I Racconti di Mila e Pila- 22 Dicembre: la foglia di città e la foglia di collina- 3° Parte

La mia storia di fantasia inizia così.

“Un pomeriggio, di ritorno da scuola, mentre ero nella mia cameretta intenta a fare i compiti, sentii una vocina:

“Sono proprio sfortunata, sono una delle migliaia di foglie di una grande città, dove tutti vanno sempre di fretta e nessuno si interessa a me. Ecco, guarda, adesso ci mancava solo di essere intrappolata sotto questa scarpa!”.

Mi girai più volte ma non c’era nessuno, andai per tutta casa ed anche lì neanche l’ombra di essere vivente.

Ovunque andassi, però, questa vocina mi seguiva.

“Basta, fermati, te ne prego, mi stai facendo troppo male!”

“Ma dove sei, non vedo nessuno!” chiesi io.

“Sono qui, sotto la suola della tua scarpa, sono una foglia portata via dal vento”.

Alzai il tacco della scarpa e mi accorsi di questa foglia che non voleva saperne di staccarsi dalla suola.

“Sono rimasta attaccata perché poi tu sei passata su quella striscia d’asfalto che non era ancora del tutto asciutta”.

“Ah, scusami tanto, non me ne ero neanche accorta! Adesso cercherò di staccarti dalla suola” dissi io.

“Sì però con delicatezza, altrimenti mi fai male” rispose la foglia.

Mi tolsi la scarpa e con grande maestria, riuscii a liberare la foglia che mi ringraziò e sospirò.

“Cosa c’è che ti rattrista così tanto? “ le chiesi.

“ Nessuno mai mi ha mai degnato di uno sguardo. Noi in città siamo sopra gli alberi sino a quando le prime folate autunnali non ci separano dalla nostra casa e noi andiamo vagando per le strade. Nessuno mi ha mai voluto bene”.

Proprio nell’istante in cui la foglia di città smise di parlare, ecco che sentii un’altra vocina.

“Io invece sono stata fortunata, non solo mi hanno amata ma hanno voluto che io vivessi per sempre”.

“Hai sentito anche tu quello che ho sentito io?” mi chiese la foglia di città.

“Certamente, chi sarà stata a parlare?” le risposi incuriosita.

I Racconti di Mila e Pila-22 Dicembre: la foglia di città e la foglia di collina- 2° Parte

“Scusami per quello che ti ho detto, nonna, è che mi manchi tanto, specie la sera, quando io mi metto a guardare fuori le grandi vetrate del nostro soggiorno e vedo tante luci fuori. Non perché io non voglia bene ai miei genitori ma sai che abbiamo trascorso tantissimo tempo assieme, dato che loro due erano sempre fuori per lavoro. Devo confessarti che qualche mese fa ho incontrato, durante una delle tante cene che la mamma organizza per i suoi nuovi colleghi di Chicago, le persone responsabili della scelta del loro trasferimento. Terminata la cena, sono andata in camera mia, mentre gli altri erano seduti sui candidi divani del soggiorno, e alitando sul vetro della finestra ho scritto:

“Perché tutto ciò? Ma non sono riuscita a trovare la giusta risposta a questo interrogativo”.

Vedo la nonna rattristata e mi sento in colpa allora ecco che in aiuto arriva la signora Pila, nella quale mi trasformo.

“Signora Mila, ma non sa quello che mi è successo qualche mese fa, una foglia di città che si è messa a parlare con una foglia di collina. Mettiamoci sedute. Vuole signora?”

“Certamente, con grande piacere” risponde la nonna, visibilmente sollevata per questo gioco che sta piacendo tanto a entrambe.

I Racconti di Mila e Pila- 22 Dicembre: la foglia di città e la foglia di collina- 1° Parte

“Nonna, ti ricordi quando, ogni Natale, c’era da mettere la punta sull’albero, io mi offrivo sempre come volontaria ma poi, davanti ai gradini della scala di legno, rinunciavo? Ecco, andare ad abitare a Chicago mi ha almeno fatto passare questa paura, figurati, stiamo al 57° piano: non solo ho dovuto vincere la paura degli ascensori ma anche quella dell’altezza. Quindi, nonna passami il puntale dell’albero di Natale che quest’anno ci penso io”.

Siamo in grande ritardo, è il 22 dicembre e ancora dobbiamo finire di addobbare l’abete che la nonna ha acquistato, come sempre, dal signor Mario.

Sino allo scorso anno, gli addobbi natalizi li facevamo l’8 dicembre, ma adesso che la nonna è sola non se la sente più di a scegliere quello che dovrà mettere sui rami del verdissimo abete.

Ma adesso siamo di nuovo insieme e grande il desiderio di far finta che non è successo nulla, anche se è difficile pensarlo: tra meno di due settimane io dovrò partire di nuovo per Chicago e lei rimarrà di nuovo sola in questo casolare in collina.

Ho un lampo di genio, e comunico a nonna Angela la mia brillante idea.

“Quando dovrò preparare la valigia tu la farai con me” dico con un tono squillante di voce.

“Ma cosa stai dicendo, Ludovica, vuoi davvero che io, alla mia età, mi trasferisca a Chicago, in una nazione così diversa dalla nostra, dove si parla una lingua che non capisco e che non so… non diciamo sciocchezze!”

“ Se tu partissi con me noi due, staremmo sempre insieme. La casa che abbiamo in città ha altre due stanze che la mamma tiene sempre chiuse. Perché non ci pensi un po’ sù?” le chiedo con un velo di tristezza.

“Non c’è nulla su cui riflettere, io non me la sento di lasciare questo casolare” risponde con tono fermo la nonna.

“Il casolare no e me sì, allora è più importante questa casa che me?” dico quasi piangendo.

“Ludovica, tu sei ancora una bambina ma quando diventerai anziana, come lo sono io, capirai che a una certa età, tutto fa parte di te, e sarebbe troppo doloroso separarsene. Noi due possiamo sentirci, scriverci, ma una volta che io sprangassi questo casolare, come potrei stare senza il mio camino, le mie tendine di pizzo sangallo, la mia scala in legno?” risponde con infinita dolcezza la nonna mentre mi accarezza i capelli.

Io l’abbraccio forte forte, come quando tornavo da scuola, come quando sono tornata qui qualche giorno fa.

I Racconti di Mila e Pila- 21 Dicembre: il vecchio macinacaffé- 4° Parte

“La nostra compagnia…-rispose la nonna con le lacrime agli occhi…-ormai sono andati tutti via da questo casolare. Più nessuno mi chiede di preparare il prelibato caffè”.

Allorché il macinino, sentendo la nonna così triste e avvilita, la consolò dicendo che lei doveva ritenersi una persona fortunata perché per molti anni era stata circondata dall’amore dei suoi cari.

“Portami sopra con te, te ne prego” implorò il macinino.

“ Va bene, ma decidi tu dove vuoi essere messo”.

“Sul camino e ospiterò, con la mia bocca aperta, i fiori di campo che ogni mattino di primavera vai a cogliere sul prato” gli rispose.

“Va bene, farò come vuoi tu” disse la nonna, mentre con una mano prendeva il macinino e con l’altra stava cercando di non far cadere a terra la manovella penzolante.

E così da quel giorno il macinino, anche se non macina più i chicchi di caffè, prende comunque parte alla vita di tutti giorni.

Appena la nonna termina il suo racconto, io mi avvicino al vecchio macinino, lo accarezzo come fosse una bestiolina ferita e gli prometto che quando la prossima estate tornerò, provvederò io a riempirlo di fiori di campo, in segno di ringraziamento per tutto ciò che di bello è riuscito a regalarci in tanti anni trascorsi assieme.

 

I Racconti di Mila e Pila- 21 Dicembre: il vecchio macinacaffé- 3° Parte

“Non potrei mai disfarmi di te, sai bene che sei stato per noi sempre un oggetto di buon augurio, capace com’eri di allietare e sottolineare con l’inconfondibile aroma del caffè macinato i risvegli al mattino o la visita di un amico caro il pomeriggio. Ma vedi, io ho cercato in tutti i modi di salvarti ma non c’è stato nulla da fare”, risposi con la voce rotta dal pianto.

Allorché il macinino, dopo essersi calmato un po’, continuò il suo discorso.

“So bene che non servo più però tu devi capire il mio dolore nel vedere un altro macinino nel posto che era stato il mio, nella stessa credenza dove ho vissuto per tanti anni, accanto al mio fedele amico caffè. Quando l’ho visto entrare in casa, quel macinino elettrico, senza anima, senza ricordi, senza una storia, mi sono sentito dilaniare da un dolore grandissimo. Ti sei limitata a mettermi sul tavolo ed io sono stato costretto a vedere quel nuovo macinino occupare il mio posto. Lui, tutto lucido e senza nemmeno un segno, avrebbe accompagnato le vostre giornate mentre io…io sarei stato il vostro passato e nulla di più. Poi, il passo dal tavolo alla cucina è stato breve, e adesso sono qui, al buio, tra cose destinate a essere gettate via, un giorno o l’altro”, disse il macinino mentre fu preso da un attacco di tosse.

“Non era nelle mie intenzioni allontanarti così dalle nostre vite, non l’avrei mai fatto, ma ho pensato che forse qui in cantina avresti sofferto di meno invece che vedere ogni giorno il nuovo macinino nella credenza”, risposi mentre accarezzai dolcemente la manovella ferita del vecchio macinino.

E continuai a parlare.

“Nessun macinino potrà mai cancellare i bei momenti trascorsi insieme. Ricordi quel pomeriggio d’estate, quando arrivarono i nostri parenti? Io li feci accomodare e chiesi loro quello che volevano da bere. Pensai subito a qualche bibita fresca, ad un’orzata con il latte, a un bicchiere di menta, a della succosa amarena, ma loro dissero che volevano il caffè, quello speciale, quello i cui chicchi li macinavi tu…”  fui poi interrotta dal macinino.

“Quanti chicchi ho macinato perché eravate in tanti e quanta felicità provai nel sapere di essere stato capace di accompagnare quel pomeriggio così pieno di letizia…” mi disse.

“Che cosa posso fare per farti comprendere che sei ancora importante per me?” gli chiese la nonna.

“Riportarmi sopra casa e mettermi in un posto dove io possa ancora godere della vostra compagnia…”.

I Racconti di Mila e Pila- 21 Dicembre: il vecchio macinacaffé- 2° Parte

“E’ accaduto tutto la scorsa estate, quando, in preda ad un caldo africano, mi venne voglia di un caffè freddo. Aprii la credenza, lo presi e comincia a girare i chicchi, sino a quando sentii uno strano rumorino. Si era rotta la manovella. Corsi subito da Giuseppe, il fabbro, ma lui mi disse che non ne faceva più di questi lavori e che sarebbe stato impossibile ripararlo. L’unica cosa che mi rimaneva da fare era di comprarmene uno nuovo. Ma di macinini così non ne fanno più allora fui costretta a portarmi a casa un macinacaffè elettrico, uno di quelli senza anima e senza storia. Il vecchio macinino lo portai giù in cantina ma nell’istante stesso in cui chiusi dietro di me la porta, sentii un lamento soffocato e dei singhiozzi. Tornai indietro e quello che vidi ha dell’incredibile: il vecchio macinino si era messo a parlare con me e mi stava chiedendo di poter tornare nella cucina dove aveva trascorso tanti bei momenti in nostra compagnia. Signora Pila, le racconterò questa storia, vuole?” mi chiede la nonna.

“Certamente, signora Mila, sono proprio curiosa di sapere cosa le ha detto il suo macinino” rispondo, accomodandomi sul gradino in mattoncini del camino in pietra.

E la nonna comincia il suo racconto.

“Avevo portato il mio macinino in cantina, dopo che il signor Giuseppe mi aveva comunicato la notizia che nulla avrebbe più potuto riportare in vita il fedele amico di tanti bei momenti.

Appena chiusi la porta sentii un lamento strozzato, seguiti da alcuni singhiozzi.

“Che cosa ha fatto di male…sono stato sempre vicino a voi, ho accompagnato i vostri momenti più belli, ho macinato il caffè che hai preparato per gli ospiti accorsi in occasione della prima comunione di tuo figlio, i chicchi che sono andati a riempire d’aroma e di fragranza tutta casa li ho frantumati io. Non mi sono mai tirato indietro di fronte al lavoro e adesso, tu che fai? Mi getti via in cantina, dimenticandoti così di me?”.

Capii dalle parole che era stato proprio il vecchio macinino a parlare e così tornai sui miei passi, accesi la luce della cantina e mi misi ad ascoltare ciò che voleva dirmi il macinino.

“E’ vero, ora non ti servo più, ma ti  prego, non dimenticare i bei momenti trascorsi assieme”.

Disse queste parole mentre cominciò a singhiozzare dal pianto dirotto.

I Racconti di Mila e Pila- 21 Dicembre: il vecchio macinacaffé -1° Parte

 

“Come si mangia a Chicago? E’ vero, come fanno vedere nei film, che negli Stati Uniti vanno pazzi per gli hot-dog, che la gente adora mangiare durante la pausa pranzo, e per quelle ciambelle glassate?” chiede la nonna mentre sta facendo sposare tra loro la farina e le uova per preparare la sua prelibata pasta fatta a mano.

“E’ così, nonna. La seconda cosa che più mi è mancata a Chicago, dopo di te, sono stati i tuoi piatti. Una mattina sono entrata dal panettiere, che si chiama baker, e ho notato che dietro la vetrina era esposta una torta al caffè. L’ho acquistata, credendo di poter assaporare il gusto lontano di casa ma non è stato così”.

“Non ti è proprio piaciuta?” dice la nonna mentre l’aiuto a tirarsi su le maniche del vestito.

“No, non mi è piaciuta. A parte che lì il caffè è molto diverso dal nostro, loro dicono che lo fanno lungo ma secondo me converrebbe loro accorciarlo un poco, visto mai che diventa un pò più saporito!!!” rispondo io, con lo sguardo rivolto verso la credenza mentre le chiedo di poter preparare insieme la sua imbattibile torta al caffè.

Lei non riesce proprio a dirmi di no, così m’invita a prendere tutti gli ingredienti.

“Mettili sul piano della cucina, perché devo prima finire di preparare  la pasta all’uovo”.

Uova, zucchero, farina e il macinino del caffè, il compagno di tante avventure in cucina.

Indugio per un paio di minuti davanti alle ante aperte della credenza, ma non riesco proprio a vedere il vecchio macinino.

“Nonna, ma dov’è? Gli hai fatto cambiare posto, per caso?”.

La nonna non risponde subito.

“Non mi dire che l’hai buttato… no, nonna, lui era parte di noi…”

Nonna Angela lascia l’impasto a metà e pulendosi le mani, mi racconta cosa è successo al macinino da caffè.

I Racconti di Mila e Pila- 20 Dicembre: un vento un pò birbantello -3° Parte

Iniziai a raccontargli la mia storia.

“Io abito, o meglio, abitavo in un casolare di collina, insieme a mia nonna Angela e ai miei genitori che però non stavano mai con noi perché viaggiavano sempre. Da qualche settimana siamo qui a Chicago e se proprio lo vuoi sapere la prima cosa che ho pensato quando una folata di vento mi ha fatto andare negli occhi un po’ di polvere, è stata che eri proprio fastidioso…”

“Ecco, lo vedi, ho proprio ragione…” disse queste parole mentre il vento si stava piegando a metà dalla tristezza.

“Non ti preoccupare, non essere così triste. Facciamo un gioco e pensiamo a quello che di bello il vento fa per tutti gli uomini”.

“Sì, sì, dai facciamo così…” la folata sembrava contentissima e stava muovendo la sua chioma.

“Allora…vediamo…senza il vento non ci sarebbe l’impollinazione di molte piante, gli amanti del windsurf non potrebbero più andare sulle loro tavole. E poi, proprio qui vicino, ho visto che c’è una centrale eolica, è importante sai, perché così la gente può utilizzare l’elettricità senza inquinare. Quindi vedi, il tuo lavoro è prezioso, non ti abbattere!”.

Il vento sembrava più sereno di prima, però, mi confessò che gli mancava tanto suo fratello.

“Tuo fratello? E dove abita tuo fratello?” gli chiesi incuriosita.

“In Italia, ecco perché mi piacerebbe andarci. Lui sta in collina e si diverte tanto a rumoreggiare nei camini della gente e a far ondeggiare le chiome degli alberi secolari della collina lì vicina”.

M’incuriosirono le sue parole e  gli chiesi se suo fratello abitasse proprio nel paese dove sta mia nonna.

Lui si alzò di scatto dalla panchina e disse:

“Sì, allora l’hai conosciuto! Ma dimmi, dimmi, come sta? Tutto bene, ha qualche acciacco?”

“Sta bene, sta bene, non preoccuparti, è un po’ birbantello, proprio come te ma sta bene. E adesso che non sto più con la nonna mi fa piacere sapere che sia lui a tenerle compagnia nelle lunghe sere d’inverno”.

“Buffo, vero? Ci siamo incontrati per caso e abbiamo scoperto che siamo quasi parenti…” rispose il vento, il quale aggiunse:

“Dovrei chiederti una grande cortesia…”

“Dimmi pure”.

“Tanto, nessuno sentirà la mia mancanza se mi assento per una decina di minuti. Faccio un salto da mio fratello, il tempo di abbracciarlo e torno qui a Chicago.”

“E va bene, ti aspetto qui ma se proprio vai in Italia, ricordati di salutare la nonna da parte mia”.

“Agli ordini!” e in un battibaleno scomparve.

Dopo sette minuti e ventinove secondi era già di ritorno e aveva gli occhi lucidi:

“Sta bene mio fratello, ma ho avuto solo il tempo per abbracciarlo”.

“E la nonna come sta mia nonna?” gli chiesi con insistenza.

“Ha lo sguardo triste e mio fratello dice che guarda sempre le tue foto. Gli ho detto di soffiare più forte stasera nel suo camino per farla sentire meno sola”.

“Grazie, vento sei un vero amico”.

Ci alzammo dalla panchina e dopo esserci abbracciati, gli chiesi di venirmi, ogni tanto, a bussare alle grandi vetrate del soggiorno.

“Stasera io soffierò per te e mio fratello per tua nonna e così vi sentirete meno lontani”.

“ E fu così che quella notte non mi sentii poi così triste per la sua assenza, signora Mila”.

La nonna ed io ci abbracciamo proprio mentre il vento sembra gioire della nostra felicità.

 

 

I Racconti di Mila e Pila- 20 dicembre: un vento un pò birbantello- 2° Parte

“Che strano, nonna, pensa che Chicago la chiamano “Windy city”, la città del vento, perché lì il vento accompagna ogni momento della giornata e ogni stagione dell’anno”, le dico ciò tra una cucchiaiata e l’altra dell’ottimo zabaione che solo la nonna sa preparare con così tanta maestria.

“La città del vento eh…?” e mentre la nonna si allunga sulla sedia a dondolo davanti al camino, capisco che è arrivato il momento di trasformarci in Mila e Pila.

“Sa signora Mila- dico mentre mi asciugo gli angoli della bocca- mi è accaduto un fatto molto strano nella nuova città, dove adesso risiedo. Vuole che glielo racconti?”

“Certamente, signora Pila, sono tutta orecchie”, risponde la nonna.

Inizio con la mia storia fantastica.

Mentre stavo tornado a casa da scuola, una sferzata di vento freddo mi si mise davanti e cominciò a parlarmi.

“Ma le pare che non ho un attimo di tempo per me, eh? Sempre a soffiare, mattina, pomeriggio, sera, notte, inverno, primavera, estate, autunno. Guardi, guardi se uno può andare in giro così, con i capelli lunghi e incolti e con le scarpe da risuolare! E poi dopo tanto lavoro, la gente non fa altro che lamentarsi di me!!!”.

“Hanno ragione gli abitanti di Chicago, caro il mio vento, sei proprio fastidioso, non ci lasci un attimo in pace!” gli risposi mentre mi stavo mettendo seduta su una panchina.

La folata fredda si accomodò vicino a me e mentre stava sbirciando i miei libri, tenuti insieme da un elastico doppio e coloratissimo, mi disse:

“Sarei voluto tanto andare a scuola e imparare cose nuove ma da lassù mi hanno detto che avrei dovuto solo soffiare e soffiare perché ero staro assegnato a Chicago, la “Windy City”, la città del vento. Io ho cercato di protestare ma non c’è stato nulla da fare, la decisione era stata ormai presa!”.

“Ma non ti piace il tuo lavoro?” gli chiesi mentre si stava sistemando la chioma scompigliata.

“Mi piace quando in autunno, con le mie folate, le foglie secche e rosse degli alberi sembrano rincorrersi per le strade, mi piace in estate, quando la gente, in riva al lago Michigan, si stende sulla sabbia e si gode la mia brezza, ma mi dispiace dare tanto fastidio l’inverno, quando le persone devono uscire da casa tutte imbacuccate e quando con le mie sferzate di aria gelida, faccio arrossire i loro volti. Io volevo anche dare le dimissioni, ma non le hanno accettate. Sarei tanto voluto andare in Italia, una nazione meravigliosa, come dicono molti che l’hanno visitata”.

“Io vengo proprio da lì..” gli risposi mentre il vento si stava agitando contento davanti a me.

“Racconta, ti prego, racconta…”

I Racconti di Mila e Pila- 20 Dicembre: un vento un pò birbantello-1° Parte

“Certo che oggi fa proprio freddo!” penso, mentre cerco di tirarmi il più possibile il piumone vicino al viso.

Poi accendo la luce sul comodino e, con mia grande sorpresa, vedo che sul soffitto non ci sono quelle stelle blu che i miei genitori hanno voluto, a tutti i costi, dipingere con lo stencil.

No, nessuna Stella Polare, nessun Grande Carro, il soffitto, che sto fissando in questa mattina così fredda, è quello della camera che la nonna ha lasciato intatta per me nel suo casolare di collina.

“Sono da nonna Angela, sono da lei!” grido queste parole mentre scosto il piumone dal mio corpo e m’infilo le ciabatte.

Corro nella stanza della nonna ma il suo letto è già sistemato, guardo l’orologio: sono le nove e mezzo, sarà di sicuro già in cucina.

Mi precipito per le scale, sono fortunata, le ciabatte da camera non fanno rumore e così posso sorprenderla alle spalle, abbracciandola forte forte.

“Ecco la mia Ludovica!” esclama queste parole mentre anche lei mi abbraccia.

“Nonna, sai cosa mi è successo? Quando mi sono svegliata non ci stavo pensando più che ero qui da te, e quindi la gioia che ho provato ieri l’ho provata nuovamente stamattina, quando fissando il soffitto, mi sono accorta che non ero a Chicago”.

“Chicago…Chicago…non mi hai mai scritto niente su questa città, non dirmi che non ti piace?”, mi chiede la nonna mentre sta aprendo un uovo nella tazza per prepararmi l’immancabile zabaione.

“Sarebbe bella solo se ci fossi tu, nonna”.

“Non ci credo che non hai fatto amicizia con nessuno lì!”

“Amicizia…l’amicizia è una cosa importante, diciamo che ho stretto delle conoscenze…” rispondo mentre con impazienza aspetto lo zabaione.

“Parlami della tua nuova città” proprio mentre pronuncia queste parole la fiamma nel camino in pietra, s’inarca perché il vento, oggi, soffia proprio forte.