I RACCONTI DI MILA E PILA-La nascita di Mila e Pila-4° Parte

Fu un istante e acciuffai la sciarpa di mio padre che era rimasta appesa all’appendiabiti dell’ingresso perché, uscendo come sempre di fretta, l’aveva dimenticata, poi mi precipitai nella camera della mamma e presi dei mocassini marroni con la fibbia dorata e, scendendo festosamente le scale, m’impalai davanti alla nonna e stetti al gioco:

“Signora Mila, mi scusi per prima ma proprio non l’avevo riconosciuta. Sarà per il nuovo taglio di capelli? Comunque, sì, ha ragione io sono la signora Pila. Ma mettiamoci a sedere e mi racconti qualcosa di suo marito, dei suoi figli, dei suoi nipoti”.

Erano nate Mila e Pila, e sarebbero diventate parte di noi, delle nostre giornate, dei nostri pomeriggi, delle nostre serate trascorse davanti al caminetto.

Né mia madre, né mio padre seppero mai dell’esistenza di queste due signore un po’ strampalate che vestivano in modo un po’ strano ma alle quali piaceva tanto chiacchierare tra loro.

Mila e Pila uscivano solo quando a casa non c’era nessuno, e ora già m’immagino la faccia che faranno i miei genitori quando leggeranno questa storia.

I miei genitori…se ci penso a quando mi comunicarono la notizia che avremmo dovuto lasciare l’Italia per andare a Chicago, mi viene ancora da piangere.

La casa madre dell’azienda farmaceutica per la quale lavoravano, offrì loro l’incarico che avevano sempre sognato e questo, se per i miei genitori significò l’inizio di un sogno, per me fu la fine della mia vita trascorsa con nonna Angela.

“E Mila e Pila che fine faranno?”

Chiesi singhiozzando a nonna Angela mentre anche il vento aveva smesso di soffiare nella canna del camino perché stupito da questa notizia improvvisa quanto inaspettata.

“Mila e Pila esisteranno sempre e non moriranno mai perché loro abitano nella nostra fantasia”.

“Non voglio partire nonna, non voglio andar via”, dissi queste parole mentre abbracciai la nonna, anche lei in lacrime.

Però dovetti farlo.

I RACCONTI DI MILA E PILA-La nascita di Mila e Pila-3° Parte

Delusa dalla sua risposta, mi rimisi alla finestra ad assistere alla gioia delle altre bambine, libere di correre e di gettarsi addosso coloratissimi coriandoli.

Ma nonna Angela non si perse d’animo e tornò, dopo qualche minuto, con una buffa borsa nera lucida, delle scarpe con il tacco, indossate però con dei pesanti calzini di lana grigia e uno scialle che emanava il tipico odore della naftalina.

“Signora, buonasera, io sono Mila, si ricorda di me?”

La guardai senza sapere bene cosa rispondere e rimasi in silenzio, in attesa che continuasse quella che mi sembrava essere solo una sciocca recita improvvisata lì, tanto per farmi scordare che era giovedì grasso e che non sarei potuta uscire in maschera neanche l’ultimo giorno di carnevale, martedì grasso, perché il medico era stato chiaro:

“A casa per altri dieci giorni”.

La nonna continuava a stare lì e m’incalzava:

“Signora Pila ma come fa a non riconoscermi?”.

“Si sta sbagliando persona”, risposi con voce spenta.

“Signora Pila come fa a non ricordarsi di quel giorno in cui ci conoscemmo al mercato settimanale e ci mettemmo a battibeccare perché volevano entrambe quelle splendide castagne che ogni venerdì d’ottobre Giuseppe portava al suo banco?”

 

 

 

Nonna Angela per nessun motivo avrebbe mollato, sarebbe stata capace di rimanere lì, con quella buffa borsa e con quelle scarpe dal tacco alto che quasi sembrava si spezzasse, per l’intero pomeriggio, in attesa che io le rispondessi a tono.

I RACCONTI DI MILA E PILA- La nascita di Mila e Pila- 1° Parte-

 

Mi chiamo Pila.

No, non stupitevi per questo mio nome così bizzarro: sulla carta d’identità, sul passaporto e su tutti i documenti ufficiali che mi riguardano, c’è scritto che io sono Ludovica.

Vi chiederete allora perché inizio a raccontarvi questa storia dicendovi che mi chiamo Pila.

Perché io sono Pila e lo sarò per sempre, così come mia nonna, che all’anagrafe è registrata con il nome di Angela, è stata, è, e sarà per sempre Mila.

Mila e Pila: una nonna e una nipote legati da un amore viscerale, grandissimo, indissolubile, che riesce a superare, ogni giorno, le immense distese d’acqua salata che ci separano.

Se avete del tempo, ve ne prego, leggete la mia storia e se proprio vi sembra di non potervi fermare neanche per un istante, per favore, trovate un paio di ore da dedicare a Mila, a Pila e ai nostri racconti.

Dunque, nasco in un paese di provincia, uno di quei paesi che da lontano, mentre si percorre la strada per arrivarci, sembra mollemente adagiato sui fianchi di una collina, quasi che quella vallata di pini secolari e sempreverdi, lo culli tra le sue braccia.

Mia madre e mio padre sono due ricercatori farmaceutici.

Nei ricordi di bambina me li ricordo sempre trafelati, con una valigia che non veniva più neanche messa a posto nell’armadio, ma veniva lasciata sempre lì, sulla poltrona della loro camera, in attesa di essere riempita del necessario per la trasferta internazionale.

Sono molto bravi nel loro lavoro, i migliori, dicono in azienda, dove hanno trascorso gran parte della propria vita.

E così, io rimanevo a casa con nonna Angela, la madre di mio padre, in quel casolare in pietra che tanto ho amato da bambina.

 

Nei lunghi pomeriggi d’inverno, quando il vento faceva sentire la sua voce attraverso la canna fumaria del camino e quando gli alberi gli rispondevano facendo ondeggiare vorticosamente le loro folte chiome, io, Ludovica, diventavo, quasi per magia Pila e nonna Angela si trasformava in Mila.

Dopo che io avevo svolto i miei compiti e dopo che la nonna aveva terminato le pulizie domestiche, nell’istante stesso in cui la pizza, impastata da nonna Angela, crepitava nel forno della grande cucina, ecco che ci guardavamo negli occhi noi due e dicevano all’unisono:

“Perché non giochiamo a Mila e Pila?”

L’Alfabeto dei Ricordi- Lettera Z

…eh già, siamo giunti al termine del nostro “Alfabeto dei Ricordi” …oggi celebriamo la Z: Z come ZABAIONE, quella crema che nasceva dopo aver sbattuto nella tazza uova fresche e zucchero…colazione ricca di gusto e di energia che tanto tempo fa potevano permettersi un po’ tutti, perché poi non era tanto difficile trovare, specie nei piccoli paesi, chi avesse nel proprio cortile qualche gallina. E così si girava e girava il cucchiaino nella tazza di porcellana sino a quando le uova e lo zucchero erano perfettamente amalgamate tra di loro…e mentre si gustava questa crema, alla quale gli adulti talvolta aggiungevano anche un goccio di marsala, non si poteva fare a meno di chiudere gli occhi per assaporare il dolce di questo composto che avrebbe salutato soprattutto le colazioni domenicali…spero tanto, carissimi amici di Facebook, che il sapore di questi ricordi che abbiamo condiviso grazie  a questo speciale Alfabeto, sia stato per voi dolce, morbido, cremoso e gustoso come lo ZABAIONE di tanti anni fa…

L’Alfabeto dei Ricordi -Lettera V

 

Eccola: è arrivata…si è fatta attendere, essendo la sua lettera la penultima dell’alfabeto, ma è arrivata…è arrivata con le sue voci, i suoi colori, ma anche con  la fatica che non la si sentiva mentre ci si trovava tutti lì, nella vigna…è arrivata, è lei la protagonista del nostro “Alfabeto dei Ricordi”: la VENDEMMIA, il cui nome evoca immagini che il cuore fa tornare da un lontano passato e che la mente fa rivivere con il ricordo di quei gesti, di quei suoni inconfondibili, di quei legami che tra i tralci di vite diventavano ancora più forti…perché la famiglia durante la VENDEMMIA diventava comunità e la comunità diventava il paese intero. E al mattino ci si incontrava lungo la strada che portava alle vigne e si era felici per ciò che si andava a raccogliere: quei preziosi grappoli che da soli simboleggiavano l’antico “credo” contadino: nulla era lasciato al caso, nulla arrivava senza fatica, impegno e sacrificio,  nulla giungeva a maturazione senza passione ed amore per il proprio lavoro…

 

Maurizio Marinella ci racconta la storia della sua famiglia e di quel marchio noto in tutto il mondo. Dalla Riviera di Chiaia, dove tutto è iniziato nel 1914, al MOMA di New York che ha celebrato la loro celebre cravatta.

 

Intervistare Maurizio Marinella, erede e titolare dell’omonima ditta napoletana nota in tutto il mondo per le sue cravatte, è stato per me un onore e un momento di grande arricchimento, perché non è poi così scontato trovare un GRANDE uomo dietro ad un GRANDE nome che ha fatto la storia di Napoli e dell’Italia, per arrivare in tutto il mondo, MOMA di New York compreso.

Maurizio Marinella (Foto per gentile concessione della ditta E.Marinella)

Maurizio racconta la storia della sua famiglia: Nonno Eugenio nel 1914 decise di andare in Inghilterra, patria dell’eleganza maschile, come la Francia lo era per quella femminile. E dal Regno Unito cominciò ad importare grandi marche ma, accanto a queste, affiancò anche una bottega artigianale dalla quale nacque la prima cravatta Marinella, simbolo della maestria artigiana. In questa nostra avventura fummo fortunati perché avevamo grandi tagliatrici e grandi stiratrici. Non dimentichiamo che a quel tempo le camicie, con i loro colli e polsini inamidati, dovevano essere stirate quasi da bagnate per evitare l’irrigidimento del tessuto”.

Alcune delle famose cravatte Marinella (Foto per gentile concessione della ditta E. Marinella)

La famiglia Marinella, che ha attraversato più di un secolo di storia, usa ancora solo sete inglesi: Sete a 36 once, quindi particolarmente consistenti, sete stampate in Inghilterra a Mansfield, vicino Manchester, e della cui stamperia la mia famiglia ha poi acquistato una quota. La stampa viene realizzata a mano, non in digitale, in modo da offrire colori caldi e riposanti”, dichiara Maurizio Marinella al quale chiedo come nasca la loro famosissima cravatta Marinella: “E’ realizzata a mano su misura, e questo ci ha permesso di crearne di diverse: da quella per Magic Johnson per il quale abbiamo usato la quantità di seta che occorre per tre cravatte, a quella per Kohl e per Eltsin per il quale ne abbiamo realizzata una di 35 cm, vista la sua altezza”.

Una fase della lavorazione a mano di una cravatta Marinella (Foto per gentile concessione della ditta E. Marinella)

Campioni dello sport, uomini politici, Sarkozy, Chirac, Gorbaciov, Carlo d’Inghilterra, per il quale sua moglie   Camilla, due  anni fa, è venuta personalmente a sceglie cravatte per lui”, ma anche Tutti i Presidenti degli Stati Uniti d’America, da Kennedy in poi e tutti i Capi di Stato italiani hanno indossato una cravatta Marinella” e il successo e il riconoscimento mondiale avrebbe inorgoglito nonno Eugenio, il quale affermava: “La vera moda è l’accessorio, non l’abito”.

L’ex Presidente della Repubblica Italiana, Francesco Cossiga, in visita alla storica bottega sulla Riviera di Chiaia, dove ad accoglierlo c’è Maurizio Marinella, a sinistra nella foto (Foto per gentile concessione della ditta E.Marinella)

Da un secolo l’ambita cravatta Marinella segue le stessi fasi: “Il taglio e la preparazione, che può essere semplice, sfoderata a cinque o a sette pieghe, così da venire incontro alle diverse esigenze del cliente”.

Un altro momento della lavorazione di una cravatta (Foto per gentile concessione della ditta E. Marinella)

E il cliente è importante per i Marinella, come svela Maurizio: “La nostra maggiore soddisfazione è di esaudire le sue richieste, a noi piace accoglierlo, coccolarlo, perché dopo aver indossato una nostra cravatta si deve star bene, la si deve riconoscere: ed è per questo che ogni cravatta nasce da esigenze ben precise”.

Questa “filosofia” è alla base di una scelta, quasi controcorrente ai tempi di oggi: di non vendere online i propri prodotti: “Siamo felicemente poco tecnologicidichiara Maurizio, il quale aggiunge– non ci entusiasma che si possa premere un pulsantino, fare un click e poi attendere che la cravatta arrivi a casa… noi ci dobbiamo emozionare…”.

E Maurizio si emoziona, si emoziona quando, puntuale, senza nemmeno un minuto di ritardo, va ad aprire il suo negozio sulla Riviera di Chiaia a Napoli :“Alle 6.30 del mattino, tutti i giorni, Qualcuno mi dice “ma che to fà fa” (ma chi te lo fa fare n.d.r.) …invece a “farmelo fare” è quella correttezza per il cliente che da 105 anni ci trova sempre pronto ad accoglierlo, sin dalle prime luci del mattino, offrendogli, magari, anche un buon caffè e una sfogliatella napoletana”.

L’ingresso della storica bottega sulla Riviera di Chiaia (Foto per gentile concessione della ditta E. Marinella)

L’aspetto che più mi colpisce, parlando con Maurizio Marinella, è questo suo legame viscerale, unico, che ha proprio con la sua città, non è un caso come, nonostante abbia punti vendita a anche a Roma, a Milano e persino a  Tokio, quella bottega artigianale di appena 20 metri quadri: “Che così è rimasta e non può essere in alcun modo ingrandita perché siamo sotto la tutela dei Beni Culturali, rappresenta mio nonno, mio padre, due guerre mondiali, i sacrifici, la fame, il dolore di quando Napoli ha trasmesso immagini di quella spazzatura  che hanno azzerato turismo e commercio”.

Napoli è dove tutto ha avuto inizio, Napoli sono gli affetti, è il cuore che batte dalla gioia, ogni mattino, Napoli è quell’esplosione di emozioni che non provo in altri posti, nonostante siano stati realizzati a immagine e somiglianza della bottega sulla Riviera di Chiaia”

M’incanto nel sentire parlare Maurizio, il quale mi conferma quello che si avverte in ogni sua singola parola: “In un secolo non è cambiato nulla, l’emozione e l’entusiasmo sono sempre gli stessi, a cambiare, invece, sono state le persone: ora sanno meno quello che vogliono, perché si ci affida, purtroppo e sempre più spesso, ad altri, anche se poi non hanno le competenze giuste per esprimere un parere. E poi, in determinate occasioni, l’eleganza è d’obbligo: non si può andare al Teatro “San Carlo” con il jeans strappato…”

E così Maurizio presenta al suo cliente la cravatta, anche se: “Non deve esserci la vendita a tutti i costi…dico sempre che non sono un commerciante nel senso stretto della parola, perché, se non sono convinto io, se a me non piace, se non mi emoziono, non riesco a consigliare, e questo perché vivo di passione”.

La stessa passione che fa del negozio Marinella uno scrigno prezioso di alto artigianato e sartoria che produce ogni giorno, in media 150 cravatte, le quali  riportano sulla cimosa “EXPRESSED PRINTED FOR MARINELLA”.

Il marchio che viene apposto sulla cravatta realizzata a mano (Foto per gentile concessione della ditta E. Marinella)

E nonostante Marinella non sia solo cravatte, “Ma anche sciarpe, foulard,  maglioni, gemelli, pullover, cinture, pelletteria”, come dichiara Maurizio, è per questo accessorio che sono arrivati, due anni fa, fino al MOMA di New York:Un’emozione incredibile– ci racconta Maurizio- Siamo stati scelti, unica azienda italiana, a rappresentare, con la nostra cravatta, i 100 oggetti di moda maggiormente rappresentativi degli ultimi 100 anni. Un grandissimo orgoglio”.

Da sinistra: Alessandro, quarta generazione dei Marinella e suo padre Maurizio (Foto per gentile concessione della ditta E. Marinella)

Un successo mondiale, dunque, “Indubbiamente una grande emozione, ma mai come quella di far parlare di una bella Napoli. Ricordo che, quando mio nonno morì, mio padre mi disse che avremmo dovuto far capire come le cose si sarebbero potute fare bene partendo da Napoli, ma soprattutto restando a Napoli”.

E così è stato, perché i Marinella hanno portato il nome della loro città in tutto il mondo, anche se il loro mondo è sempre Napoli, in particolare Piazza Vittoria: “Quando mi chiedono se sono nato a Napoli, io rispondo che sono nato a Piazza Vittoria. Da qui è partito tutto e da qui mi piacerebbe che partisse un messaggio di positività. Sentiamo sempre più spesso, purtroppo, parlare alla tv di crisi, di difficoltà, di un Sud massacrato e senza lavoro, di ragazzi intristiti e demoralizzati…invece io voglio trasmettere positività, ci tengo a dire che l’ impegno non è una croce, ma un investimento sulla persona. Una voce di speranza:  anche a Napoli si può fare”.

Un altro cliente d’eccezione: il Principe Alberto di Monaco e, a sinistra nella foto, Maurizio Marinella (Foto per gentile concessione della ditta E.Marinella)

Terminata l’ intervista,  ho gli occhi umidi dall’emozione perché Maurizio Marinella non è solo un imprenditore di successo, ma è un uomo di cuore, di slanci vitali, è il simbolo di una bella Italia, di una bella Napoli, tutta cuore, passione, entusiasmo, emozioni, amore per le proprie radici e per le tradizioni di una famiglia volitiva, che ha fatto dell’impegno quotidiano il suo biglietto da visita esportato in tutto il mondo.

Alessandra Fiorilli

 

 

L’Alfabeto dei Ricordi -Lettera U

 

Ecco arrivare, su antichi carretti, la protagonista del nostro “Alfabeto dei Ricordi”, la U: U come UVA. Per chi ha vissuto il periodo della vendemmia, l’UVA per eccellenza è quella da vino, quella che i contadini raccoglievano e sistemavano nelle bigonce, quella che era lavorata nelle cantine, quella che sprigionava tutto intorno quell’odore acre ma tanto gradito a chi guardava a quell’UVA come a un vero miracolo della natura, che segnava il passaggio dall’estate all’autunno, un autunno  che aveva i colori degli acini e il sapore del mosto e poi del vino…e oggi, quando si avvicina il mese in cui l’UVA matura sui tralci delle viti, il nostro pensiero vola a quei giorni, a quei giorni in cui i grappoli non chiedevano altro che di essere raccolti per diventare i protagonisti della vendemmia di cui parleremo domani, essendo già arrivati alla lettera V…

 

 

L’Alfabeto dei Ricordi- Lettera R

Giunge da un glorioso passato, giunge sui sorrisi di una gioventù che sapeva e voleva sognare, giunge su note coinvolgenti, giunge su ritmi che ti dicono “Muoviti, non puoi star fermo”, giunge dagli Stati Uniti ma contagia tutti perché lui, il ROCK’N’ROLL , protagonista stasera del nostro “Alfabeto dei Ricordi”, è diventato davvero il simbolo di un’intera generazione ed oltre. Eccoli i giovani che lo ballano: sono agili, volteggiano e fanno, a loro volta, volteggiare, con grande facilità, le ragazze che indossano gonne a ruota e scarpe basse. Gli anni ‘50 incarnano alla perfezione il ROCK’N’ROLL: sono anni veloci, pieni di novità, di ritmo…non c’è tempo da perdere perché dopo gli anni bui della guerra si vuole recuperare tutto quello che si è perso…quindi si va, si va al ritmo di musica, si volteggia sui mille sogni di una società che sta cambiando volto, che balla senza stancarsi perché ha chiaro dove vuole arrivare…il ROCK’N’ROLL affascina, strega, e non sarà solo la moda del momento ma in moltissimi continueranno a suonarlo, perché quando ti entra dentro davvero non ti lascia più…

 

L’Alfabeto dei Ricordi- Lettera P

Il nostro “Alfabeto dei Ricordi” è giunto alla P: P come PAPAVERO, quel fiore che cresce spontaneamente nel mese di maggio e che spicca, in primavera, con il suo colore deciso, su giardini ed orti. E quando si era bambini e con le belle giornate si andavano a chiamare, di casa in casa, i propri amici, c’era sempre qualche PAPAVERO che attirava la nostra attenzione… un fiore delicato e irresistibile grazie a quel suo coloro rosso carico… e allora si pensava, sulla strada del ritorno,  di raccoglierne un po’ per portarne un mazzolino alla mamma. Crescendo, avremmo scoperto che i libri di Scienze e di Botanica classificavano il PAPAVERO come erba infestante, un qualcosa da combattere, da sradicare…ma nei nostri ricordi sarebbe rimasto quel tenero e colorato fiore con il quale tanto ci piaceva omaggiare la bellezza e la bontà della mamma…

 

L’Alfabeto dei Ricordi- Lettera O

 

Dolce come l’immagine che porta con sé, stasera arriva la O: O come ORSACCHIOTTO…perché in un tempo non molto lontano, questo peluche era l’immancabile compagno di giochi dei bambini. Ed era sempre lui che stringevamo prima di addormentarci…era sempre con noi…eravamo davvero inseparabili. Sarebbero arrivati, in occasioni di compleanni o Natali, bambolotti o peluche dal viso buffo, ma quell’ORSACCHIOTTO rimaneva speciale, unico…perché era il nostro preferito e avevamo occhi solo per lui…