Lo ricordo ancora chiaramente, sì, lo ricordo, e non potrei non farlo…fu un istante e quasi senza accorgermene, tu, nonno, mi prendesti per il polso come facevi quando ero piccola, fino a condurmi davanti alla finestra della tua stanza da letto.
Non dicesti nulla, ti limitasti ad indicare fuori le piantine di pomodoro che avevano conosciuto, proprio in quei giorni di un caldo quasi estivo, una crescita miracolosa: i pomodori erano appena accennati ma sarebbero diventati grandi e rossi. Anche quando sembra non ci sia più un motivo per continuare, qualcosa ti ricorda che gli altri hanno bisogno di te per andare avanti, per crescere e fiorire. E allora sì che la speranza diventa un dovere morale. Sembrava tutto così normale lì fuori nell’orto, sembrava essere nient’altro che una calda giornata di maggio: le piantine, che di giorno in giorno stavano diventando sempre più forti, nulla potevano presagire di quello che di lì a due mesi sarebbe accaduto in quella casa, la natura faceva il suo normale corso, tutto scorreva ed andava avanti, il fiore di zucca stava già timidamente ergendosi sullo stelo spinoso, così come i pomodori aspettavano impazienti il sole di luglio e di agosto, per poter regalare a tutti il loro profumo, il loro sapore.
Leggesti, nonno, nel mio sguardo, il profondo stato di disagio nel quale mi trovavo e mi lasciasti andare, staccasti la tua dolce presa dal mio polso e senza girarti, mi permettesti di allontanarmi da te, da te che eri ancora affacciato al davanzale. Corsi su per le scale, poi però scesi subito di nuovo per andare in giardino a vedere se dall’orto riuscivo a scorgere la tua figura affacciata alla camera da letto. No, non c’eri già più, gli scuri appannati mi avvertivano del fatto che, nonostante fossero appena le undici del mattino e ti fossi alzato dal letto se non poche ore prima, il tuo fisico, ormai stanco, aveva già richiesto altro riposo. Tornai allora di corsa al piano superiore.
E mentre salivo i gradini, riflettei sul fatto che c’è un tempo per tutte le cose, esiste un tempo per vivere, uno per lottare, uno per sperare, uno per rinunciare. Ero pienamente consapevole che stavi attraversando quest’ultima fase del percorso della tua vita terrena. Dopo pranzo scesi nuovamente da te, ma la nonna mi informò prontamente del fatto che stavi ancora dormendo, che non ti eri alzato nemmeno per mangiare e che chiedevi solo dell’acqua perché lamentavi una certa secchezza delle fauci, ma non la bevevi tutta l’acqua del bicchiere, ti limitavi a bagnarti le labbra.
La nonna mentre mi raccontava quest’ultima dolorosissima novità, cominciò a piangere come faceva lei, con la bocca che tremava e con le mani che giravano nervosamente quel piccolo fazzoletto rosso inglese che in inverno era solita nascondere nella manica del vestito di flanella. Cominciò a dire che non era più tanto sicura che saresti guarito, anzi, che forse tra non molto ci avresti lasciato. Poi, appena pronunciate queste parole che sembravano crude e vere come una confessione, si sentì quasi in colpa per averle pronunciate e allora replicò a se stessa ammettendo, candidamente, che forse avevi solo del mal di gola, che eri stanco perché si era passato, quell’anno, troppo velocemente dal freddo al caldo, che saresti stato meglio e poi… e poi che tra dodici giorni sarebbe stato il tuo onomastico.