opposti, ci sono le sfumature e il determinante fondamentale della reazione è il livello di conoscenza della malattia, ovvero  le persone che la conoscono e la temono, sono anche le più attente, hanno  un alto livello di consapevolezza di  sé che li porta a  notare subito disturbi di memoria. Questo li conduce  a sottoporsi a controlli per vedere se hanno davvero l’Alzheimer, la cui diagnosi  non è sempre facile: il più delle volte, infatti, non si riesce a capire, nemmeno con una risonanza magnetica, se tali disturbi di memoria, o del linguaggio, o della parola che manca, o del non ricordare nomi, siano ascrivibili o meno all’Alzheimer. Ecco perché è spesso necessario ricorrere ai biomarcatori, quali la puntura lombare e la PET molecolare (tomografia a emissione di positroni, detta anche scintigrafia cerebrale)”.

 (Per chi fosse interessato ad approfondire tali aspetti, il link della precedente intervista è il seguente:  https://www.emozionamici.it/2019/07/31/alzheimer-ne-parliamo-con-uno-dei-maggiori-esperti-in-campo-internazionale-il-professor-giovanni-battista-frisoni/)

E quando, invece, arriva la diagnosi di Alzheimer: “Nella testa dei familiari c’è una storia che si proietta nel futuro: in molti non solo si chiedono cosa succederà al malato, ma già lo vedono nella fase terminale della malattia, quando sarà ormai allettato e bisognoso anche di essere imboccato. Qui in Svizzera dove lavoro, la diagnosi viene comunicata non solo ai familiari, ma anche al paziente e la prima cosa che cerchiamo di capire è la loro rappresentazione della malattia, ovvero la storia che il termine « Alzheimer » evoca in loro”.

La reazione dei familiari di fronte a tale diagnosi che, ancora più delle altre, fa paura, è estremamente variabile, come afferma il Professor Frisoni: Alcune famiglie si disperano sin dall’inizio, per loro la diagnosi fa crollare il mondo addosso, e questo succede soprattutto quando il malato ha elevate performance intellettuali, per il quale perdere la memoria significa non riconoscersi più per quello era. E, se da un lato tali persone hanno più risorse per gestire cognitivamente la malattia, è pur vero che queste stesse persone hanno di se stessi una rappresentazione maggiormente cognitiva. Ognuno di noi è la propria storia, noi raccontiamo noi stessi all’interno di un percorso di vita che è  verbale, ma  in gran parte emotivo e talvolta, come per i lavoratori manuali e gli atleti, anche motoria. Ma è ovvio che la prospettiva, anche se non a breve termine, di perdere la memoria, è devastante per chiunque, anche per chi, per tutta la vita, ha fatto lavori manuali”.

Si sente parlare spesso della “solitudine sociale” che colpisce i familiari di un malato d’Alzheimer: Nei primi anni di malattia, da un punto di vista delle maniere sociali, il paziente è spesso impeccabile: chi è stato un gentiluomo continua ad esserlo, così come la donna molto cortese, affabile, delicata, continuerà a comportarsi in questo modo con amici e parenti non stretti. Questo perché nelle interazioni sociali superficiali, ovvero quelle che non richiedono un grande livello di approfondimento intellettuale, il malato d’Alzheimer si comporterà con queste persone in maniera perfettamente adeguata a cortese, anche se non ricorda di chi si tratta e anche se poi appena voltato l’angolo avrà persino dimenticato l’incontro. Pertanto i familiari dei malati  si trovano a vivere in una distonia perché, nonostante il proprio congiunto ricordi poco o nulla, gli altri avranno l’impressione che al contrario sia in buona salute e spesso rimproverano il familiare: “Ma di cosa ti lamenti? Sta benone!  L’ho trovato persino ringiovanito”, questo ovviamente, lo ribadisco, accade solo nelle fasi iniziali dell’insorgere della malattia”.

Ma loro, i familiari, quando la porta di casa si chiude, sono soli con le dimenticanze continue del paziente e con le sue incessanti richieste, disperati e incapaci di poter gestire tutto, ecco perché è importante la Psicoeducazione, come ci spiega il Professor Frisoni: “In questi casi la parola chiave è rassicurazione. C’è ancora lo stereotipo del malato d’Alzheimer come aggressivo, ma in 99 casi su 100, l’aggressività che molti familiari temono, non è legata alla malattia, quanto piuttosto all’incapacità di relazionarsi in modo adeguato. Il malato che dimentica è angosciato: è un’angoscia senza nome, senza volto. La persona che già non riesce a capire cosa gli stia succedendo, e che ha il proprio coniuge il quale, anziché aiutarlo, gli dice in continuazione e di fronte alle dimenticanze: “Te l’ho detto mille volte…non ci stai proprio più con la testa…”, ebbene, questo atteggiamento porta il malato ad  aggredire l’altro verbalmente, se non in alcuni casi, anche fisicamente. Ecco, la Psicoeducazione consiste proprio nello spiegare ai familiari cosa sta succedendo per far capire loro che il malato non dimentica perché “è dispettoso “ o “me la vuol fare pagare”, , ma perché per lui gli avvenimenti della vita vengono cancellati nel giro di pochi minuti come orme sul bagnasciuga. Bisogna far comprendere ai familiari che il proprio congiunto è angosciato e ha bisogno di esser rassicurato, che ha bisogno di sentirsi dire:” Ci sono io, ci siano noi. Non ti preoccupare, ti aiutiamo. Gestiamo tutto questo insieme”:  ecco, queste parole hanno un effetto tranquillizzante in grado di eliminare l’aggressività alla base. Spesso, davanti a reazioni aggressive del malato, vengono prescritti gli psicofarmaci ai quali i pazienti sono molto sensibili, ma così facendo, non solo l’aggressività non va via, ma la situazione fisica peggiora, con una deambulazione che diventa spesso più lenta, più insicura, più instabile, esponendo il malato a cadute. Ricordiamo sempre che spesso non è il malato da curare ma il familiare da resettare. Ovviamente, in alcuni casi non vi è alternativa agli psicofarmaci e un bravo specialista saprà quando e come usarli”.

Chi si trova a dover gestire un malato d’Alzheimer, ha, a sua volta, bisogno di aiuto:” Un aiuto a livello sia fisico che psichico, infatti i familiari hanno necessità di parlare con un medico o uno psicologo, ma più spesso si rivolgono al medico perché sperano di avere da lui anche una rassicurazione da un punto di vista clinico. Spesso, però, il Servizio Sanitario Nazionale non è organizzato per offrire un tale tipo di aiuto che si va, dunque, a ricercare nelle strutture private, con notevole dispendio di denaro.

Talvolta è sufficiente dare il cambio ad un familiare in modo da offrigli la possibilità di ritagliarsi un’oretta per andare a fare la spesa, dal parrucchiere o per fare una passeggiata. Coloro i quali sono lontani dal malato, in mancanza di aiuti dalle Istituzioni, sono costretti a ricorrere all’ istituzionalizzazione del proprio congiunto, anche quando la malattia è ancora in una fase iniziale e potrebbe essere gestita con un minimo di supervisione.”

All’interno di questo quadro, ci sono anche gli altri, che spesso giudicano, additano e che, con una loro inopportuna interferenza, possono provocare ulteriore sofferenze in coloro che si prendono cura di un malato d’Alzheimer: “Una stigmatizzazione del malato che porta molti familiari a smettere di frequentare amici e lo stesso paziente non va più al circolo a giocare a carte o semplicemente al bar perché capisce che chi lo circonda lo esclude. Gli amici non sono abituati a svolgere il ruolo di rassicuratori sociali, a dire: “A noi fa piacere anche solo la tua presenza” ma si tratterebbe ancora una volta di cambiare un registro relazionale spesso radicato in anni di frequentazione. Dovremmo imparare a costruire una nuova cultura di inclusione, ma questa è una  lunga operazione nemmeno iniziata e, anche  laddove dovesse iniziare oggi stesso,  richiederebbe generazioni affinché venisse portata a compimento”.

Ringrazio il Professor Giovanni Battista  Frisoni, simbolo di una Medicina vicina al paziente, ai propri bisogni, alle famiglie, nonché  grande esempio di  una rara empatia e professionalità.

                                             Alessandra Fiorilli

L’importanza di seguire le stagioni nel consumo di verdura e frutta: ce ne parla il Professor Alessio Rolando Bolognino, Biologo Nutrizionista, Docente Universitario e volto noto della tv.

“La natura è intelligente: ci dà quello che ci serve e quando ci serve. In inverno, infatti, poiché  il corpo ha maggiormente bisogno di calorie, arrivano, ad esempio, cachi e castagne, mentre, in estate, i tipici frutti quali pesche, melone e cocomero, che sono  molto ricchi di acqua. La natura aiuta, con i suoi prodotti legati alle stagioni, anche il nostro sistema immunitario, durante i mesi freddi, e il sistema linfatico in quelli più caldi. Mangiare cibi fuori stagione, quali le zucchine a novembre le fragole a dicembre, vuol dire portare in tavola  prodotti poveri in Sali Minerali e Vitamine”.

Questo è l’autorevole parere, sull’importanza di cibarsi di verdura e frutta di stagione, del Prof. Rolando Alessio Bolognino,  Biologo Nutrizionista in campo oncologico e di prevenzione, esperto in alimentazione sportiva,  Professore a c. del  Master in “Scienze della Nutrizione e Dietetica Clinica” presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma La Sapienza , del Master  in “Terapie Integrate nelle Patologie Oncologiche Femminili” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, del Master di II livello in “Medicina integrata e food management per la prevenzione e cura dei tumori” presso l’Università degli Studi di Catania, Istruttore di  Protocolli Mindfulness,  Autore di libri ed esperto scientifico sulle reti nazionali, sia RAI che Mediaset.

Il Professor Rolando Alessio Bolognino (foto per gentile concessione del Dottor Rolando Alessio Bolognino)

Stravolgere, dunque, i cicli della natura significa nutrirsi di  prodotti che, in quel particolare periodo dell’anno, non forniscono il giusto valore al nostro corpo e alla nostra salute. Cosa c’è di meglio, in inverno, che consumare le tipiche verdure quali il cavolo nero, il cavolfiore, la verza, il carciofo, l’indivia, la zucca?

Le brassiccaceae o crucifere,  di cui fanno parte la famiglia del cavolo, del broccolo e la verza, pur essendo costituite principalmente da carboidrati sono, come tutte le verdure, povere in calorie. Troviamo, in queste verdure, abbondanza di Vitamina A, essenziale per la vista, di Vitamina  K, importante per la coagulazione del sangue, e di Vitamina C, che favorisce l’assorbimento  del ferro.  Inoltre, le stesse crucifere ostacolano l’angiogenesi, cioè la capacità propria del tumore di creare il proprio letto vascolare con cui si nutre e cresce”.

Le verdure sono erroneamente associate, talvolta, ad un’immagine “triste”: il loro essere servite lesse. “Invece ci sono tantissimi modi di prepararle: buonissime al vapore, al forno, stufate con acqua, un goccio di vino e spezie. Anzi, sulla cottura lessa c’è da dire che non è sempre la migliore, specie se si tende a bollirle per un tempo prolungato ed in abbondante acqua: così facendo, infatti, tutti i nutrienti vengono lasciati proprio nell’acqua”.

Anche e soprattutto nell’alimentazione di tutti i giorni, il Dottor Bolognino ci tiene a sottolineare come il primo approccio avvenga proprio con la vista: “Mangiamo con gli occhi e con l’olfatto”.

Vediamo, quindi, come portare a tavola le verdure rendendole sfiziose, saporite e accattivanti per il palato.

L’indivia, fonte di fibra solubile che rappresenta un valido aiuto per contrastate stipsi e costipazione, consiglio di provarla  grigliata e cosparsa di yogurt e salsa di soia, per un salutare e alternativo aperitivo. Il carciofo, in grado di ridurre l’assorbimento del colesterolo e con un’ azione diuretica, è gustosissimo trifolato, ovvero tagliato e cotto in padella con brodo vegetale bollente, oppure gratinato,  cosparso di pan grattato e pecorino, o ancora, ad omelette. La verza è ottima sotto forma di involtini, saltata o cotta all’aceto. Il cavolfiore è perfetto gratinato o in padella con pepe, vino bianco e acciughe. Mente il cavolo nero, con una quota di Vitamina C pari a 5 volte quella presente negli spinaci, si sposa nella famosa zuppa toscana, con fagioli cannellini e pane tostato, oppure si presenta sfizioso in chips al forno, o in padella sfumato con acqua, vino bianco e peperoncino. Ottima anche la zucca, ricca di Vitamina C, sotto forma di vellutata o al forno”.

Cucinare le verdure in modo sfizioso, senza doverle portare a tavola necessariamente lesse, le rende gustose anche ai bambini: “Offrirgliele  pastellate o fritte è un modo per preparare il gusto a sapori nuovi”.  

Ricette, quelle proposte dal Dottor Bolognino, capaci di rendere le verdure invitanti anche  per chi segue un regime alimentare ipocalorico per perdere peso:” Il giorno del pasto libero, invece di portare in tavola pizza, supplì e bevande gassate, benissimo una fetta di frittata ai carciofi”.

La regina della tavola invernale è la zuppa: “Cosa c’è di meglio e di più buono che mangiarne una calda quando fuori è freddo? Inoltre in inverno si tende a bere meno, quindi il consumo di zuppe e brodo vegetale ci aiuta anche ad idratarsi, senza tralasciare un altro aspetto che influisce sulla linea: le verdure danno un senso di sazietà a fronte di poche calorie”.

Ovviamente anche il consumo di determinate verdure va concordato con il medico, in presenza di alcuni patologie: “Ad esempio, le verdure lesse sono ideali per chi soffre di diverticolite, perché la bollitura rende la fibra più facilmente masticabile ed aggredibile dagli enzimi digestivi.  Oppure, chi assume anticoagulanti, deve prestare attenzione al consumo di verdure ricche di Vitamine K che possono interferire con la terapia. Il consumo di verdure come la verza, ricchissima di fibre, in caso di colon irritabile, può determinare la comparsa di fenomeni diarroici e/ o dolori addominali. Per quanto riguarda il  cavolfiore, ad esempio, è bene limitarne il consumo in caso di ipotiroidismo, in quanto rallenta maggiormente il funzionamento di quest’organo e la concentrazione di purine lo rende sconsigliato anche nei casi di calcoli renali e gotta. C’è una regola fondamentale da seguire nell’alimentazione: non è vero che tutto fa bene a tutti”.

                                                             Alessandra Fiorilli