Il giorno successivo il medico ci comunicò che le tue condizioni di salute erano incompatibili con un possibile intervento, continuò dicendo che avevi già firmato per uscire dall’ospedale.
Mi precipitai in reparto, tu non c’eri già più, un’infermiera mi disse che ci stavi aspettando all’ingresso.
Eccoti lì, vicino ai tuoi piedi la valigia di pelle color nocciola e la borsa grigia, l’impermeabile piegato sul braccio e negli occhi il desiderio di tornare a casa ma anche la consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima tua lotta. Presi le tue valigie, ti mettesti sotto braccio a me e, prima di scendere le scalette che ci avrebbero condotto verso la macchina, mi facesti promettere che qualsiasi cosa fosse potuta accadere, l’ultima immagine che avresti voluto portato via, sarebbe stata quella del maestoso nespolo e dell’albero di limoni carico di quegli agrumi profumati. Io non ti risposi subito, perché erano troppo forti, per me, le parole che stavi pronunciando: stavano aprendo una voragine nel mio animo e spaccando il mio cuore.
Per me, sin da bambina, eri immortale, nonno…senza età, senza tempo, senza una dimensione spaziale che potesse racchiuderti o circoscriverti.
Non ce la feci più a sentire parlare di queste cose e scoppiai in un pianto dirotto, tu, allora, mi accarezzasti i capelli e mi consolasti del fatto che non avevi né paura di soffrire, né timore di andartene, l’unica cosa che ti dispiaceva lasciare di questo mondo era il sorriso delle persone che più amavi. Mi facesti promettere che, in qualsiasi momento mi avresti abbandonato, io sarei andata avanti per la mia strada, che tu intravedevi lunga, ricca di soddisfazioni e di successi professionali.
Furono queste parole a farmi capire quanto era stato profondo ed unico il nostro legame: “Sai quanto ti ho amato e quanto ti amerò, anche quando non ci sarò più, se avrai bisogno di me tu mi sentirai: io sarò il vento che fa sbattere le finestre, la pioggia che cade sul nostro prato, il sole che bacia le piante del giardino, la notte che cala sulla nostra casa, l’onda che ti sorprende sulla diga, la sabbia che ti entrerà nelle scarpe, il libro che sfoglierai ma, soprattutto, quello che scriverai”.
Misi la mia mano sulla tua bocca, come quel gesto che facevo da bambina quando tu parlavi di cose a me non gradite, come a dire: “Basta, nonno, basta così. Ho capito, la tua morte è vicina, lo sai tu, così come lo sento io. L’abbiamo compreso entrambi lo scorso Natale, quando non ti ho lasciato neanche per un attimo la mano mentre le portate sfilavano sulla tavola.
Basta, nonno, sì te lo prometto, quando verrà quel giorno in cui ti riconoscerò nel vento che fa sbattere le finestre, nella pioggia che cade, nelle onde del mare e nella sabbia, scriverò quel libro che mi hai chiesto di scrivere, e parlerà di me e di te, di te che non ci sei più ma continui a vivere dentro di me e di me, di una nipote che non si stancherà mai di cercarti tra le pieghe dei ricordi, in una mareggiata d’inverno o in una pianta che regala i suoi frutti”.