I racconti di Mila e Pila: 25 Dicembre: il paiolo di rame e la pentola a pressione- 3° Parte

“Ma sapete che ore sono è? Le tre del mattino e voi due che fate, eh, vi mettete a litigare?” dissi io un po’ alterata.

“Ma vede non è colpa mia, io stavo buono buono nel camino, dove mi ripone sempre dopo avermi utilizzato in cucina quando questa pentola a pressione nuova di zecca mi ha detto che avevo i giorni contati e che non avrei più avuto un futuro qui in questa casa, tanto ormai c’era lei!”, mi rispose il paiolo.

“Sai che non potrei mai fare a meno di te, caro paiolo ma è pur vero che alla mia età, è più comodo che il minestrone lo prepari questa nuova pentola a pressione che un fischio mi avverte che il pranzo è pronto. Non voglio far torto a nessuno, però dovete fare pace perché trascorrerete molto tempo assieme qui in cucina!” risposi io con un tono dolce e rassicurante.

“Allora non mi butterai via, grazie, grazie” disse il paiolo di rame mentre mi bagnò la mano di lacrime.

“Scusatemi tutte e due, che deve andare via sono solo io”, rispose la pentola a pressione completamente avvilita.

“Ho detto quelle parole al vecchio paiolo perché l’ho vista, signora, come l’ha guardato e come l’ha riposto gentilmente nel camino quel giorno in cui sono entrato in questa casa. In quel preciso istante ho capito che non mi avrebbe mai amato come ama lui, allora io, per vendicarmi di ciò, ho detto al paiolo che prima o poi sarebbe andato a finire nella spazzatura!” continuò la pentola a pressione.

“E’ vero, voglio molto bene al paiolo di rame ma noi ci conosciamo da quasi mezzo secolo, tu non puoi immaginare quante volte è stato il nostro fedele compagno di tante cene, dei nostri giorni di festa, sono cose, queste, che nessuna novità potrà mai cancellare. Vedrai che mi affezionerò anche a te, pentola a pressione, se solo diventerai più buona e mi prometterai che non farai più piangere il fedele paiolo di rame. Vedi, lui è stato il compagno della mia gioventù, i momenti più belli in cucina li abbiamo trascorsi anche grazie al suo lavoro. Se tu vorrai, potrai diventare il bastone della mia vecchiaia. Sono anziana e delle volte non ho più tanta pazienza nel preparare le verdure o il minestrone che tanto mi piace. Vivo sola e stare davanti ai fornelli, sapendo di dover cucinare solo per me un po’ mi rattrista. Vuoi diventare mio amica?” le dissi

“Con grande piacere, signora”, rispose la pentola a pressione che si scusò anche con il paiolo di rame, il quale fu contento di aver trovato una nuova amica alla quale raccontare tutte le storie della nostra cucina. La pentola a pressione si ritenne fortunata ad aver trovato l’anziano paiolo, così saggio e così ricco di ricordi e di amore per il suo lavoro.”

I racconti di Mila e Pila- 25 Dicembre: il paiolo di rame e la pentola a pressione- 2° Parte

“Signora Pila, perché non viene qua vicino a me, che ho una storia da raccontare”.

Il tempo dei musi lunghi è finito, l’abbraccio forte e la nonna comincia così il suo racconto fantastico.

“Da qualche mese ho acquistato una pentola a pressione. Veramente non ero molto convinta ma sa,  l’esercente dal quale ero andata, mi aveva detto che era capace di cucinare un minestrone da leccarsi i baffi in pochissimo tempo, ed io, che ne sono golosa di ciò, ho accettato di comprarla. L’ho portata a casa e l’ho messa sul tavolo. Ho mangiato un po’ di pane cotto con i pomodorini e con l’alloro e sono andata a dormire. Quella notte che baccano sentii arrivare dalla cucina, era talmente forte che mi costrinse a scendere al piano di sotto dove con mia grande sorpresa, la pentola a pressione, nuova di zecca, stava battibeccando con il paiolo di rame, quello nel quale cucino ancora la mia prelibata polenta.

“Tanto sei arrivata al capolinea, tu, vecchia pentola di rame, ma non lo vedi come sei combinata? Ormai sei vecchia e la tua padrona ha deciso che finirai dritta dritta nella spazzatura!” disse la pentola a pressione indispettita.

“Non è vero, mi stai dicendo ciò solo per farmi del male, ma non credo neanche a una parola di quello che mi stai dicendo. La signora mi vuole bene, sono tantissimi anni che siamo insieme e non mi abbandonerà di certo per una pentola boriosa che quando finisce il suo lavoro emette un suolo stridulo!” rispose il vecchio paiolo di rame con la voce rotta dal pianto.

I Racconti di Mila e Pila- 25 Dicembre: il paiolo di rame e la pentola a pressione

La nonna, però, mentre mi dice queste parole, non si gira neanche per un istante verso di me, no, non è triste, è solo troppo impegnata a far sì che la polenta che sarà versata nei nostri piatti non abbia nessun grumo e sia liscia e morbida.

Cerco di non farmi vedere da lei mentre sollevo il coperchio della pentola dove a darmi il benvenuto è dell’ottimo sugo di salsiccia, arricchito di tante cipolline delicate che durante la cottura si sono quasi sciolte, diventando una crema.

Apro la credenza e prendo una fetta di pane già tagliata che è rimasta da ieri sera, chiudo l’anta attenta a non farmi sentire dalla nonna e immergo completamente la mollica nel sugo denso.

Porto la fetta di pane alla bocca, quando mi accorgo che la nonna ha lasciato la sua postazione ed è vicina a me, talmente vicina da levarmi dalle mani questa prelibatezza.

“Nonna, no, non è giusto…sai quanto mi piace mangiare pane e sugo prima di mettermi a tavola”, piagnucolo queste parole mentre la nonna fa adagiare la fetta di pane su un piatto.

“Questa la mangerai dopo, sai che non voglio che non tu perda l’appetito. Sono ore che sto in cucina e desidero che il mio pranzo venga assaporato in tutte le sue sfumature!”.

“Ma io lo apprezzo ugualmente il tuo pranzo, nonna….” , cerco di convincerla a farmi ridare indietro quella prelibatezza, ma sembra essere irremovibile.

“Allora vuol dire che non mangerò neanche la polenta…”, dico mentre serro le braccia al petto.

“Allora vuol dire che pranzerò da sola questo Natale!”, risponde a tono la nonna.

Mi metto seduta davanti al camino e mi sento derubata di qualcosa che mi apparteneva: quella fetta di pane giace su quel piatto e s’è anche raffreddata, che peccato!

La nonna mi si avvicina nel tentativo di fare pace ma io, come una sciocca bambina, la allontano da me.

Vedo, con la coda dell’occhio, che sta nuovamente girando la polenta nel paiolo mentre con l’altra mano, sta facendo cadere a pioggia nell’acqua bollente, la farina gialla.

E’ dispiaciuta per il mio atteggiamento e nonostante la colpa di ciò sia stata mia, lei per farmi capire che è venuto il momento di fare pace, si trasforma nella signora Mila.

I Racconti di Mila e Pila-25 Dicembre: il paiolo di rame e la pentola a pressione- 1° Parte

 

E’ Natale!

Che gioia provo ancora nel cuore nel vedere il nostro albero stracarico di addobbi, la neve sul viale, la legna nel camino crepitare, la nonna intenta a preparare la sua insuperabile polenta.

Sì, avete letto bene: P-O-L-E-N-T-A.

Nella nostra casa il 25 dicembre, accompagnata da un sugo denso di carne dove abilmente mischiate alle cipolline si trovano le salsicce che la nonna si fa preparare dal signor Giovanni in persona, a far il suo ingresso trionfale sulla tavola imbandita, arriva la polenta.

Giovanni, il migliore amico del nonno, è il macellaio che sembra essere uscito da un libro di lettura.

Con la pancia prominente, un po’ pelato, non molto alto e sempre pronto a tessere le lodi dei tagli di carne che, come dice lui, sono i migliori della zona.

La polenta che arriva da sempre sulla nostra tavola, ogni 25 dicembre, non è di quelle pronte, istantanee, come si legge sulla confezione, la nostra polenta ha bisogno di tempo, di pazienza, di amore. E la nonna di amore gliene dà tanto.

Eccola lì, intenta a girare la polenta, stando bene attenta a versarne un po’ per volta nel paiolo di rame.

“Nonna, è il primo Natale che apparecchiamo solo per due persone. Io, però, non mi sento triste, perché sono accanto a te. Però, che bello era quando apparecchiavamo per tante persone. Ricordi, oltre alla mamma, al papà, al nonno venivano sempre da noi anche gli zii Luciana e Biagio, con i loro figli ed i nipoti? E delle volte sedevano con noi anche zia Mariella e zio Franco perché, dicevano, non potevano perdersi quella prelibatezza di polenta che solo tu nonna riesci a preparare con così tanta maestria”.

“Ringraziamo il Signore per quello che ci ha dato in tutti questi anni, non è da tutti avere dei bei ricordi e poi ringraziamolo ancora per il grande amore che ci unisce e che non morirà mai, perché i sentimenti, quelli veri, quelli profondi, rimangono per l’eternità”.

Inno a Venezia: in una singolare lettera a lei indirizzata, un ringraziamento speciale per le emozioni che regala.

Cara Venezia,

città osannata e amata, celebrata da grandi scrittori e immortalata da eccelsi pittori.

Sai…mi sembra di conoscerti da sempre, sarà per quelle foto in bianco e nero dei miei nonni in Piazza San Marco con i piccioni, che ho consumato a forza di vedere.

Perché anni fa ogni viaggio di nozze che si rispettasse non poteva non contemplarti.

E tu sembravi aspettare queste coppie di giovani sposi, estasiati dalla tua bellezza che cominciavano a pregustare già dall’uscita della stazione ferroviaria di Santa Lucia.

Il giro in gondola era più costoso del traghetto, ma per la luna di miele si poteva fare questo ed altro.

E pensare che sei nata quasi per caso, perché, nonostante i primi insediamenti  risalgano al periodo pre-romano, il grande sviluppo lo conoscesti nel V secolo, quando le popolazioni della terraferma, per paura delle invasioni barbariche degli Unni, pensarono bene di lasciare le loro case e di stabilirsi in laguna, dove tu le accogliesti con amore.

I palazzi di Venezia (Foto di Lorenza Fiorilli)

La storia ti ha fatto conoscere periodi di grande splendore, come l’epoca della Repubblica Marinara, ma anche la delusione del Trattato di  Campoformio, con il quale la Francia ti cedette all’Austria.

Scorcio di un altro palazzo veneziano (Foto di Lorenza Fiorilli)

Snodo principale e nevralgico per il commercio con l’Est, dopo la scoperta dell’America la tua importanza cominciò a declinare, ma eri sempre tu, splendida ed unica al mondo.

E non c’è turista straniero che non ti abbini, nel suo tour italiano, a Roma e Firenze, tre città-simbolo della nostra penisola.

…ci si avvicina a Piazza San Marco (Foto di Lorenza Fiorilli)

Hai ammaliato e continuerai ad ammaliare milioni di persone, che si perdono nella maestosità di Piazza San Marco dove svetta la Basilica, con all’interno gli splendidi mosaici che ripercorrono la tua storia, il Palazzo Ducale  con la facciata in marmi d’Istria, e il campanile che un tempo serviva come faro per i naviganti.

Il Palazzo Ducale con la sua facciata in marmo d’Istria (Foto di Lorenza Fiorilli)
Il Campanile e il Palazzo Ducale visto dalla laguna (Foto di Lorenza Fiorilli)
Arrivederci Venezia… (Foto di Lorenza Fiorilli)

E tu faro lo sei ancora, per la straordinaria bellezza e l’atmosfera magica, quasi surreale.

E un po’, quando ti veniamo e trovare, ci sentiamo come il grande scrittore Wolfgang Goethe il quale, nel suo libro “Viaggio in Italia”, scrisse a proposito di te: ” E Venezia, grazie a Dio, non è più per me una parola vana, un nome vuoto, il quale mi ha tormentato le tante volte col suo suono fatale”.

Sei sempre più lontana da noi ma vicinissima, per sempre, al cuore  (Foto di Lorenza Fiorilli)

Grazie Venezia, grazie per le emozioni che sai regalare al mondo intero.

Alessandra Fiorilli

I Racconti di Mila e Pila- 24 Dicembre: la carta da lettere con le rughe- 3° Parte

“Signora Pila, non posso proprio non raccontarle quello che mi è successo qualche mese fa, quando stava mettendo in ordine il cassetto dello scrittoio che ho in camera”.

Capisco così che è venuto il momento di narrare un’altra delle nostre storie fantastiche.

“Bene, signora Pila. Un pomeriggio dello scorso autunno, mentre fuori diluviava, decisi che era venuto il momento di mettere ordine in quel cassetto dove metto tutto alla rinfusa, bollette con le garanzie degli elettrodomestici, lettere con ricette di cucina quand’ecco che all’improvviso, sentii una vocina che sembrava chiamarmi dal fondo del cassetto.

“Ohi, ohi, povera me, ero un fiore, e adesso guardatemi, sommersa da cose inutili. Ma son cose da farsi queste, eh? Si rispetta così una vecchia lettera d’amore?”.

Allorché io, incuriosita da queste parole pronunciate con un fil di voce, mi misi a rovistare nel cassetto.

“Piano, piano, deve fare piano. Che cosa sta gettando tutto all’aria, eh? Sto qui, signora, non mi vede, sono tra l’ultima bolletta dell’energia elettrica e la garanzia di quell’odioso computer che, non so come mai, lei abbia voluto acquistare, nonostante la sua età avanzata!”.

“Ma chi sta parlando?” chiesi io, mentre avevo lasciato stare per un istante di rovistare tra tutte quelle carte.

“Sono io, sono la lettera d’amore che suo padre scrisse a sua madre poco prima che si sposassero e che lei non ha mai voluto buttare. Sto chiusa da anni e anni in questa carta da lettera con la ceralacca. Ma come fa a non vedermi?”

Ma certo, la vecchia lettera d’amore! Ma come avevo fatto a dimenticarmene! Era lì, la vedevo chiaramente!

“Posso sapere perché tutte queste lamentele oggi pomeriggio?” le chiesi mentre cercavo di tirarla fuori da quel cassetto pieno di carte.

I Racconti di Mila e Pila- 24 Dicembre: la carta da lettere con le rughe- 2° Parte

Confesso questo alla nonna, che nel frattempo si è messa a sedere proprio di fronte a me.

“Sono curiosa di sapere cosa ti ha scritto il nonno” risponde la nonna con un tono di voce che sa tanto di malinconia.

Malinconia per quell’uomo che ha tanto amato, nostalgia di quei giorni in cui tornavo da scuola di corsa per abbracciarla, mentre lei mi aspettava sull’uscio di casa.

“Se vuoi nonna, ti posso dire le ultime righe della lettera, sai..le ho lette tante di quelle volte che le ho imparate a memoria.” rispondo con un tono di voce dolce ma indebolito da quel piccolo dolore provato nel vedere la nonna così triste.

“Bene, le parole con le quali il nonno chiuse le lettere sono proprio queste: E ricorda, non tradire mai i tuoi sogni, nonostante qualcuno ti proponga in cambio un sacchetto d’oro, non tradire le persone, non tradire la fiducia di chi conta su di te, ma soprattutto non tradire te stessa, nonostante gli altri siano pronti ad adularti e a dirti cose che non pensano realmente”.

Pronuncio queste parole con un nodo in gola mentre la nonna rimane per un istante, che a me sembra lunghissimo, in silenzio, in attesa che qualcosa avvenga.

Io rimetto in ordine tutte le lettere ingiallite, tutti i quadratini smangiati di carta a quadretti, in quella vecchia scatola di latta e dato che la malinconia si sta facendo troppo forte, la nonna si trasforma nella signora Mila.

La storia della famiglia Scaturchio: le loro creazioni artigianali, i classici dolci napoletani e quella ricetta segreta del famoso “Ministeriale”, medaglione di cioccolato fondente nato per amore di una ballerina.

Ci sono legami che vanno oltre: oltre il fatto di avere lo stesso sangue, di essere figli, nipoti di chi ha fondato un’attività di successo.

Ci sono legami impastati di passione, di amore per il proprio lavoro, di voglia di dare il massimo perché, anche se non porti lo stesso cognome del capostipite e non fai parte della sua famiglia, senti tuo quel posto, e avverti quel dovere morale di continuare a seguire le orme di chi non c’è più e ha amato la sua attività, rendendola famosa in tutto il mondo.

E’ questa la storia che andrò a raccontare: la storia della Ditta Giovanni Scaturchio, nome noto della pasticceria napoletana, il cui marchio nel 1996 è stato acquistato da nuovi proprietari, due imprenditori napoletani, nonché sorella e fratello,  i quali, rilevando il brand, hanno consentito alla storica pasticceria di poter continuare lungo la strada iniziata, nel 1905, da Giovanni Scaturchio.

Una singolare prospettiva dell’ingresso della sede storica della Ditta Giovanni Scaturchio, in Piazza San Domenico Maggiore (foto per gentile concessione della Ditta Giovanni Scaturchio)

Con questa scelta hanno pertanto permesso di far rimanere nelle mani di napoletani il famoso marchio di una delle pasticcerie storiche, nonché di far continuare il lavoro del laboratorio come quando c’era la famiglia Scaturchio alla guida.

Non solo, ma i nuovi proprietari del marchio hanno anche aperto quattro nuovi punti vendita : al San Carlo, a Piazza Amedeo, al Vomero e “Casa Scaturchio”, una raffinata Sala da thè situata al piano nobile del Palazzo di Piazza San Domenico Maggiore, dove è ubicata la sede storica.

La vetrina del punto vendita al Vomero (foto per gentile concessione della Ditta Giovanni Scaturchio)

A condurci per mano lungo i sentieri della storia degli Scaturchio sarà Giacomo Cautiello, Direttore del laboratorio pasticceria.

“Nonostante non ci sia nessuno che in ditta porti il cognome del fondatore Giovanni, posso affermare, con grande orgoglio, che l’80% di chi presta qui la sua opera è figlio o nipote di coloro che hanno avuto il pregio e l’onore non solo di conoscere ma di lavorare con Giovanni, prima, e con il figlio Mario, poi. Anche mio padre è stato uno dei vecchi dipendenti di Scaturchio, e non è un caso che la mia passione per la pasticceria sia nata proprio in questo laboratorio, nel quale andavo a trovare spesso mio padre che qui ha lavorato dal 1957 sino al giorno della pensione. Di quelle “visite” ricordo soprattutto i tipici odori che si respiravano specialmente a Natale.  Subito dopo aver conseguito il diploma di ragioneria, nel 1980, non ha avuto dubbi: sarei andato a lavorare per la famiglia Scaturchio. Ho iniziato dal basso e ho fatto di tutto e oggi, con orgoglio, dirigo il laboratorio della pasticceria. Sono innamorato di questo mestiere e sono molto severo: se un prodotto non è perfetto non lo faccio uscire”.

La giornata di Giacomo inizia alle quattro e mezza della mattina per finire alle sette e mezza di sera, tutti i giorni della settimana, escluso il martedì “Quando i pasticceri di Napoli si riposano”.

Il laboratorio è ubicato nella sede storica di Piazza San Domenico Maggiore: “Ed è frutto dell’ingegno di Mario Scaturchio, uomo lungimirante e capace, il quale  disegnò da solo tutto il laboratorio e che fece della pasticceria di famiglia una ditta all’avanguardia”.

Quando Giacomo parla di Mario lo fa ancora con riverenza e affetto: “Mario era un grande uomo, rispettoso e rispettato, e parlando delle altre pasticcerie di Napoli, amava ripetere che il sole deve nascere per tutti“

E sono proprio i passaggi della lavorazione dolciaria e che Mario segnava scrupolosamente, ad essere seguiti ancora oggi :La bagna del babà è quella originale di 90 anni fa, e, nonostante arrivino rappresentanti per proporci nuovi prodotti, noi siamo ligi a quello che è la nostra tradizione”.

Il Babà classico in versione torta (foto per gentile concessione della Ditta Scaturchio)

Tutto ancora artigianale nella pasticceria Scaturchio, dove:  Le macchine sono usate pochissime e solo poter aiutare a stendere la pasta”, dichiara Giacomo, il quale svela il segreto del successo mondiale del marchio: “Noi della pasticceria Scaturchio vogliamo offrire ai nostri clienti non semplicemente qualcosa di zuccherato, ma un sapore che deve inebriare e sciogliersi in bocca. Prima di chiederci cosa vogliono gli altri, ci chiediamo cosa vorremmo mangiare noi”

Un’altra versione della Torta Babà (foto per gentile concessione della Ditta Giovanni Scaturchio)

L’offerta della pasticceria Scaturchio è ampia, ma il pezzo forte è indubbiamente la classica pasticceria napoletana: Il babà, la sfogliatella, di cui ne vendiamo anche 3000 al giorno, e la cassatine napoletane che sono diverse da quelle siciliane, perché non usiamo solo la ricotta di pecora, ma anche quella di latte vaccino”.

La regina della pasticceria napoletana: la sfogliatella (foto per  gentile concessione della Ditta Giovanni Scaturchio)
La cassata (foto per gentile concessione della Ditta Giovanni Scaturchio)

E’ nel famosissimo Ministeriale, medaglione di cioccolato fondente  con un cuore di crema leggermente liquorosa, che  la storia di una famiglia e di un marchio si fonde con la magia e il fascino del segreto di una ricetta.  Come sia nato  questo superbo cioccolatino, la cui ricetta è stata brevettata e ancora oggi è   nota solo a tre persone, Giacomo Cautiello, il proprietario del marchio Scaturchio e il pasticciere che materialmente li crea, ce lo racconta lo stesso Giacomo: “Giovanni Scaturchio aveva tre figli: Pasquale, Mario e Francesco , ottimo pasticcere e grande viveur che amava frequentare i tabarin e proprio in uno di questi, s’invaghì di una ballerina, Anna, e pensando a lei creò questo cioccolatino che tanto le somigliava, perché aveva un cuore dolce e morbido e fuori era croccante.”

Il famoso “Ministeriale” (foto per gentile concessione della Ditta  Giovanni Scaturchio)

Chiedo a Giacomo perché questa deliziosa creazione abbia preso il nome di Ministeriale: “Poiché il re veniva spesso a Napoli nel Palazzo Reale e Francesco pensò bene di volere far assaggiare questa sua creazione al sovrano, sulla cui tavola arrivo questo medaglione di cioccolato, ma solo dopo essere passato, per i necessari controlli,  di ministero in ministero: di qui il nome di Ministeriale”.

Una delle confezioni dei Ministeriali (foto per gentile concessione della Ditta  Giovanni Scaturchio)

Il nome di Scaturchio è, dal 1993, legato strettamente anche ad un altro capolavoro dell’arte dolciaria: la Torta Babà a forma di Vesuvio: “In quell’anno si tenne il G7 a Napoli e Mario  Scaturchio, insieme all’ingegno dell’insigne architetto Fabrizio Mangoni, misero a punto un dolce che celebrasse il simbolo di Napoli, il Vesuvio appunto, attraverso l’inventiva e la maestria degli Scaturchio, e nacque così la Torta  Babà. Quando fu portato al G7, i giapponesi, prima di mangiarlo, scattarono non so quante foto a quella che era un dolce ma soprattutto un’opera d’arte”,  opera che si può ammirare nella  vetrina nella sede storica degli Scaturchio, in  Piazza San Domenico Maggiore.

Il famoso Babà-Vesuvio, questo in monoporzione (foto per gentile concessione della Ditta Giovanni Scaturchio)

“Il babà- Vesuvio  lo produciamo sia in monoporzione che nel formato da  6 chili per 150-200 persone”.

Questa la storia della ditta Giovanni Scaturchio, dove ogni giorno nel laboratorio si impastano non solo ingredienti ma passione, amore, tradizione, fedeltà a quell’ idea che nacque nel 1905 grazie a Giovanni, che fu consolidata dal figlio Mario e che ora è portata avanti ed onorata da chi, pur non portando il cognome Scaturchio,  fa parte a pieno titolo della famiglia , come ci conferma Giacomo con questo suo ricordo personale: “Mia madre indossa ancora lo scialle che le fu regalato dalla moglie di Giovanni Scaturchio e mio padre , che come ho già detto ha lavorato per decenni nel laboratorio della pasticceria, ancora oggi, quando gli faccio assaggiare i nostri prodotti, mi fa notare se qualcosa non è perfettamente conforme al marchio Scaturchio”.

Il segreto di un successo mondiale: I nostri prodotto sono spediti in tutto il mondo con i famosi ruoti”, come ci dice Giacomo Cautiello, è nell’equilibrio tra passato e presente, e in quelle tradizioni che, pur affondando le radici nel secolo scorso, guardano sempre al futuro.

Alessandra Fiorilli

I Racconti di Mila e Pila- 24 Dicembre: la carta da lettere con le rughe-1° Parte

 

“Le conservo ancora tutte, sai Ludovica?”

Mi dice questo la nonna, mentre è intenta a passare nella pastella morbida e filante i filetti di alice perfettamente diliscati.

“Che cosa conservi, nonna?”

“Le tue lettere, e ogni tuo scritto, compresi quei foglietti di carta stropicciata che tu amavi tanto mettermi di nascosto nelle tasche del mio grembiule da lavoro”.

“Davvero, nonna? E dove sono, sono curiosa di vederle anch’io, quasi me ne ero dimenticata!”

Sono in trepida attesa nell’istante stesso in cui la nonna apre un cassetto della vecchia credenza in noce.

Eccole, sì, le riconosco, sono proprie loro, sono le mie letterine scritte in occasione del Natale, di un compleanno, di un onomastico, sono quei minuscoli quadratini di carta a quadretti, strappata via da qualche quaderno di scuola e sui quali amavo disegnare un cuore con sotto scritto, semplicemente, “TI VOGLIO BENE”.

La nonna toglie il coperchio a quelle scatole di latta di biscotti inglesi, portati da quella vecchia zia che si era trasferita a Londra, e tutto ciò che è passato, sembra diventare vivo, palpitante.

Mi metto a frugare tra vecchie lettere ingiallite tra le quali, spuntano, però, anche quelle più recenti, quelle che ho scritto alla nonna da Chicago nell’anno appena trascorso.

“Nonna, sappi che per me è stato difficile scriverle, sai noi ragazzi non siamo più abituati a usare carta e penna, per noi un messaggio sul computer va più che bene”.

“Lo so, lo so, Ludovica ma vedi le lettere le puoi conservare, le puoi rileggere quando hai nostalgia di una persona, assaporandone anche la grafia” dice la nonna, mentre un velo di lacrime appanna i suoi bellissimi occhi verdi.

“Sai, nonna ti devo confessare una cosa: conservo ancora tra le mie cose più preziose una lettera che il nonno mi fece trovare sopra il cuscino il primo giorno di scuola alle elementari. L’ho letta, specie dopo la sua morte, tante di quelle volte che la carta è diventata fine, quasi trasparente. Leggo quelle parole perché riesco a trovarci dentro la forza di cui spesso ho bisogno, quando, nelle sere lontana da te, mi affaccio dalla mia camera e non vedo i nostri alberi ma solo una selva di grattacieli. E quanto mi piacerebbe riuscire a poter scrivere come ha fatto quel giorno il nonno”.

I Racconti di Mila e Pila- 23 Dicembre: scarpone e scarpina- 5° Parte

La scarpina si asciugò le lacrime e avvicinandosi allo scarpone lo abbracciò dicendo:

“Anch’io non mi sono comportata bene con te, scarpone, ti ho sempre giudicato rozzo e senza cuore, capace solo di lavorare. Invece sei sensibile e la tua opera è stata importante non solo per questa famiglia ma anche per tutti coloro i quali hanno potuto assaporare i frutti di quella terra che hai lavorato con il tuo padrone”.

Lo scarpone si commosse e alla fine lo feci anch’io.

Quella notte stessa mi alzai per andare a bere un bicchiere d’acqua e incuriosita andai ad aprire l’armadio a muro dove il pomeriggio scarpone e scarpina si erano messi a battibeccare.

Ebbene, signora Pila, non ci crederà, ma con mia grande sorpresa, stavano dormendo abbracciati e alla scarpina non interessava più se lo scarpone, di tanto in tanto, poteva rigargli, con la pesante suola, il suo prezioso tacco e la pelle lucida sulla quale erano state cucite le perline.

Quanto è grande la capacità delle parole e la volontà di chiarire una situazione!”