Intanto tu fremevi, nonno, e stavi tentando di farci capire che volevi metterti a letto, nel tuo letto, stavolta. La difficoltà maggiore fu quella di superare la barriera dei gradini che dal cancello portavano sopra casa.
10 gradini, erano solo 10 gradini, erano gli stessi che avevi, con leggerezza e gioia, salito e disceso tante volte per recarti giù in cantina e poi per passare da lì alla veranda, erano gli stessi sui quali mi piaceva sedermi ad ammirarti mentre facevi il vino, ed erano gli stessi che avrebbero rappresentato per noi una personalissima, dolorosissima versione della salita al Golgota.
Sai, nonno, ricordo ancora quel tuo sorriso, appena accennato, che mi regalasti quando ti accorgesti che finalmente avevi varcato la soglia di casa ed eri lì, finalmente, nel tuo corridoio, con le poltroncine ed i quadri che avevi personalmente scelto ed acquistato, sistemato ed appeso a quella stanza dai soffitti alti. La promessa era stata mantenuta, e tu avevi avuto la tenacia, la forza, la determinazione necessaria per resistere in quella stanza d’ospedale, pur di rivedere la casa per l’ultima volta. Poi ti sistemammo sul letto e solo allora tirasti un gran sospiro e, regalando ad ognuno dei presenti un lieve sorriso, dicesti a stento: “Stavo in prigione ma ora, per fortuna, è tutto finito”.
Non c’era tempo da far passare infruttuosamente, era necessario chiamare un’infermiera per organizzare tutto il lavoro che la presenza di un malato grave in casa richiedeva. Lei arrivò subito e ci consegnò una lista di tutto l’occorrente da acquistare.
Mi avvicinai e, forse per smorzare la tensione delle ore precedenti, cominciai a parlarle e le chiesi se ti conosceva, se mai ti aveva visto per le strade della città, con la tua bicicletta, con la nonna sottobraccio. Era un modo, questo, per farle comprendere che tu eri stato forte, bello, coraggioso, che la tua vita passata nulla aveva da spartire con un presente fatto di dolore, di sofferenza, di stanchezza, di immobilità.
L’infermiera mi rispose di sì… sì, nonno, anche questa donna bionda che stava prendendosi cura di te ti conosceva, e soprattutto, ti aveva conosciuto nel tuo massimo splendore e questo mi rincuorò non poco. Eri bello, nonno, eri figlio dell’amore e della sofferenza, di un sorriso e di un rimbrotto, della guerra e della speranza, della solitudine e della gioia nello stare insieme con la tua famiglia. Solo chi riesce a condensare tutto ciò e ad amalgamarlo con la passione per la vita, è in grado di trasmettere fascino e bellezza, come tu sapevi fare, nonno.