I racconti di Mila e Pila- 27 dicembre: l’albero malato-5° Parte

Ma prima che cacciasse i suoi arnesi, mi chiese se volevo fare un piccolo sgabello con l’unico pezzo di tronco rimasto intatto.

Non ci pensai due volte e gli dissi di sì.

Quando il lavoro fu terminato e il signor Franco andò via con il suo triciclo pieno dei rami secchi del susino, andai nel frutteto, dove il susino non c’era ormai più.

Ma vidi che vicino al magazzino, c’era un bellissimo sgabello di legno che portai subito dentro casa.

Lo misi vicino al camino e ogni volta che mi prende la nostalgia del mio susino, lo guardo e mi sembra che la sia esistenza non sia passata inutilmente.

Ora al posto di quel vecchio albero, ho fatto piantare un alberello di limoni, sapevo che non sarei riuscita ad amare un altro albero di susino con la stessa intensità con la quale avevo amato lui.

Nei giorni di primavera, quando gli altri alberi mettono i fiori e d’estate, quando vado fuori al frutteto per raccogliere le pesche, le albicocche, le prugne, nell’istante stesso in cui ritorno per il viale lastricato verso casa, sento una voce melodiosa che canticchia un allegro ritornello: è l’albero di susino che esprime tutta la sua gioia nell’essere rimasto da me, anche se sotto forma di sgabello.

I racconti di Mila e Pila- 27 dicembre: l’albero malato-4° Parte

“Lasciami andare e se vuoi ricordarmi, pianta al mio posto un alberello, in modo che la vita possa continuare”.

Era il susino che mi stava parlando.

“Non voglio separarmi da te, tu sei stato il primo albero che ho piantato in questo frutteto, sei stato il simbolo di questo casolare, se te ne vai, andrà via anche una parte di me”, risposi.

“Non dire così. Pensa a tutto quello che di bello abbiamo vissuto e condiviso, quello nessuno lo potrà portare via. Ma adesso sono malato e stare qui, in mezzo agli altri alberi e vederli mettere le gemme, i fiori, i frutti non può farmi altro che male. Soffro nel vedere ciò che non sarò più: un albero forte in grado di regalare tante belle susine”.

Io cominciai a piangere ma lui, attento a non farmi male con i suoi rami scheletriti, mi abbracciò e per consolarmi del prossimo distacco, si mise a raccontarmi di quell’estate quando lui, giovane e forte susino, regalò decine e decine di chili di frutta.

“Non sapevate proprio più che farvene, allora tu decidesti, per non buttarla via, di prepararci la marmellata!”, disse l’albero.

“La marmellata, è vero, quasi me ne ero dimenticata. Non abbiamo più mangiato una confettura così buona. Ha accompagnato tante mattine felici, tanti pomeriggi. Quante fette di pane con il burro si sono sposate con quella dolce marmellata!” risposi, mentre un sorriso stava comparendo sul mio viso.

“Lo vedi, la mia vita non è stata inutile, l’ho trascorsa con voi, con i miei amici alberi. Ringrazio il cielo per avermi fatto vivere in questo frutteto, dove sono stato così bene, Ma ora te ne prego, chiama il signor Franco e dì che faccia il suo dovere”.

Quando il signor Franco arrivò, io andai via, non potevo sopportare l’idea di vedere abbattere il mio susino.

I racconti di Mila e Pila- 27 dicembre: l’albero malato-3° Parte

“Signora Pila, non crederà a quello che le sto per raccontare, è una storia bellissima”, dice la nonna.

“Sono proprio curiosa signora Mila di ascoltare le sue parole”, le rispondo.

E inizia così la sua storia.

“Era un giorno di primavera, e tutti gli alberi del frutteto avevano già messo le gemme, pronte a dischiudersi in fiori.

La natura era in festa, tranne il susino che ancora aveva i rami scheletriti.

Ogni giorno venivo a trovarlo e ogni giorno speravo di vedere le piccole increscenze verdi.

Decisi di chiamare il signor Franco, un vecchio contadino che sapeva tutto di alberi.

Arrivò di buon mattino con il suo triciclo e avvicinandosi al tronco cominciò a esplorarlo con le mani, sino a quando non scoprì un piccolo solco nella corteccia, al quale io non avevo fatto caso in precedenza.

“Signora, questo susino è gravemente malato, non c’è più nulla da fare, è inutile che lei aspetti ogni giorno che faccia uscire le gemme, per lui non ci sarà più nessuna primavera”.

“Possiamo aspettare qualche altro giorno?”gli chiesi.

“Lei è libera di aspettare anche mesi e anni ma non assaggerà più le sue susine”.

Io non ce la feci a farlo abbattere quel giorno stesso, né il giorno successivo, né quello dopo ancora.

Aspettai l’estate ma neanche il calore del sole di agosto riuscì a far guarire il mio susino.

Quando arrivò ottobre fu un sollievo per me, perché il susino si trovava in mezzo agli altri alberi, anch’essi ormai tutti spogli delle foglie, così da non sembrare più non malato.

Ma quando arrivò di nuovo primavera, il dolore si rinnovò.

Mi misi a sedere sotto i suoi rami spogli, quando sentii una voce.

Alzheimer: ne parliamo con uno dei maggiori esperti in campo internazionale ,  il Professor Giovanni Battista Frisoni.

 

E’ stata definita la “malattia del lungo addio” e il suo nome, quando viene sentito per la prima volta dai familiari di un malato, disorienta, impaurisce, crea disperazione. Sembra, in un solo istante, che quei pezzi di vita che si dissolveranno, piano piano nel tempo nel cervello del paziente, travolgano, invece, da subito, i congiunti della persona alla quale è stato diagnosticato l’Alzheimer.

Di questa malattia neurodegenerativa ne parliamo con uno dei massimi esperti internazionali, il Professor Giovanni Battista Frisoni, il quale, nonostante i suoi numerosi impegni, mi ha dedicato del tempo per realizzare l’intervista che andrete a leggere.

Il Professor Giovanni Battista Frisoni (per gentile concessione del Professor Frisoni)

Giovanni Battista Frisoni incarna alla perfezione la determinazione, la volontà, l’impegno, la passione per il proprio lavoro. Avvicinatosi, dopo la maturità scientifica, alla medicina, dopo averne  conseguito la laurea con 110 e lode all’Università di Brescia, si specializza in Neurologia e, proprio da specializzando, si avvicina alla malattia dell’Alzheimer: “Stavo cercando un campo su cui studiare, non volevo fare il medico solo praticante ma dedicarmi alla ricerca scientifica, e così è stato.  Non mi sono mai pentito di questa scelta,  perché è un campo pieno di sfide e a me le sfide anche se mi intimoriscono, mi piacciono e mi attirano”, svela il Professor Frisoni, Direttore del Centro della Memoria all’Ospedale Universitario di Ginevra e già direttore scientifico dell’IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia.

Proprio durante gli anni della specializzazione in Neurologia: ” A Brescia, stava per avere inizio una grande avventura: l’apertura del  primo reparto per i malati di Alzheimer presso l’ospedale Fatebenefratelli. Era il 1991 e il Professor Marco Trabucchi mi propone di essere uno dei quattro medici dello staff. Ero il più giovane e accettai con grande entusiasmo. E qui ho cominciato a studiare la neuroimmagine, ovvero una dettagliata rappresentazione del cervello ottenuta con tecniche di risonanza magnetica,  che, oggi, sono molto più accurate e sofisticate rispetto al passato e ci permettono  di avere delle valutazioni quantitative del danno. Fummo finanziati per 6 anni dalla Regione Lombardia, poi, dopo 10 anni divenimmo Istituto di Cura a carattere scientifico”.

Purtroppo, come evidenzia il Professor Frisoni: Intorno alla malattia dell’ Alzheimer   c’è una condivisione di un sentimento sociale che porta,  talvolta,  a sottovalutare anche i primi sintomi, perché molti pensano che disturbi della memoria siano sempre normali con il passare degli anni. Purtroppo le famiglie si  rendono conto  della gravità della malattia solo quando sono direttamente colpite,  specie nella fase avanzata, quando  hanno  problemi di gestione del proprio congiunto”.

La malattia di Alzheimer prende il nome dal medico che per primo, nel 1906, studiò il cervello di un suo paziente: “Dalle immagini del cervello al microscopio, vide dei grumi strani che chiamò placche senili e aggregati neurofibrillari. Fu questa la base di partenza per la studio e la ricerca che ha condotto la medicina a scoprire come le placche senili scoperte dal dottor Alzheimer siano composte di una proteina detta amiloide e che riusciamo a visualizzare con la PET(tomografia ad emissioni di positroni) e gli aggregati neurofibrillari, invece sono formati da proteina Tau”.  

Come per tutte le altre patologie, anche per l’Alzheimer esistono dei sintomi:  “Le dimenticanze accadono a molti, ma quello che dobbiamo chiarire è che ci sono delle amnesie non preoccupanti, le cosiddette anomie, legate a dimenticanze di nomi e luoghi e che sono sempre più frequenti con il passare degli anni, a partire già dai 50-60 anni, e quelle preoccupanti, le cosiddette amnesie episodiche, ovvero legate alla dimenticanza di interi episodi di vita, quali una vacanza, un film, dei quali ci si scorda di tutto ciò che ha circondato l’evento. In quest’ultimo caso siamo di fronte ad un vero e proprio “buco nero” della memoria passata”.

Un solo episodio non è necessariamente imputabile all’Alzheimer, perché, come ci conferma il Professor Frisoni: “Può succedere a tutti di dimenticare episodi singoli, quello che deve far riflettere è la frequenza con la quale tali dimenticanze si presentano. Se ci si accorge che sono frequenti e che si stanno verificando  da 6 mesi o più,  allora è il momento di chiedere un consulto”.

Il primo passo da seguire è quello di andare dal proprio medico di famiglia:” Il quale, nel caso in cui si accorge che potrebbero esserci dei sintomi legati all’Alzheimer , invierà il paziente da uno specialista, che in Italia è il geriatra o il neurologo,( in Inghilterra e in Germania è più spesso lo psichiatra).  Lo specialista raccoglie con il paziente e i suoi familiari l’anamnesi, la storia passo passo dei disturbi. Vengono poi effettuati degli esami neuropsicologici composti da semplici test ma rilevatori dello stato del salute del cervello, che possono mettere in luce le difficoltà di memoria. In circa 45-90  minuti al massimo, tutto compreso, ci si rende conto della situazione e lo specialista, di fronte ai risultati così ottenuti, può o rassicurare il paziente, perché il cervello si sa, invecchia anche esso e quindi è fisiologico avere con il passare dei anni elle dimenticanze, oppure continua per avere una diagnosi di certezza prescrivendo altre indagini, una combinazione di 2-3 tra le seguenti: PET, risonanza magnetica, puntura lombare, SPECT. Tali indagini permettono una diagnosi precoce con un elevato livello di certezza”.

Accertata la malattia si inizia il trattamento farmacologico Disponiamo di soli 4 farmaci, di cui tre sono della stessa famiglia, quindi ne abbiano, in pratica,  solo due. L’effetto di tali farmaci, inoltre, è quello di migliorare o stabilizzare i disturbi per al massimo 6-18 mesi. Purtroppo per l’Alzheimer non abbiano farmaci in grado di bloccarne la progressione, ma al massimo di rallentarne il decorso per un po’ di tempo. Faccio un esempio molto semplice: è come se curassimo una polmonite con un bronchiolitico e un’aspirina… passerebbero la tosse e la febbre ma la polmonite continuerebbe il suo decorso, fino alla morte, se non si intervenisse con gli antibiotici. Ecco, purtroppo “l’antibiotico” per l’Alzheimer non l’abbiamo ancora”

E qui si apre il discorso sui finanziamenti alla ricerca  sull’Alzheimer: Purtroppo i finanziamenti  sono, attualmente, 10-12 volte minori rispetto a quelli per il campo dell’oncologia, nonostante due fattori che dovrebbero far riflettere le istituzioni: i costi sociali di questa malattia sono doppi rispetto  a quelli sostenuti per il  cancro, e il numero dei pazienti colpiti è di gran lunga superiore a quello dei pazienti che ogni anno decedono  di patologie tumorali maligne”.  

Anche per l’Alzheimer è possibile parlare di prevenzione, intesa questa come stile di vita: “Il controllo del peso, dell’ipertensione e della malattie croniche come le dislipidemie possono sicuramente aiutare, così come una adeguata attività fisica.”.

Purtroppo, invece, di fronte all’ereditarietà, la prevenzione ha un ruolo più limitato: “ Avere avuto in famiglia un caso di Alzheimer, soprattutto se fra i 60 e 70 anni,   incide molto sul possibile insorgere della patologia. In tal caso il rischio è spesso legato  all’apoliproteina E. Il paziente può dunque entrare in un progetto di ricerca, come quelli in corso  sia a Brescia che a Ginevra. Sottolineo come qui siamo nel campo della prevenzione e che quando si parla di diagnosi precoce vuol dire che siamo già nella fase dove si hanno deficit oggettivi”.

Spesso, di fronte ad una diagnosi di Alzheimer, che fa perdere progressivamente: “Le proprie coordinate, la proposta biografia, la famiglia è devastata, ha una reazione di disperazione perché vede immediatamente  ciò che sarà, invece, la fase terminale della malattia: allettamento del paziente, incontinenza urinaria e fecale, necessità di nutrirsi con il sondino naso-gastrico ed altro.   Il mio compito, presso il Centro di Ginevra, è anche e soprattutto quello di incontrare le famiglie dei malati, di parlare con loro di spiegare come questa sia una malattia molto lunga, anche in  termini di 10-15 anni e che l’iniziale diagnosi nulla toglie alla qualità dignitosa di una vita. Molte famiglie riescono così a instaurare un dialogo costruttivo con il proprio familiare, mostrando  una grande disponibilità d’animo che li porta a comprendere come non tutto in questa malattia è dolore e sofferenza”.

Non posso concludere la mia intervista  senza aver ringraziato il Processor Frisoni, eccelso esempio di una medicina che unisce Ricerca e vicinanza al paziente e alle proprie famiglie.

Alessandra Fiorilli

 

 

I racconti di Mila e Pila- 27 dicembre: l’albero malato-2° Parte

Vedo la nonna arrivare, si fa strada tra la coltre di neve.

“Dovremmo provvedere a spalarne un po’, ha nevicato molto nei giorni scorsi!” dice  mentre cerca con una pala di levare la neve  lungo il piccolo viale lastricato che dal frutteto conduce al casolare.

“Ci penso io, nonna, non ti preoccupare!”, le rispondo.

“Tu? Ma sei troppo piccola, è un lavoro pesante, non voglio che ti affatichi” dice la nonna mentre si sta chiedendo cosa stia facendo da sola, in mezzo a quegli alberi dai rami piegati dalla neve.

Poi capisce, capisce che sto pensando al nonno perché ho deciso di indossare i suoi vecchi stivali di gomma che si trovano ancora nel magazzino degli attrezzi.

E’ un gesto, questo, che ho sempre fatto, dal momento in cui il nonno se n’è andato.

E ogni volta che lo compio è un modo per chiedere che qualcuno venga in mio aiuto, per dirmi che il nonno c’è ancora, nonostante la sua assenza su questa terra.

La nonna ripone la pala che aveva preso per sgombrare il vialetto dalla neve e, stringendosi, nel suo scialle di lana, si dirige verso me.

Cammina a fatica nella neve troppo alta, poi tira fuori dal magazzino due sedie pieghevoli in legno, le stesse sulla quali ci mettevano seduti il nonno ed io d’estate, quando chiedevamo alle fronde e alle foglie degli alberi di darci refrigerio.

Sono anni che non le usiamo più, infatti, la nonna fa un po’di fatica nell’aprirle.

M’invita a mettermi vicino a lei e carezzandomi i capelli, capisce che sono triste e allora ecco che in mio aiuto arriva la signora Mila nella quale lei si trasforma.

I racconti di Mila e Pila- 27 dicembre: l’albero malato- 1° Parte

Nonostante oggi sia il 27 dicembre, è una giornata tiepida, il sole esprime tutta la sua felicità ma è ancora troppo debole per sciogliere la neve che piega i rami degli alberi.

Esco dal casolare e mi metto a camminare lungo il viale che conduce, a destra verso il castagneto e a sinistra verso il frutteto che è ancora muto, senza fiori, senza frutti, senza gli uccellini che allegramente, in primavera e in estate, trillano da un albero a un altro.

Ripenso al nonno, è ancora troppo viva l’emozione che provo nell’immaginare quest’uomo, dalle spalle forti e dalla grandi mani, così tenacemente attaccato alla sua terra.

Quante cose sono cambiate e quante non potranno più tornare, ma i ricordi servono a questo, non a rattristarci per una persona che non rivedremo più, quanto piuttosto a darci la forza necessaria per continuare, per credere che quella felicità non è stata persa per sempre, ma può ritornare.

Ricordo ancora quando, in primavera, uscivo fuori al frutteto con il nonno e rimanevo sempre affascinata dal miracolo della natura che si risvegliava ogni anno, senza che nessuno le dicesse di farlo.

E quando sui rami vedevo i fiori, chiedevo sempre dove andassero a finire, una volta che poi comparivano su quegli stessi rami, i frutti.

“In natura nulla va perso e tutto si trasforma in qualcos’altro. La gemma diventa fiore e il fiore frutto”.

Ecco, anche noi siamo parte di questo grande mondo, quindi, di fronte all’assenza del nonno, penso che si sia solo trasformato, che è ancora vicino a noi, che non abbia mai lasciato questo casolare.

I racconti di Mila e Pila- 26 dicembre: la castagna e il marron glacè- 4° Parte

“Amata, hai capito bene, amata da mio padre albero che ci ha dato la vita, dalle mie sorelle con le quali siamo cresciute insieme e dal mio padrone che mi ha raccolto, e amata da tutte le persone che mi acquistano in strada e alle quali regalo bei momenti!”, rispose la castagna.

“Ti ricordo che anch’io sono nato su un albero e poi….” balbettò il marron glacé che era però rimasto senza parole.

“E poi…eh, finisci un po’ il discorso…te lo dico io come è andata a finire la storia… che tu sei stato separato  dalle tue sorelle castagne, che forse non erano belle e grandi come te e sei stato messo insieme ad altre tue simili che però non conoscevi per niente e che provenivano da chissà quali parti del mondo. Poi sei stato visionato, scrutato, e hanno deciso così di glassarti e sei andato a finire chiuso in una scatola, insieme ad altri marron glacé che parlavano lingue diverse dalla tua. E così la tua vita è finita su un anonimo scaffale di un grande supermercato in attesa, o meglio, nella speranza che qualcuno ti acquistasse!!”.

Io, nel sentire queste parole, rimproverai la piccola castagna per la sua crudezza dei modi ma lei, senza nemmeno farmi finire di parlare, mi disse che a iniziare era stato il marron glacé, fiero della sua mole e borioso per il suo aspetto invitante.

“Mi sono solo difesa dagli ingiusti attacchi di questo sconosciuto, nulla di più!”, disse la castagna, mentre il marron glacé si rimise al suo posto nella scatola.

Era molto triste per le parole della castagna ma era vero, tutto vero, lui era stato separato dai suoi parenti e non li aveva rivisti più.

Anche la castagna era diventata all’improvviso triste nel vedere quanto male avevano fatto le sue parole, allora gli si avvicinò e si mise a parlare con lui.

“Ascolta ma ti ricordi da dove vieni?” chiese al marron glacé il quale rispose

“E come potrei dimenticarlo! Vengo dalla Toscana, da un paesino adagiato sui colli”.

Allorché la castagna esultò e abbracciandolo disse:

“Ma allora sei tu il mio cugino marron glacé di cui si parlava spesso in famiglia! Eravamo tutti orgogliosi di te che eri stato scelto per la tua bellezza e grandezza!”.

“Cugini?!” esclamò il marron glacé stupito “Ma allora non sono solo! Vieni qua cara cuginetta e fatti abbracciare, fammi sentire il calore del tuo affetto!”.

E da qual giorno furono inseparabili.

I racconti di Mila e Pila- 26 Dicembre: la castagna e il maron glacè- 3° Parte

“Signora Mila, ora a vedere queste belle caldarroste mi è venuto in mente quello che mi è successo qualche mese fa, quando, un borioso marron glacé si è messo a battibeccare con una piccola ma deliziosa castagna. Vuole che le racconti questa storia?” chiedo alla nonna, nella speranza che lei mi dica sì.

“Ma certamente, signora Pila, sono proprio curiosa di ascoltare questa storia!” mi risponde la mia compagna di storie fantastiche.

“Era un pomeriggio molto freddo, nonostante non fosse ancora arrivato l’inverno. Per scaldarmi un po’, decisi di acquistare un bel cartoccio di caldarroste da quegli uomini che si mettono lungo le strade a venderle. Il venditore mi disse che non erano molto grandi ma che avevano una polpa candida e deliziosa.

 Aveva perfettamente ragione, erano buonissima!

 Finii di mangiare avidamente il cartoccio di castagne, anche perché dovevo entrare nel supermercato per fare spesa ma nel cartoccio ne rimasero un paio.

Sugli scaffali del reparto dei dolciumi, faceva bella mostra di sé un’elegantissima scatola di finissimi marron glacé, di cui ne ero stata sempre ghiotta. Non seppi proprio resistere e la acquistai. Tornata a casa, cacciai la scatola dalle buste e la sistemai sul tavolo, dove misi anche il cartoccio nel quale erano rimaste le due castagne.

Ero di là in camera per cambiarmi d’abito, quando ecco che sentii provenire, proprio dalla cucina, due vocine che sembravano rincorrersi l’una all’altra.

Andai di là e vidi che una caldarrosta stava battibeccando con un grande marron glacé che nel frattempo avevo liberato dalla preziosa scatola, perché avevo deciso di mangiarlo dopo aver sistemato la spesa.

“Non credere che la tua bellezza possa permetterti di trattarmi in questo modo, eh! Sono piccola ma saporita e soprattutto, sono stata molto amata nella mia vita!” disse stizzosa la caldarrosta al marron glacé, che nel frattempo si stava reggendo la pancia dalle risate.

“Amata, ma da chi, dimmi un po’? Tu, così piccola e insignificante!”, rispose il marron glacé con aria di sfida.

I racconti di Mila e Pila- 26 Dicembre: la castagna e il marron glacè- 2° Parte

Ma ora, silenzio: il vecchio orologio a cucù ci ha detto che sono arrivate le cinque, ecco che la nonna scompare e quando torna in cucina, ha con sé quell’inconfondibile retina rossa nella quale è solita conservare le castagne che gli alberi dietro il casolare regalano ogni anno.

Non sono molto grandi, ma hanno un sapore inconfondibile, non ne ho mai mangiate di così buone.

Un’altra tradizione della nostra famiglia è di cuocere le castagne nel camino per mangiarle calde, mentre si gioca a carte, il pomeriggio del 26 dicembre.

Quest’anno niente carte ma tante castagne!

Sino a quando sono vissuta qui, con la nonna, era una festa raccoglierle e privarle del riccio, alcuni dei quali li conservavo per portarli a scuola.

Nell’istante stesso in cui la nonna mette le castagne sul fuoco, una grande malinconia mi assale e penso ai nostri autunni, all’autunno in collina, che si fa annunciare dalle foglie rosse dell’albero del cachi trascinate dal vento e dal castagneto che regala, felice, i suoi frutti.

E penso all’incomparabile bellezza della natura che lì a Chicago non c’è.

Allora allungo il braccio destro sul tavolo e vi poggio sopra la testa mentre osservo la nonna.

“Credo che mi mancherà sempre questo casolare. Non riuscirò ad accettare il fatto di essere dovuta andar via da qua, nonna” le dico mentre lei fa finta di non sentire.

“Nonna, perché non mi dici niente?” insisto io.

“Che cosa vuoi che ti risponda, Ludovica? Che è terribilmente triste stare lontana da te, che quando entro nella tua stanza sento un nodo in gola, che quando è l’orario del tuo ritorno da scuola, non posso fare a meno di mettermi davanti alla finestra e di aspettare qualcuno che non verrà più?”, risponde la nonna, con la voce rotta dal pianto.

Certo che sono proprio una bella guastafeste, sino a qualche minuto prima era così felice e adesso l’ho rattristata con le mie domande.

Ma per nostra fortuna, in aiuto arriva la signora Pila, nella quale mi trasformo.

I racconti di Mila e Pila- 26 Dicembre: la castagna e il marron glacè- 1° Puntata

Ieri, dopo pranzo, com’è consuetudine nella nostra famiglia, quando la tavola viene spogliata della bellissima tovaglia di lino ricamata a mano, e quando le pentole sono messe a scolare, abbiamo scartato i regali.

La nonna mi ha regalato un set per la scrittura: un diario, una penna stilografica, della carta da lettere, delle buste colorate, degli stampini.

Un modo, questo, per farmi capire che a lei piacerebbe ricevere qualche lettera in più, ed anche un modo per spronarmi a mettere nero su bianco le emozioni che provo, e sono tante.

Io, invece, il regalo che le ho dato, l’ho comprato e Chicago e non nascondo di avere avuto delle difficoltà nel far capire alla commessa quale potesse essere la giusta taglia della nonna: in America non c’è la 42, la 44, la 46 e così via, ma un altro sistema di misurazione.

Allora sono stata lì, per non so quanto tempo, davanti alla commessa per farle capire com’era fatta mia nonna.

Al termine di un’infruttuosa conversazione, mi sono affidata al caso.

Il regalo che ieri la nonna ha scartato davanti al camino l’ha fatta rimanere senza parole: una tutona di flanella rosa e fucsia con sopra, in rilievo, i personaggi dei più famosi cartoni animati.

Non so se riuscirà a metterla mai, so bene che lei preferisce le camice da notte ma nei negozi in cui sono entrata, non ce n’era neanche l’ombra.

Il pomeriggio del 25 è trascorso così, con attimi di silenzio accompagnati solo dal crepitio della legna nel camino

Ma ora, silenzio: il vecchio orologio a cucù ci ha detto che sono arrivate le cinque