I racconti di Mila e Pila- 29 Dicembre: la macchina da cucire a pedali e quella elettrica- 4° Parte

“Un pomeriggio ero intenta a mettere ordine nel mio armadio quando dal piano inferiore, sentii provenire due voci, uno sembrava appartenesse a una signora anziana, l’altra a una ragazza. Mi affacciai dalla balaustra della scala interna e sentii che stavano parlando di asole, cuciture, battiture.

Scesi giù, un po’ intimorita ma poi vidi che la vecchia macchina per cucire stava battibeccando con quella nuova che avevo, appena qualche ora prima, tirato fuori dalla scatola perché dovevo fare un lavoro un po’ difficoltoso, nel quale la vecchia non avrebbe mai potuto aiutarmi.

“Ma stai zitta, tu, che di bello hai solo il mobile che ti custodisce, per il resto sei un completo fallimento, mi chiedo ancora perché mai la tua padrona non ti getti via, tra le cose ormai inutili e inutilizzate”, disse la macchina nuova con la scocca in bianco opaco.

“Ma io…io sono stata utile, poi, certo…la tecnologia è andata avanti e sei nata tu, super-accessoriata, capace di fare tutti i lavori in tempi rapidissimi ma non capisco perché devi essere così cattiva con me…” rispose la mia fedele compagna, mentre si era lasciata andare a una cascata di lacrime.

“Non ti permetto di trattare in questo modo la vecchia macchina per cucire, non se lo merita” la rimproverai mentre lei, in tutta risposta, si girò dall’altro lato per non incrociare il mio sguardo.

“Io riesco a fare cose che tu neanche immagini…” continuò la macchina nuova, indispettita dal fatto che avessi preso le difese della sua rivale.

I racconti di Mila e Pila- 29 Dicembre: la macchina da cucire a pedali e quella elettrica- 3° Parte

Da quel giorno la nuova macchina è chiusa nel suo scatolone e solo di rado la fa uscire, proprio quando le serve per qualche lavoro che la vecchia macchina non è in grado di svolgere.

Arriva la nonna con il catino pieno di panni e per aiutarla, le corro incontro per aiutarla, perché barcolla sotto il peso dei panni asciutti che ha tirato via dei fili.

“Nonna, dovresti comprare un catino più grande, rischi di perdere gli indumenti per strada altrimenti”.

“Non ti preoccupare, Ludovica, questo piccolo catino mi basta. Ora i panni sono di più perché ci sei tu ma tra qualche giorno…tu a Chicago ed io qui, nuovamente sola…” risponde la nonna che è diventata all’improvviso malinconica.

Accipicchia, non riesco proprio a stare zitta, devo sempre dire qualcosa che la fa intristire.

Mi vado a mettere in un angolo, quasi volessi da sola punirmi per ciò che ho detto.

La nonna mi vede e mi porge la mano, dicendomi:

“Signora Pila, venga con me, le racconto cosa hanno combinato, un po’ di tempo fa le due macchine per cucire, quella antica e quella nuova”.

Dalle parole della nonna capisco che è arrivato il momento di tuffarci nel mondo fantastico di Mila e Pila, e dei loro racconti di fantasia.

“Mi dica, signora Mila, sono tutta orecchie!”.

E la nonna comincia così a raccontare la storia.

I racconti di Mila e Pila- 29 Dicembre: la macchina per cucire a pedali e quella elettrica- 2° Parte

Alla nonna piaceva molto lavorare con quest’aggeggio ed io adoravo stare lì, in silenzio, a vederla cucire, mentre lei, con gli occhiali sul naso, si lasciava andare al dolce suono che il pedale regalava quando era all’opera.

Un giorno di qualche anno fa, mio padre si presentò a casa con una grande scatola tutto infiocchettata e disse alla nonna queste parole:

“Mamma, è ora di essere al passo con i tempi”, poi non aggiunse altro e si limitò a porgere alla nonna il regalo.

Lei lo aprì, con la sua solita flemma, e quando vide cos’era, rimase senza parole.

Ma non tanto per la gioia, quanto per il fatto che non riusciva a dire a papà che a lei piaceva sì cucire ma con la sua fedele macchina, quella con il pedale, quella che sapeva far risuonare quel singolare ritmo in tutta la sala.

Che cosa sarebbe stato mai usare questa nuovissima macchina da cucire con la scocca di un bianco opaco, piena zeppa di bottoncini che bastava premerli e poter far tutto?

La nonna si limitò a ringraziarlo ma papà vide che non era molta la gioia stampata sul suo volto.

“Credevo di farti una cosa gradita, mamma” disse il papà un po’ deluso dalla mancanza di entusiasmo della nonna.

“Ti ringrazio di cuore per il pensiero ma lei…beh lei è un’altra cosa…” rispose la nonna mentre gettò un’occhiata piena di affetto alla sua fedele macchina per cucire custodita in quel mobile in radica.

I racconti di Mila e Pila- 29 Dicembre: la macchina per cucire a pedale e quella elettrica- 1° Parte

29 DICEMBRE: LA MACCHINA PER CUCIRE A PEDALE E QUELLA ELETTRICA

A Chicago, nell’appartamento dove vivo con i miei genitori, non c’è nulla, né un mobile, né un oggetto qualsiasi che parli del passato.

Il casolare della nonna, invece, è zeppo di ricordi, e anche chi ormai non c’è più su questa terra, come il nonno, torna a vivere attraverso un oggetto che tanto amava e che la nonna non ha buttato ma è ancora qui, con noi.

Ecco allora i suoi straccali neri, o gli stivali di gomma nel magazzino fuori l’orto, o la fedele zappa con la quale levava i fili d’erba che crescevano attorno agli alberi del frutteto.

Ma c’è voluto del tempo per tirarle fuori, non l’abbiamo fatto subito dopo la scomparsa del nonno, perché in quei momenti era troppo forte il dolore per una persona che non c’era più.

Se volessi fare un gioco, un indovinello, ad esempio, e dire qual è l’oggetto che identifica immediatamente la nonna, tra tutti quelli che si trovano nel casolare, direi sicuramente la macchina da cucire alla quale la nonna aggiunge sempre l’aggettivo “fedele”, perché è stata in grado di aiutarla in molti lavori di cucito e non si è mai lamentata, neanche quando era costretta a lavorare anche per molte ore di seguito.

Alla nonna è sempre piaciuto usare questa macchina per cucire che è custodita in un mobile di radica ancora lucidissima che il nonno le fece costruire da un suo amico falegname.

Questo mobile sembra uno di quegli scrigni segreti che si leggono nelle favole per bambini, se lo vedi non ti accorgi che custodisce all’interno un segreto: è un parallelepipedo di legno tirato a lucido con una maniglia di ottone proprio in mezzo all’anta centrale.

Poi, però, se ci si avvicina, si nota subito che il pezzo superiore è ribaltabile e diventa un piano da lavoro, dove poter mettere i fili, le forbici, e tutto l’occorrente, mentre un altro pezzo di legno nasconde la macchina che, con un gesto rapido della mano, viene su.

L’anta, quella con il manico in ottone, serve invece a nascondere il pedale con il quale l’ago viene fatto andare su e giù sulla stoffa da cucire.

I racconti di Mila e Pila- 28 Dicembre: il ruscello canterino-5° Parte

“Signora, sta scherzando, vero? Come, lei mi chiede perché sono felice? Ma ha visto il luogo dove vivo? In mezzo alla natura che cambia con le stagioni, che si modifica con esse,, che cambia forma, che vive, palpita e che non sa cosa sia la monotonia. Chi è più felice di me…”

E ricominciò a cantare il suo ritornello.

“ Allora, se è vero ciò che dice, dovrebbero essere felici e canterini tutti i ruscelli della terra! Perché, invece, è la prima volta che incontro un ruscello così contento?” gli chiesi io incuriosita.

“Vede la mia storia è un po’ speciale, io in realtà, nasco come un ruscello triste, sempre imbronciato, invidioso per i lunghi fiumi che si gettano nell’immenso mare, per i maestosi laghi.

Io invece, ero solo un povero ruscello di collina, destinato a fare sempre il solito percorso. Poi, un giorno, sentii degli uomini parlottare tra loro: erano venuti qua perché c’era un progetto edile che prevedeva l’abbattimento di tutti gli alberi e il mio prosciugamento. La gente della vallata si mobilitò e lottò strenuamente per la difesa di questi luoghi. Alla fine, dopo mesi, i “montanari” come chiamavano questi uomini con disprezzo gli abitanti della vallata, vinsero la loro battaglia. Ma quanta paura provai nel pensarmi prosciugato e quanta tristezza nel sapere che non avrei più potuto scorrere e gettarmi dalla cascata. Allora capii l’importanza di essere un piccolo ruscello non inquinato dagli scarichi e libero di poter correre e saltare. Da allora non ho più invidiato nessuno e ringrazio il cielo ogni giorno di essere nato qui e di poter continuare a vivere in questa bellissima valle”.

Continuai il mio cammino, riflettendo sulle parole pronunciate dal ruscello e sull’importanza di apprezzare ciò che si ha, senza pensare agli altri.

 

 

 

 

I racconti di Mila e Pila- 28 Dicembre: il ruscello canterino- 4° Parte

Bene, un pomeriggio proprio mentre ero arrivata vicino al ruscello, sentii una voce squillante canticchiare un allegro ritornello.

Che strano, non c’era nessuno nelle vicinanze!

Continuai a camminare finché quella stessa vocina continuava a cantare.

“Chi è più felice di me?

No, so bene che non c’è!

Guardate la mia acqua,

felice come una Pasqua!

E sotto questo cielo

ringrazio il mondo intero!

Ringrazio il Signore

per quel ripido burrone

nel quale poi mi tuffo

facendo un gran bel tuffo!

Guardate e ascoltate

Ridete con me e non più pensate

alle cose tristi

ma sorridete e cantate, o voi tutti!”

La vocina proveniva dal ruscello, da quel piccolo ruscello che attraversa il bosco, che accarezza i sassi, levigandoli, che gorgheggia felice e che poi si butta in quel burrone, creando delle bellissime cascate naturali.

Mi avvicinai a lui e complimentandomi per la sua voce, ben intonata e impostata, e gli chiesi il motivo di così tanta felicità.

I racconti di Mila e Pila- 28 Dicembre: il ruscello canterino- 3° Parte

Ma stamattina no, non sono a Chicago, ma sto dalla nonna e il mio palato non chiede altro di poter gustare quella fetta che la nonna ha messo nel piattino di porcellana decorato a mano.

Che sapore!

E che gioia poter fare colazione in compagnia della nonna, che mi guarda estasiata in silenzio.

“Mai nessuno ha mai apprezzato le mie torte come te, Ludovica. E mi manca tanto preparartele”, dice la nonna mentre un velo di tristezza le offusca lo sguardo.

Capisco che è venuto il momento da cancellare la nostalgia dei giorni passati e che non torneranno più, allora senza perdere nemmeno un istante, mi trasformo nella signora Pila.

“Signora Mila, sono proprio impaziente nel raccontarle ciò che mi è successo un po’ di tempo fa”.

“Signora Pila, la prego, inizi” risponde la nonna a tono.

“Allora, un pomeriggio, decisi di fare una bella camminata per il bosco. Era autunno, e in questa stagione dell’anno il bosco è bellissimo. Molti pensano che possa essere triste vedere le foglie degli alberi cadere, o i rami spogli, invece a me piace questo periodo dell’anno perché la natura si spoglia di ciò che è stato e si prepara per la nuova primavera. E poi i colori delle foglie che sono incantevoli: passano dal rosso carico all’arancione tenue, dal marroncino al giallo.

 Adoro camminare e sentire il crepitio che le foglie secche producono sotto le mie scarpe. E poi mi piace giocare con i raggi del sole che s’insinuano nel bosco attraverso gli alberi che lentamente si stanno spogliando.

La storia della Trattoria “Sora Lella” raccontata da uno dei nipoti della grande Elena (Lella) Fabrizi.

In tantissimi hanno conosciuto ed apprezzato la sua innata simpatia, il suo senso dell’umorismo grazie ai film di Carlo Verdone, che l’ha voluta al suo fianco dopo averla “scoperta”: “In un programma radiofonico trasmesso, negli anni ’80, da una radio romana, Radio Lazio, che aveva la sede nel cuore storico della Capitale”, come ci racconta Mauro Trabalza, uno dei  nipoti dell’indimenticabile “Sora Lella”, all’anagrafe Elena Fabrizi, nonché sorella dell’indimenticato Aldo Fabrizi.

La mitica “Sora Lella” (Elena Fabrizi) ritratta nella sua trattoria. Alle spalle, le locandine dei film interpretati dal fratello Aldo Fabrizi (foto per gentile concessione di Mauro Trabalza)

E proprio Mauro, insieme ai fratelli Renato e Simone e alla sorella Elena, che porta lo stesso nome della nonna, ci svela come la mitica Sora Lella si sia avvicinata al mondo della cucina.

“ Il 26 giugno del 1938 apre una sua trattoria nel quartiere San Lorenzo, si trasferisce poi a Tor Pignattara, successivamente  si ferma per dedicarsi alla famiglia, ma nel 1959, quando viene a conoscenza che stanno vendendo un ristorante sull’Isola Tiberina, nel cuore di Roma, non esita neanche un istante e lo acquista: era nata la trattoria Sora Lella”.

Gli anni ’60 vedono protagonista Aldo Trabalza, figlio di Lella, nonché  padre di Mauro, Renato, Simone ed Elena: “Papà è stato l’anima della trattoria– svela Mauro- e ha inventato anche un piatto che non manca mai e che  è quello più rappresentativo: “Tonnarelli (all’uovo) alla cuccagna”, per la cui preparazione , a base di vari tagli di maiale, sono usati 18 ingredienti”.

Aldo Trabalza, figlio della Sora Lella (foto per  gentile concessione di Aldo Trabalza )

E, sempre dal padre, Mauro e i suoi fratelli hanno imparato tanto, non solo in cucina, ma nella vita :” Ci ha insegnato il valore dell’umiltà e l’importanza di non sentirsi mai arrivati”.

Aldo in cucina(foto per gentile concessione di Aldo Trabalza)

Anche la morte del padre ha insegnato loro qualcosa, come ci svela Mauro:” Abbiamo capito il valore profondo della famiglia, della vita privata, che tanto abbiamo sacrificato in gioventù. Da qualche anno infatti, la domenica siamo chiusi: è il giorno che andiamo tutti insieme per vedere la Magica (Roma, n.d,r,) o per seguirla in trasferta”.

La famiglia Trabalza al completo, da sinistra verso destra: Simone, Elena, Mauro, Renato, Seduti, mamma Renata e papà Aldo (foto per gentile concessione di Mauro Trabalza)

Dal lunedì al sabato, invece, i clienti  della trattoria , possono degustare la cucina tradizionale romana, incluso il piatto inventato dalla Sora Lella in persona: Gli gnocchi all’amatriciana che, insieme ai rigatoni con la pajata, non mancano mai nel menù”.

60 anni di presenza nel panorama gastronomico della Capitale, i fratelli Trabalza hanno saputo coniugare tradizione : “Tanta” e innovazione “Specie nell’attenzione che mettiamo nella ricerca di prodotti stagionali, a km 0 e di presidi slow food e abbiamo anche provveduto ad alleggerire le dosi che era solito preparare nostro padre”.

Moltissimi i personaggi famosi che sono stati o continuano ad essere clienti abituali della trattoria “Da Elizabeth Taylor e Richard Burton che avevano casa qui vicino, a Anthony Hopkins, ghiotto della nostra pasta e fagioli, da Carlo Verdone al grande disegnatore Ugo Pratt, il quale chiedeva sempre un piatto di melanzane e peperoni tagliati a tocchetti. E poi ancora Giuliano Gemma, Ettore Scola, Mario Monicelli, Antonello Venditti, Jean Paul Belmondo, Paola di Liegi”.

Chiedo a Mauro se, sino a quando è stata in vita Lella Fabrizi, in molti andavano a mangiare in trattoria anche per vedere la nonna :” Sì…entravano, vedevano se c’era e, in caso di risposta negativa, chiedevano quando avrebbero potuto trovarla in trattoria per passare di nuovo e fermarsi a mangiare. Gli ultimi anni, quando era stanca ed affranta per la morte della figlia, diceva ai clienti della trattoria che chiedevano una foto con lei, “Nun so la Sora Lella, so la gemella”. Nonna è morta nel 1993, ma ci ha lasciato tanto ed è per noi grande orgoglio e gioia essere i suoi eredi e i nipoti di Aldo Fabrizi, al quale nonna portava a casa il suo piatto preferito: abbacchio alla scottadito e il vino di Frascati”.

…i piatti sono pronti per arrivare in tavola…(foto per gentile concessione di Aldo Trabalza)

Prima di terminare l’intervista con Mauro gli chiedo se la nonna fosse proprio come l’abbiamo conosciuta nei film di Carlo Verdone: “Sì, era proprio così, e anche la famosa scena della gambe in “Bianco Rosso e Verdone”, nel quale Carlo è alle prese con la ricerca di una sistemazione migliore per la gambe doloranti della Sora Lella che interpretava la nonna nel film, è presa dalla realtà: alcune volte, infatti, quando gli innamorati si dilungavano a tavola ben oltre la mezzanotte, lei garbatamente si avvicinava e diceva loro “Scusate sa…ma a me me fanno male le gambe..me vorrei allungà a letto, dovrei chiude…”. Tra la tradizione di nonna anche i dolci come la famosa crostata ricotta e visciole o solo visciole, , il salame di cioccolato e la zuppa inglese. E, quando è estate, a nostri clienti offriamo il tortino di ricotta e cioccolato preparato da mio fratello Renato, Executive chef della cucina, nonché uno dei migliori gelatai di Roma”.

Parlare con Mauro è stato come rivedere la Sora Lella, la sua allegria, la sua verace romanità che ha incantato tanti italiani, ma anche la Roma della “dolce vita” immortalata in tanti film.

Ringrazio Mauro per questo tuffo nei ricordi e per averci raccontato la storia di questa sua famiglia che ha ereditato dalla Sora Lella la passione per la tradizionale cucina romana e per una città che sembra proteggere, con il Cupolone, i suoi abitanti.

Alessandra Fiorilli

 

 

I racconti di Mila e Pila- 28 Dicembre: il ruscello canterino- 2° Parte

Con il freddo che fa, la torta non impiegherà poi tanto tempo a raffreddarsi, ma, intanto, ogni due minuti chiedo alla nonna se posso mangiarla.

“Se sei così impaziente, tra qualche istante te ne taglierò una bella fetta così potrai farci colazione”, mi dice la nonna.

Ah, la colazione!

Quanto mi manca quel momento iniziale della giornata che fa da cornice a un nuovo giorno che è impaziente di iniziare, proprio come lo sono io nel voler mangiare la torta di mele della nonna.

Quando vivevo con lei in questo casolare di collina, la facevamo sempre assieme, anzi, lei per non scontentarmi faceva colazione due volte.

La prima, quando si alzava e beveva il suo caffè appena macinato, la seconda con me, davanti ad una bella tazza di latte caldo accompagnato da una fetta di ciambellone o di crostata.

A Chicago è molto raro che io possa fare colazione con i miei genitori, loro escono sempre prima di me e a me tocca stare in cucina con la donna che la mamma ha assunto nel ruolo della “tuttofare”: si occupa delle pulizie di casa, della spesa, di prepararmi la colazione.

Questa signora ha i capelli corti rossi, il volto pieno, un po’ di pancetta e le gambe troppo magre per la sua stazza.

Mi osserva sempre quando faccio colazione con il latte e i cereali che odio.

Una volta le ho detto che avrei tanto voluto mangiare, di primo mattino, una bella fetta di torta e lei, proprio il giorno successivo alla mia richiesta, si è presentata con un involucro trasparente dal quale ha tirato fuori una specie di ciambella gigante con sopra dello zucchero sciolto e dei pezzettini di una cioccolata insipida.

Ho apprezzato il suo tentativo di soddisfare la mia richiesta ma poi…poi ho deciso di mangiare i cereali…tanto nessuno mi avrebbe più potuto regalare le torte della nonna.

Che poi, a pensarci bene, non erano tanto la torta di mele o la crostata di albicocche a mancarmi, quanto la nonna e l’amore che metteva tra gli ingredienti che impastava con tanta maestria.

I racconti di Mila e Pila- 28 Dicembre: il ruscello canterino- 1° Parte

Mi sveglio con l’inconfondibile profumo della torta di mele che la nonna sta preparando per me, lo sa bene che ne sono ghiotta e sa altrettanto bene che la “apple pie” che vendono in America non la apprezzo come la sua, vero capolavoro di sapienza, di tecnica, d’amore.

Sì, perché ogni ingrediente usato dalla nonna si sposa perfettamente con gli altri e le mele, una volta portata la fetta di torta alla bocca, sono capaci di scatenare una melodia di sapori unici.

Prima di scendere giù in cucina, accendo il cellulare e l’inconfondibile suono che ho scelto per i messaggi, mi avverte che qualcuno mi ha pensato.

E’ la mamma che mi ha scritto:

“Buongiorno Lù, ieri siamo stati sulle rive del Lago Michigan e abbiamo ascoltato, il papà ed io, il suono delle lame dei pattini e abbiamo pensato a te, alla prima volta che hai pattinato sull’acqua ghiacciata. Ti vogliamo bene”.

Lù, mia madre mi chiama così ma a me non piace molto quest’abbreviazione ma io non gliel’ho mai detto, so che lei ci tiene tanto a sapere che sono la sua Lù.

Mi tolgo da dosso il pigiama di flanella, indosso la tuta grigia, quella con il cappuccio, e mi precipito giù dalla nonna.

La torta di mele è sul tavolo, il suo calore sta producendo quel soffio trasparente che mi fa capire che è ancora troppo calda perché io possa assaporarla in tutta la sua bontà.

Dopo aver scoccato un sonoro bacio sulla guancia della nonna, mi siedo e osservo quel capolavoro che sa di zucchero, di cannella, di scorza di limone grattugiata, che sa di amore.