Ravello, Villa Cimbrone: laddove ci si fonde con l’infinito…

Uno scorcio del panorama dalla Terrazza dell’Infinito di Villa Cimbrone (Foto di Lorenza Fiorilli)

 

Ravello: quella che sembra essere una semplice indicazione stradale, lungo il percorso mozzafiato che regala la costiera amalfitana, diventa, una volta arrivati in cima, il luogo dove il respiro sembra spezzarsi dall’emozione, dove il cuore comincia a battere più forte e dove i sensi sono esalati da cotanta bellezza.

Giunti nel centro di Ravello, si arriva a Villa Cimbrone attraverso una serie di viuzze in salita: lo spettacolo che attende i visitatori vale la pena di tutto il percorso da fare a piedi.

L’entrata di Villa Cimbrone (Foto di Lorenza Fiorilli)

Arrivati in cima, si entra accolti dai resti dell’antica villa, mentre la natura ti abbraccia con tutto quanto di bello possa regalare: l’incanto del monte che si protende sin verso il mare.

Varcata la soglia dell’entrata, a sinistra un chiostro in stile arabo-siculo normanno, conduce verso la maestosa cripta con massicci archi portanti dal gusto cistercense: qui già lo sguardo è rapito ora dal monte, ora dal mare, in un connubio di maestosa pace.

Particolare del chiostro (Foto di Lorenza Fiorilli)
Altro scorcio del chiostro (Foto di Lorenza Fiorilli)
Lo spettacolo della natura da un’arcata del chiostro (Foto di Lorenza Fiorilli)
Uno scorcio dal Viale dell’ Immenso (Foto di Lorenza Fiorilli)

Usciti dal chiostro, il turista s’incammina lungo il Viale dell’Immenso che conduce alla Terrazza dell’Infinito: capisci che non c’è nome più adatto di questo, solo quando ti affacci, e lo sguardo spazia su una distesa di mare blu la cui vista ti travolge, ti stordisce.

La Terrazza dell’Infinito…(Foto di Lorenza Fiorilli)
Uno scorcio del panorama dalla Terrazza dell’Infinito (Foto di Lorenza Fiorilli)
L’infinito è davvero qui…(foto di Lorenza Fiorilli)

 

Non riesci proprio ad andar via, e quando devi salutare questo spettacolo naturale dal sapore paradisiaco, ti volti indietro più volte e sai che quella Terrazza dell’Infinito ti ha stretto a sé in un abbraccio che sentirai sulla pelle ogni volta che penserai a Ravello, a Villa Cimbrone al suo belvedere.

 

Alessandra Fiorilli

 

 

L’incanto delle Alpe di Siusi…

L’emozione si siede già accanto a te nell’istante stesso in cui prendi posto nella cabinovia che da Siusi ti conduce, in circa 20 minuti, sull’Altopiano.

A valle sei già a quota 1000 e sai che arriverai fino a quasi 1900 metri, eppure non riesci nemmeno ad immaginare cosa ti aspetta in cima, dove si estende l’altopiano più grande d’Europa: 56 chilometri quadrati.

Nella cabinovia… (foto di Lorenza Fiorilli)
Il tratto che percorreremo…(foto di Lorenza Fiorilli)

 

E mentre t’incanti nel guardare il panorama che inizia lentamente ad abbracciarti,  vedi gli altri che passano dal lato opposto al tuo e li saluti, quasi come li conoscessi da tempo, da sempre, perché il condividere emozioni così forti ti fa sentire parte di un tutto.

Si diventa “amici” nel percorso e si saluta chi è dal  lato opposto al nostro…(foto di Lorenza Fiorilli)

Arrivare alle Alpe di Siusi è giungere in una dimensione che sta tra l’onirico e il surreale, perché sembra di essere protagonisti di un sogno e parte di un paesaggio che credevi esistesse solo nella favole.

La terrazza panoramica che ti dà il benvenuto, appena scesi dalla cabinovia (foto di Lorenza Fiorilli)

Appena scesi dalla cabinovia che quasi ti aspetti che da un momento all’altro sbuchi fuori il coniglio di Alice( la bambina del Paese delle Meraviglie)  e ti chieda di seguirlo…e tu gli dici di sì, lo segui quel coniglio immaginario, tanta è la magia che avvolge tutto il paesaggio circostante.

Lo spettacolo delle Dolomiti (foto di Lorenza Fiorilli)

E mentre ti incammini sui sentieri, non puoi fare a meno di pensare ad Heidi, la famosa protagonista dell’omonimo cartone animato…lei viveva con il nonno sulle Alpi svizzere e qui siamo in provincia di Bolzano, nella cornice dolomitica, ma le montagne si somigliano e quando ti entrano dentro non conoscono confini.

Allora comprendi così facilmente il motivo per cui la piccola Heidi piangeva a Francoforte, lontana dal nonno, dalle sue montagne, dai prati che si perdono a vista d’occhio, proprio come avviene alle Alpe di Suisi. Cartelli in legno  ti indicano i vari sentieri nei quali ti puoi addentrare, mentre baite sono sparse qua a là per poter rifocillarti.

L’aria è cristallina, non si sente altro che l’odore dell’erba e non  c’è altro suono che il fruscio del vento.

Prendiamo il sole su una sdraio, ma non riusciamo a tenere gli occhi chiusi  davanti a tanta bellezza del panorama dolomitico.

Il cielo che sembra spennellato da un pittore…(foto di Lorenza Fiorilli)

E quando vai via, non vorresti farlo e quel coniglio che credevi di aver incontrato, appena scesi dalla cabinovia,  sembra ti voglia trattenere… saliamo, alla fine, sulla cabinovia e ci voltiamo indietro fino a quando dietro di noi quell’alpeggio sconfinato scompare dalla vista,  pur se resterà per sempre impresso negli occhi, nell’anima, nel cuore…

Si sta per scendere a Siusi…(foto di Lorenza Fiorilli)

Alessandra Fiorilli

Difendiamo il cibo vero per difendere la salute. Prevenzione primaria e diagnosi precoce, terapie personalizzate contro il cancro alla mammella: ne parliamo con il Dottor Raffaele Leuzzi

 

C’è confusione tra prevenzione primaria e diagnosi precoce, è per questo che oggi proveremo a fare chiarezza parlandone con il Dottor Raffaele Leuzzi, Specialista in Oncologia Chirurgica e Senologia Diagnostica, il quale, in una precedente intervista, ci ha già chiarito la stretta correlazione tra alimentazione e progressione del cancro.

Il Dottor Raffaele Leuzzi

“Tra gli strumenti della prevenzione c’è prima di tutto il cibo e lo stile di vita, che dovrebbero essere visti con tutta la loro valenza preventiva. La prevenzione può, infatti, ridurre l’incidenza del cancro, mentre la diagnosi precoce  limita i danni del tumore riducendo la mortalità. E qui la differenza è grande, come si può ben capire”.

Lo strumento della diagnosi precoce per eccellenza è la mammografia digitale diretta o la 3D e anche qui occorre fare chiarezza sulla fascia d’età nella quale deve essere effettuata: Lo screening mammografico andrebbe effettuato dai 40 anni in su e non c’è un massimo d’età, quindi quando si leggono di fasce d’età diverse da quelle ora citate, è perché il Servizio Sanitario Nazionale offre uno screening che è un LEA, ovvero un livello essenziale di assistenza, dettato dall’interesse sociale e si basa sul rapporto costi/benefici. Il SSN effettua screening su una popolazione femminile apparentemente sana e asintomatica  per ridurne la mortalità nella fascia di età 50-69 anni. Ma le donne devono sapere che la diagnosi precoce è un bisogno che comincia prima strettamente personale e quindi volontario. Lo screening non prevede nulla a 40-49 anni e dopo i 69 anni, solo di recente alcune regioni praticano lo screening da 45 a 74 anni.  Non c’è un tetto massimo per il rischio di cancro al seno, se consideriamo poi che  l’età maggiormente a rischio è dopo i 40 anni, con picchi sui 55, mentre la mortalità più alta la si registra dopo i 64 anni, vediamo quindi come ci sono fasce di popolazione ad alto rischio non coperte dallo screening.”

Fattori di rischio per l’insorgenza di un tumore alla mammella sono essenzialmente tre, ma sono fattori di rischio immodificabili:  l’età, dopo i 40 anni, la familiarità e la struttura mammaria, struttura che si è profondamente modificata negli anni, come dichiara il Dottor Leuzzi: ” L’aspetto  radiografico della mammella deriva dalle caratteristiche delle sue componenti: tessuto adiposo ( radiotrasparente),  tessuto ghiandolare e stroma ( radio-opachi, densi ). Attualmente i seni densi si aggirano intorno al 50%  e questo tipo ha una prevalenza della struttura ghiandolare, quindi è più a rischio e maschera il cancro ostacolando la diagnosi precoce. I seni, invece, delle nostre nonne erano adiposi e grandi, mentre  oggi i seni sono medio/ piccoli perché l’adipe è diminuito ed è aumentata la componente ghiandolare. Per questo  la diagnostica strumentale sta cercando di andare incontro a questi cambiamenti del seno, prevedendo sempre l’ecografia dopo la mammografia e in casi selezionati alle mammografie con mezzo di contrasto iodato che consente di visualizzare la neoangiogenesi, la vascolarizzazione del tumore. “

La modifica della struttura del seno, prima adiposo e grande, ora più piccolo e denso, è da collegarsi ad alcuni aspetti, quali il tipo di dieta:  Il seno grande è più facile da analizzare perché risulta essere radiotrasparente, a differenza di quello piccolo che è radioopaco. Le nostre nonne, che seguivano la classica dieta  mediterranea con legumi, frutta, verdura, olio Evo, pesce azzurro, vino rosso con moderazione, pochissima carne e cereali non raffinati,  praticavano, senza saperlo,  una dieta  che le salvaguardava dal tumore. La dieta mediterranea, oggi ridotta a brand commerciale, dovrebbe essere il modello alimentare del futuro e non è un caso che nel 2010 è stata proclamata patrimonio immateriale  dell’Unesco, capace altresì, di contrastare le cosiddette malattie del benessere quali, oltre ai tumori, anche  diabete, obesità e patologie cardiovascolari. La dieta non è privazione ma è regola e questa  regola ci dice che dobbiamo prediligere frutta e verdura con filiera corta, a km zero, come si suol dire. La dieta mediterranea è biodiversità, è tutela del paesaggio, è cibo locale, del territorio in cui si svolge l’intero ciclo di filiera. Dovrebbe instaurarsi un’alleanza tra consumatori e piccoli produttori per assicurare che sulle nostre tavole arrivino prodotti  coltivati negli stessi luoghi dove poi vengono consumati. Via libera, dunque, alla dieta mediterranea con cereali non raffinati (che contengono sali minerali, vitamine e fibre)  olio E.V.O (extra vergine d’oliva), verdure, legumi, frutta secca, vino rosso con moderazione e pesce azzurro da consumare due volte la settimana. Concessa anche la carne, con un massimo di una volta la settimana ma che non provenga da allevamenti intensivi, da evitare gli zuccheri e grassi saturi, calorie vuote” dichiara il Dottor Leuzzi, il quale pone l’accento sulla differenza tra :”Cibo vero, quello naturale, stagionale, fresco, locale da agricoltura sana e da cucinare, con uso esclusivo di olio extravergine di oliva come grasso di condimento e cottura; cibo non vero, quello imballato, pronto, ultra-processato, che è insostenibile per l’ambiente e per la salute”.

Per quanto attiene al fattore familiarità, i tumori eredo famigliari sono tra il 5 e il 10% del totale dei tumori al seno, cosa fare, dunque? “ La donna, che in seguito a test genetici che mostrano modificazioni scopre l’alto rischio può prendere due decisioni: vivere con questa spada di Damocle, conducendo una vita da malata, anche se ancora non lo è, o decidere di sottoporsi a mastectomia e ovariectomia, ovvero la rimozione delle ovaie, perché i due rischi sono strettamente correlati. Due trattamenti, questi, ancora più devastanti della possibilità, in futuro, di ammalarsi di tumore alla mammella”. 

Quali sono altri campi di applicazione dei test di espressione genica? “La chemioterapia adiuvante, quella precauzionale dopo l’intervento non è necessaria per una grande proporzione di donne con carcinoma mammario allo stadio iniziale.

I risultati provengono da uno studio, che ha coinvolto più di 10.000 pazienti e testato il test di espressione genica che esamina l’attività per  21 geni.

L’applicazione di questo test nella pratica clinica risparmierà la chemioterapia nel 70% delle pazienti, con carcinoma mammario ormonosensibile, linfonodi ascellari negativi e profilo genetico HER2 negativo. ll test  si chiama Oncotype Dx , ed esamina l’attività di 21 geni in grado di dire qual è la terapia migliore e a chi  potrebbe essere risparmiata la chemioterapia e trarre giovamento dalla sola ormonoterapia.  I risultati sono stati presentati durante la sessione plenaria dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) in corso a Chicago.

Per concludere, la scelta di uno stile di vita più sano consentirebbe di prevenire più malattie di quanto non potrà fare la medicina tecnologica e di prevenire la medicalizzazione massiva delle persone. Il cibo consapevole ha valenza preventiva e terapeutica, in attesa di terapie sempre più personalizzate”.                                    

 

 

 

Alessandra Fiorilli

 

L’ infertilità: ne parliamo con la Dottoressa Francesca Sagnella

 

Per secoli si sono addensate, attorno al delicato ambito della fertilità e del suo aspetto opposto, l’infertilità, credenze popolari, superstizioni e pregiudizi specie verso la donna, la quale: “Non era riuscita a dare un figlio al marito”.

Fortunatamente, i progressi della medicina hanno interessato anche questo delicatissimo ambito che è legato a doppio filo con quello psicologico: è ben noto quanto una diagnosi di infertilità possa essere pesante da accettare e da gestire all’interno della coppia.

Di infertilità ne parliamo con un’esperta del settore: la Dottoressa Francesca Sagnella, una laurea in Medicina e Chirurgia conseguita presso lUniversità Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dove si specializza in Ginecologia e Ostetricia con una tesi sperimentale sulla sindrome dell’ovaio policistico.

Dal 2009 al 2011 presta servizio, come Dirigente Medico di Primo Livello, presso lUnità Operativa di Ginecologia Disfunzionale e presso la sala parto del Dipartimento per la tutela della salute della donna e della vita nascente del policlinico Gemelli. In quegli anni coltiva il suo crescente interesse per la ricerca scientifica, conseguendo nel 2012 il titolo di Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana . Dal 2012 collabora con il Prof Claudio Manna, sia in ambito clinico che scientifico, presso il centro di riproduzione assisitita Biofertility e presso il centro studi Genesis in Roma.

La Dottoressa Francesca Sagnella

Ha partecipato a numerosi corsi e congressi nazionali e internazionali, anche in qualità di docente e relatore, e alla stesura di alcuni capitoli di libri inerenti la diagnosi e la cura dell’infertilità.

Linfertilità è lincapacità di concepire dopo un anno di rapporti sessuali liberi, ovvero senza nessun metodo contraccettivo. Trascorsi i 12 mesi, senza che abbia avuto inizio una gravidanza, si inizia una ricerca di coppia per scoprire le eventuali cause dellinfertilità”.

In un momento storico come l’attuale, dove la prima gravidanza si è spostata in avanti di molto, rispetto a quelle delle mamme di una volta, è necessario valutare anche l’età della donna perché potrebbe essere necessario ricorrere allo specialista anche prima che sia trascorso l’anno di rapporti liberi.

In effetti, attualmente, letà media della prima gravidanza si aggira intorno ai 31-32 anni, proprio quando comincia a calare il tasso di fertilità naturale. Una consistente percentuale di donne, tuttavia, per i motivi più disparati, comincia la ricerca della gravidanza intorno ai quaranta; in questi casi attendere un anno prima di intraprendere un percorso diagnostico potrebbe essere rischioso per un motivo molto semplice: la fisiologica e progressiva riduzione della riserva ovarica, ovvero dei follicoli contenenti gli ovociti. I follicoli si formano nellembrione e non si rigenerano nel corso della vita femminile, a differenza delluomo, nel quale il ciclo di spermiogenesi, ovvero il rinnovo dello sperma, avviene ogni 72 giorni. E molto importante, quindi, sottoporsi ad una visita accurata senza perdere tempo prezioso dichiara la Dottoressa Sagnella.

Cosa fare, dunque, se la tanto desiderata gravidanza non arriva? Si parte con gli accertamenti medici, se per il maschio è lo spermiogramma , che consiste nella consegna di un campione del proprio sperma ad un laboratorio competente , per la donna gli esami fondamentali cui deve sottoporsi sono: lecografia transvaginale con la conta dei follicoli antrali, gli esami ormonali, lesame delle tube . La percentuale dellinfertilità di coppia è aumentato negli ultimi anni, come conferma la Dottoressa Sagnella : “Lincremento di questa problematica sembra fortemente correlato allaumento delletà media della prima gravidanza e agli inquinanti ambientali che in medicina chiamiamo interferenti endocrini perché, appunto, causano effetti sul sistema ormonale. Siamo purtroppo circondati da pseudo-ormoni, quali il bisfenolo A (presente in molte plastiche) che sembra essere una delle possibili cause di insorgenza dell endometriosi , una patologia invalidante che costringe a letto, durante il ciclo, le donne che ne sono affette e che rappresenta una vera minaccia per la fertilità”.

Interferenze ormonali sono provocate , oltre che dagli inquinanti ambientali, anche da un altro fattore sconosciuto nel secolo scorso, quale lobesità : Che ha un forte impatto sia sulla donna che sulluomo, perché ladipe produce ormoni.

Avviati, dunque, gli esami pertinenti e giunta la diagnosi di infertilità, la coppia è destabilizzata sotto il profilo psicologico, tanto che: LOMS, lOrganizzazione Mondiale della Sanità, lha classificata come malattia . Un figlio è importante per entrambi, ma nella donna il desiderio di maternità è un qualcosa di istintivo. Spesso nella donna infertile può scatenarsi anche un vero e proprio senso di rabbia – dichiara la Dottoressa Sagnella, la quale continua- La diagnosi di infertilità va ad interferire con il benessere psico-fisico e, proprio per superare questo impatto, la coppia deve essere quanto mai unita. Coppia che spesso cambia le proprie abitudini, si isola, ad esempio scegliendo di non frequentare più gli amici che hanno figli.

Cambia la visuale attraverso la quale si guarda il mondo perché quel ventre ancora vuoto fa male:

Le donne notano i pancioni delle altre e nei supermercati evitano di passare per i corridoi con pannolini, pappine. Si apre una ferita profonda nellanimo, conclude la Dottoressa Sagnella, la quale, ci parlerà, nei prossimi giorni, di cosa possa fare la medicina nel campo dell’infertilità.

Alessandra Fiorilli

Silvano, Otello, Gabriele: i ragazzi degli anni ’60 a Nettuno

La guerra stava per terminare, o sarebbe finita di lì a poco, quando nacquero i ragazzi che sarebbero stati i protagonisti del Boom Economico, un periodo memorabile, senza eguali.

Avrebbero sognato sulle note dei cantanti americani più in voga dell’epoca, avrebbero dondolato sulle gambe per seguire il ritmo del twist, avrebbero ballato, guancia a guancia, con la ragazza per la quale avevano preso una cotta, avrebbero atteso il sabato e la domenica per incontrarla di nuovo, nella casa di quell’amico che aveva messo a disposizione la propria casa.

Anni mitici, anni che rivivremo grazie ai racconti di tre ragazzi degli anni ’60… sì, ragazzi, hanno se hanno passato la settantina da un po’: perché il loro animo è giovane, e perché serbano nel cuore tutta la passione di quel periodo irripetibile.

Loro sono, in rigoroso ordine alfabetico,  Silvano Casaldi, Otello De Santis, Gabriele Petriconi.

E quando cominciamo a parlare, i ricordi si fanno reali.

“La musica era cambiata molto in quegli anni, la prima rivoluzione l’aveva fatta già nel 1958 Domenico Modugno con il suo “Nel blu dipinto di blu”.  Poi arrivò Bindi, Celentano con il suo “24000 baci” e il rock dagli Stati Uniti. Ricordo che comprai il mio primo giradischi a rate e che lo mettevano nel cortile di casa così che tutti potevano ascoltare la musica e ballare”, racconta Otello.

 

Otello De Santis

 

“I dischi, a Nettuno, li si potevano acquistare in via Romana e in via Gramsci,, ma soprattutto a Roma e, se si voleva risparmiare qualcosa, li si comprava ai baracconi che si spostavano di paese in paese, in occasione delle feste patronali. Si potevano trovarne di usati, un po’ rigati, ma si risparmiava molto”, gli fa eco Silvano.

Silvano Casaldi

Musica e ballo, dunque, negli anni ’60, e dove c’era da ballare non poteva mancare Gabriele, il più “modaiolo” di tutti e tre:” Avevo la fortuna di avere una sorella che sapeva cucire, così potevo sempre seguire la moda, specie quella d’oltreoceano: infatti indossavo calzoni stretti, pettinino, portacerini, polsini in similpelle sulla camicia e persino un mantello. E così vestito non perdevo un’occasione per sfoggiare la mia capacità nel ballo”.

D’estate le terrazze mattonate si trasformavano in luoghi magici, dove i primi palpiti del cuore si fondevano con il gusto della libertà, e con quello dei biscottini e del vermouth che veniva spesso offerto ai ragazzi, come racconta Silvano, il quale a proposito degli abiti indossati dai ragazzi, dice: “Delle volte, però, era d’obbligo il vestito, specie nei ricevimenti nuziali, ricevimenti ai quali capitava spesso di “imbucarci” perché un amico di un nostro amico era stato invitato”.

E se durante il sabato e la domenica si ballava, nelle case, durante l’inverno e sulle terrazze d’estate “Ma anche qualche volta nelle grotte”, come dice Gabriele.

Gabriele Petriconi

Il resto del settimana ci si incontrava nei bar: “Dove ci si sfidava a biliardino, a flipper, ma anche a carte. I premi in palio potevano essere un caffè o, semplicemente, un pacchetto di caramelle”, come dice Otello.

Immancabile nei bar era anche il juke-box, perché la musica era parte integrate dalle vita dei giovani: “I famosi film con Gianni Morandi, i cosiddetti “musicarelli” non erano altro che la fedele ricostruzione di quello che veramente facevano noi”, dice Gabriele.

Non solo i bar, ma anche ogni spiaggia aveva i juke-box,  come ricorda Gabriele, il quale svela: “ Ballare faceva rima con conquistare, specie d’estate, quando, molti di noi avevano la classica storiella con qualche ragazza romane…e come dimenticare la Marciaronda, dove ci scambiavamo baci, appoggiandoci a quelle pietre che al sole diventavano bollenti.”

E sempre Gabriele, da modaiolo qual era, ricorda un particolare: “Quando acquistavamo i jeans ci tuffavano a mare vestiti per restringerli e poi li  scolorivano con i sassi  della prima diga, perché li volevamo così, effetto usato”.

Musica, batticuori, balli, voglia di stare insieme, terrazze, biscotti, vermouth, baci rubati, juke box, flipper e biliardino: quanta nostalgia degli anni  ’60, anche e forse soprattutto per chi non li ha vissuti, come me…

Alessandra Fiorilli

Il nuovo collaboratore di EmozionAmici è Carlo Belleudi

 

La rivista “EmozionAmici” da oggi si avvale di un nuovo collaboratore : Carlo Belleudi, classe 1999, studente del Liceo Musicale “Chris Cappell College” e con la passione per le sette note sin da quando era piccolo, una passione che lo porta a dire: “La musica è tutta la mia vita perché penso che sia il miglior modo per esprimere quello che provo”.

Carlo Belleudi mentre suona la sua batteria (foto per gentile concessione di Carlo Belleudi)

La batteria è il suo primo amore, ma: “Suono anche la chitarra, il pianoforte e il sassofono”.

Le sensazioni che Carlo prova sono talmente profonde ed intense da farlo sentire, quando suona:  “La persona  più forte del mondo. Un insieme di emozioni che non mi abbandonano mai, neanche quando finisco di suonare il pezzo”.

Una passione, quale per le sette note che Carlo condivide, dal 2017 con altri ragazzi, insieme ai quali ha fondato il gruppo “God Slap”, nato, come ci racconta Carlo: “A scuola, quando un giorno ci diedero da svolgere un compito strutturato per rivisitare, in chiave moderna, i pezzi dei Beatles. Dopo ciò,  gli insegnanti ci chiesero di esibirci anche l’ultimo giorno di scuola. Fu un’esperienza, questa, che ci piacque talmente tanto da pensare di continuare a suonare insieme. Così decidemmo di fondare un gruppo tutto nostro, gruppo che è composto da cinque elementi : basso elettrico, batteria, percussioni, tastiere, chitarra. Insieme ci divertiamo molto, e la passione che ci unisce è quello di suonare ciò che ci più ci piace”.

Il gruppo sta raccogliendo già  le sue prime soddisfazioni:  “Ci hanno contattato per diverse serate in zona e abbiamo suonato anche in giro per il Lazio” dice Carlo che nel 2013 ha partecipato al Concorso Internazionale per Musica da Camera, risultando 1° nella Categoria di Musica d’Insieme e  per 3 anni consecutivi ha conseguito un Master in Batteria presso Monte San Biagio.

Il momento delle prove per Carlo e i suoi colleghi:” E’  crescereè divertirsi con amici che hanno la tua stessa passione,  e con i quali condividi  momenti importanti della vita”, conclude Carlo che per la rivista  EmozionAmici ci parlerà appunto dell’evoluzione della musica, nonché ci regalerà suoi inediti come sottofondo a servizi video giornalistici che tra breve arricchiranno il nostro giornale.

Alessandra Fiorilli

 

 

 

A colloquio con il Dottor Raffaele Leuzzi, Medico Oncologo: “Dobbiamo affamare il cancro”

 

 

Il Dottor Leuzzi, Medico Oncologo prestato alla senologia diagnostica, è quanto mai chiaro e diretto: “Dobbiamo affamare il cancro”.

Il Dottor Raffaele Leuzzi

Quattro parole coincise, che non lasciano margini a dubbi: il Dottor Leuzzi le pronuncia forte della sua formazione e del uso impegno nel campo dell’oncologia.: laureatosi in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Padova, specializzatosi in Oncologia Chirurgica presso l’Università degli Studi di Napoli, diventa Borsista Ricercatore Universitario di Senologia Diagnostica. Attualmente svolge e dirige l’attività ambulatoriale nell’Unità Diagnostica della SIRP (Servizio Interdisciplinare Ricerche e Prevenzione) a Roma, dove effettua, annualmente, circa 5000 esami clinico-strumentali tra Tomosintesi, Cesm, ecografia 3D. Relatore a molti congressi, partecipa a molteplici corsi e congressi riguardanti la prevenzione primaria del tumore al seno e la diagnostica della patologia mammaria, partecipando, in particolare, ad organismi quali la FONCaM(Forza Operativa Nazionale Carcinoma alla Mammella).  Dal 2016 è Presidente dell’Associazione di volontariato “Le donne scelgono”, operante  a Roma  dal 1991 nel campo della prevenzione e diagnosi precoce del tumore alla mammella. E’ altresì  Responsabile Editoriale dei siti  web www.senologiadiagnostica.it, www.ledonnescelgono.it, www.associazionesirp.it.

 

Quello che fa bene alla nostra salute- afferma il Dottor Leuzzi- fa male al cancro che si nutre di glucosio, un energizzante. I picchi glicemici vanno a nutrire il tumore. Sappiamo ciò dagli anni ’30, da quando un medico, il quale venne insignito del Premio Nobel per la Medicina, parlò per primo di questa connessione. Le cellule tumorali necessitano 20 volte di più, rispetto a quelle normali, di zuccheri, ecco perché quando ha bisogno di energia la va a prendere dal glucosio e attraverso i picchi glicemici va a creare vascolarizzazioni e con l’insulina le cellule tumorali crescono”.

 

Con un’alimentazione consapevole, potremmo ridurre l’incidenza dei due tumori più diffusi, quelli al colon retto e alla mammella “Anche del 30%” come dichiara Leuzzi per il quale “Il cittadino, attraverso una scelta mirata del cibo, potrebbe salvarsi da solo”.

Invece siamo ancora lontani dal seguire questi semplici consigli, mentre sarebbe sufficiente sapere  almeno cosa non acquistare:” Carne da allevamenti intensivi e cereali raffinati, preferiti ancora oggi dal 65% degli italiani.  Bene, invece, il pesce azzurro e soprattutto i cereali integrali e i legumi, che invece registrano un consumo pro capite annuo molto basso, siamo infatti attorno ai 4 chili e mezzo. Sul consumo di carne che attualmente si aggira intorno ai 70 chili pro capite annuo, dobbiamo pensare che ciò che danno loro da mangiare a noi fa male. Ormai gli animali sono diventati macchine di produzione per il cibo, basti penare alla velocità con la quale sono pronti per finire sulle tavole: 6 mesi per un manzo, 4  per un maiale e addirittura 35 giorni per un pollo Broiler”.

Scegliere consapevolmente, dunque, porre attenzione a ciò che portiamo in tavola, perché ciò che mangiamo avrà una ricaduta sulla  nostra salute: La pasta da consumare è quella di grano duro ed essiccata a basse temperature. Il grano deve essere il nostro, quello che cresce con il nostro sole, mentre quello importato, specie da nazioni fredde e umide, è piena di glifosato, un pesticida cancerogeno per l’uomo”.

E’ arrivato davvero il momento di invertire la rotta: Dovremmo alimentarci per nutrirci…oggi, invece, ci alimentiamo per ammalarci. E non solo di tumore, ma anche patologie cardio-vascolari, di diabete. Zuccheri e grassi saturi, inoltre, incidono molto anche sull’aumento dell’obesità, specie di quella infantile, con tutte le conseguenze che ne derivano. Un quarantenne di oggi non ricorda, della sua infanzia, tanti bambini in sovrappeso ed obesi come oggi. Nella fascia tra gli 8 e i 9 anni, i ragazzi obesi in Italia sono circa il 30%. Questo vuol dire che i bambini oggi non i nutrono, si malnutrono, così come purtroppo stanno facendo gli adulti”.

Eppure dovremmo cominciare ad avere una maggiore consapevolezza del cibo, di quello stesso cibo che, come dice il dottor Leuzzi:” Dovrebbe diventare un’arma contro il cancro se solo scegliessimo un regime alimentare che ci nutre e non ci avvelena. Il cibo potrebbe essere la nostra medicina: solo in quel caso possiamo parlare di prevenzione che è cosa ben diversa dalla diagnosi precoce. Effettuare la mammografia, ad esempio, così come qualsiasi altro screening, è diagnosi precoce, mentre preservare la salute, impedendo al cancro di prodursi e crescere è prevenzione”.

In una nazione come la nostra, dove la dieta mediterranea dovrebbe essere la protagonista incontrastata della tavole di tutti i giorni, non siamo in grado di preservare quella cultura del cibo dei nostri avi, avvezze a mangiare piatti poveri, frutto della migliore tradizione contadina, la stessa alla quale dovremmo tornare, come dichiara il dottor Leuzzi”: Nel momento stesso in cui, negli anni ’90, si è cominciato a parlare di dieta mediterranea, noi ce ne siamo allontanati, preferendo diventare dei clienti, pronti ad acquistare il cibo industriale. E più compriamo, più sprechiamo: sono andati in fumo 13 miliardi di euro in cibo buttato, lo scorso anno in Italia. Oggi la cucina è diventata l’ossessione di tutti, ne siamo costantemente bombardati, mentre invece dovremmo porre attenzione al cibo che non deve essere considerato come merce ma come strumento di prevenzione e salute”.

Alessandra Fiorilli

Mister Neno Cesarini ci parla della sua passione per il calcio

 

“La passione per il calcio? L’ho sempre avuta, sin da bambino, quando, insieme gli amici, con i quali abbiamo condiviso l’infanzia,, giocavamo a pallone fuori casa”, così inizia il suo racconto Mister Neno Cesarini, il cui nome è da sempre legato al gioco del calcio.

Neno Cesarini in una sua foto (per gentile concessione).

“Purtroppo non ho mai avuto la possibilità di scendere in campo con la maglia del Nettuno, la mia città natale, perché io militavo con gli Allievi e a Nettuno non c’era questa categoria”.

Erano tempi, quelli della gioventù di Neno, dove il campanilismo tra le due città limitrofe di Nettuno ed Anzio era particolarmente forte, tant’è che lo stesso Neno, pur se con il sorriso sulle labbra e con un pizzico di ironia, ci racconta come sia approdato nella squadra degli Allievi neroniani: “Mi avevano detto che se volevo continuare a giocare in zona, l’unica possibilità era di andare con l’Anzio, ma io ero un po’ titubante, fino a quando il grande Mister Biti, conosciuto con il soprannome di “Mago del Tirreno” venne a trovarmi nel negozio di mio zio e mi convinse a seguirlo. Sono stato l’ultimo ad andare via dall’Anzio…è stato un bel periodo della mia vita”.

E nella città neroniana Neno torna qualche anno più tardi: “Dopo aver conseguito, nel 1985, il patentino da allenatore”.

Neno, nel suo ruolo da Mediano, è bravo, così bravo da avere l’occasione di andare a giocare in Serie C: “Purtroppo, e questo rimarrà per sempre il mio più grande rimpianto, ho avuto un alterco con un arbitro…ho sbagliato, me ne sono reso conto subito, ma avevo l’irruenza dei vent’ anni e, in un solo istante, ho bruciato una grande possibilità”.

Ma neanche questo incidente riesce a tenere Neno lontano dai campi di calcio: “Non mi sono mai fermato, e come Mister ho ha alle spalle ben 33 campionati, divisi tra le squadre dell’Anzio, dal quale è cominciato la mia esperienza di allenatore, del Lavinio e del Nettuno, dove attualmente alleno il Settore Giovanile del Virtus Nettuno”.

Da quattro anni Neno ha lasciato la prima squadra per dedicarsi alle nuove leve: “E’ un’esperienza bellissima, quella che sto vivendo insieme a questi ragazzi, i quali che si allenano con passione ed impegno tre volte a settimana.  Stare con loro mi fa sentire giovane, è bello vederli crescere, ma devi essere presente e fare anche un po’ da “psicologo” come ripeto sempre”.

Una vita per il calcio, dunque, quella di Neno, il quale conclude dicendo: “Non riesco ad allontanarmi proprio dai campi da gioco: è la mia passione”.

Alessandra Fiorilli

Lorenza e Graziana Petriconi: la storia di un sogno avverato e di una passione che continua…

“A due anni già ballavamo, come ci racconta nostra madre, e alle recite natalizie dell’asilo ci sentivamo perfettamente a nostro agio…poi, una sera, davanti ai balletti della Parisi nel programma del sabato sera “Fantastico”, abbiamo chiesto a nostro padre come si facesse ad entrare in quella scatola magica e lui ci rispose che, se lo volevamo davvero,  ce l’avremmo potuta fare”, a raccontarsi è Lorenza Petriconi che, con la gemella Graziana, sono state protagoniste di una storia che tanto somiglia a quella delle favole…

Nella foto, da sinistra, Graziana e Lorenza Petriconi (foto per gentile concessione)

Dunque, iniziamo da quella passione che coltivano sin da piccole: “Siamo state sempre affascinate dall’arte: musica, danza, canto, teatro e tv, dalla quale è decollata la nostra carriera”.

Lorenza, con la sua chioma fulva, che tanto è piaciuta anche al loro pigmalione Gianni Boncompagni, è un fiume in piena di energia e entusiasmo e, grazie alle sue parole, facciamo un salto indietro di tanti anni: “Studiavamo danza e ci eravamo diplomate al Conservatorio di Santa Cecilia in flauto traverso, ma il nostro sogno era la tv. Casualmente, un giorno, nostra zia ci disse che stavano cercando delle ragazze per “Domenica in”. E fu così che, nel giugno del 1989, arrivammo agli studi della Dear e lì vedemmo una marea di ragazze, ma provammo ugualmente”.

Poi arriva l’estate…l’estate dei 16 anni di Graziana e Lorenza, la quale dichiara: “In quei mesi accantonammo nella testa l’idea che ci avrebbero chiamate e ci godemmo quel periodo, fino al mese di settembre, quando, di domenica, il telefono di casa squillò e ci comunicarono che avevamo superato le selezioni, anche se non ci dissero quando ci saremmo dovute presentare”.

Infatti, quando arrivò il giorno dell’incontro con Boncompagni “Noi eravamo a scuola e ci precipitammo in macchina con nostra madre così come eravamo: senza trucco, con i capelli ricci, gli occhiali da vista…ma fu proprio questa semplicità a colpire Boncompagni, con il quale ci mettemmo a parlare come se lo avessimo conosciuto da sempre”.

E così inizia la favola: “Nella trasmissione domenicale della RAI , presentavamo il gioco telefonico per bambini, poi abbiamo anche affiancato anche Pupo e ci siamo cimentate anche  in alcuni sketch comici con lo stesso Boncompagni”.

Lorenza ricorda quel periodo: “Come bellissimo, gratificate e nel quale abbiamo imparato molto, nonostante i tanti sacrifici, perché  frequentavamo la scuola superiore  e studiavamo di notte o durante il tragitto in macchina”.

Conclusasi l’esperienza di Domenica In, ecco arrivare  “Piacere Raiuno”: “Ero lo show di mezzogiorno della RAI, andava in onda dalle 12 alle 14,30 da settembre a giugno. Nessuno studio televisivo: si andava in diretta dai teatri italiani, infatti, grazie a questa esperienza, abbiamo girato la nostra bellissima penisola.”

In molti si ricorderanno di Lorenza e Graziana come le Tate di Toto nel programma  il cui cast vantava un giornalista come Piero Badaloni, l’attrice Simona Marchini e il cantante Toto Cutugno, appunto.

Di quel periodo come dimenticare: “Le 150 lettere al giorno che ricevevamo dai nostri fans”.

Conclusasi la parentesi televisiva, le gemelle Petriconi vengono contattate per alcune spot pubblicitari di marche note, poi: “ In tv torniamo nel 1996 con “La sai l’ultima”, insieme a Pippo Franco e Pamela Prati”.

Quando arriva anche il cinema, a chiamarle più forte ancora è quella scuola di danza che, nel frattempo,  avevano deciso di aprire nella città dove sono nate e cresciute.

Da sinistra, Lorenza e Graziana (foto per gentile concessione)

“Eravamo impazienti di tornare e vedevamo l’orologio quando stavamo sul set. Abbiamo capito che una cosa più bella e più grande ci stava spettando: i nostri ragazzi”.

Oltre alla loro scuola, dove sono attivati corsi di danza classica, moderna ed acrobatica, le gemelle Perticoni sono fiere del  loro Gruppo Folkloristico Citta di Nettuno che ha ottenuto il riconoscimento come Gruppo Storico dall’allora Presidente della Repubblica Napolitano. “Con i ragazzi vestiti con gli abiti nettunesi del 1500 prendiamo parte a tutti gli eventi più importanti della nostra città”.

Le gemelle Petriconi con il loro “Gruppo Folkloristico Città di Nettuno” (foto per gentile concessione)

Intanto, con la loro scuola, vincono tutto quello che c’era da vincere: “Competizioni Provinciali, Regionali, Nazionali ed  Europee e grazie a  questa vittoria arrivata nel 2006 a Barcellona,  voliamo a New York e  portiamo a casa 3 medaglie d’oro, 1 di bronzo e la coccarda come premio della giuria. Nella Grande Mela abbiamo vinto con un balletto mix di danza e tarantelle “.

Dopo i fasti e i lustrini della tv, Lorenza e Graziana sono rimaste le ragazze semplici di sempre: “E’ nelle cose semplici che c’è la vita e la sua purezza, la sua bellezza”, conclude Lorenza.

                                                 Alessandra Fiorilli

 

 

Il Dottor Filippo Barone ci parla degli screening gratuiti nella “Terra dei Fuochi”

…e fu così che la “Terra di Lavoro” si trasformò nella “Terra dei Fuochi”: quell’area conosciuta come Liburia e che si estendeva originariamente tra Capua e Napoli, quei campi tra i più fertili di tutta Europa, sono diventati, negli ultimi anni, protagonisti di una cronaca dolorosa, fatta di rifiuti tossici, di roghi, di inquinamento dell’aria, di tumori che stanno stroncando vite umane.

La situazione assume i connotati di un’emergenza: “ Specialmente nella zona dell’agro aversano, tra Napoli Nord e Caserta Sud, nella quale c’è una percentuale maggiore di tumori”, come dichiara il Dottor Filippo Barone MMG (Medico di Medicina Generale), nei comuni di Santa Maria Capua Vetere e San Prisco, entrambi in provincia di Caserta.

Il Dottor Filippo Barone

Nel tentativo di arginare l’aumento di neoplasie, le ASL della Regione Campania hanno coinvolto proprio i Medici di Medicina Generale, per offrire, gratuitamente,  l’effettuazione di screening a tappeto su fasce della popolazione potenzialmente a rischio. Di questa iniziativa, nata in sordina tre anni fa, ma che specie ora sta creando una nuova consapevolezza della sua importanza tra la popolazione, ne parliamo proprio con il Dottor Filippo Barone: “Le ASL, specie da quest’anno, hanno chiesto una maggiore collaborazione ai Medici di Medicina Generale, i quali  illustrano  ai propri pazienti la necessità di sottoporsi a screening che possono rilevare neoplasie nelle fasi iniziali e, quindi, con una maggiore possibilità di guarigione rispetto a fasi conclamate”.

Nella “Terra dei Fuochi”  le patologie tumorali (leucemie in primis seguite dai linfomi) sono le più diffuse tra i bambini tra i 6 e ai 14 anni,  mentre quelle  tiroidee si registrano soprattutto  in soggetti adulti tra i 15 e i 19 anni, ma è l’aumento di casi neoplasie riguardanti  la cervice uterina, la mammella, e il colon retto ad aver spinto le ASL campane a pianificare una serie di screening, come dichiara il Dottor Barone: “La neoplasia del colon retto ha registrato, negli ultimi anni, un notevole incremento , ad esempio,  se prima tra i miei pazienti si verificava uno, due casi  l’anno, ora se ne contano più di cinque. E’ per questo che si è reso necessario individuare un target di soggetti ai quali viene sottoposto un modulo in base al quale possono esprimere la propria adesione o il proprio dissenso”. 

Per quanto attiene la neoplasia della cervice uterina, il target di riferimento sono le donne  tra i 25 e i 64 anni, ai quali viene chiesto di sottoporsi al pap – test e visita ginecologica ogni 3 anni, per la neoplasia alla mammella lo screening mammografico va dai 50 ai 69 anni, stessa fascia d’età che riguarda anche quello per la prevenzione del K del colon retto che si effettua attraverso la ricerca del sangue occulto nelle feci; entrambi gli screening vengono effettuati ogni due anni.

I Medicina di Medicina Generale della Campania, come il Dottor Filippo Barone, sono diventati, dunque, paladini e tutori della salute di coloro che vivono nella Terra dei Fuochi: “La diagnosi precoce è essenziale, perché, come tutti ormai sanno, molte neoplasie sono asintomatiche e quando i primi sintomi insorgono, la malattia potrebbe essere già nella fase conclamata. Intercettare, dunque, un tumore nella sua fase iniziale significa avere un’altissima percentuale di sopravvivenza”.

Chiedo al Dottor Barone se vi sia, tra coloro i quali si ammalano di tumore, più volontà di reagire o più rabbia: “Inizialmente, quando la patologia viene diagnosticata, la volontà di reagire è tanta…ma la rabbia monta quando si perde la propria battaglia…si ha rabbia verso coloro i quali hanno trasformato la nostra terra nella Terra dei Fuochi”, conclude il Dottor Filippo Barone.

Alessandra Fiorilli