La pizza: un amore che dura da secoli

Una serata tra amici, una cena improvvisata, ma anche una colazione alternativa o una coccola a metà pomeriggio…è sempre lei ad offrirci la sua leggiadra bontà, a deliziare palato e cuore, a regalarci quella sua capacità di farci sorridere, appena dato il primo morso: la pizza.

Lei…semplicemente la pizza (foto per gentile concessione di Maria Umili)

Conosciuta ed apprezzata sin dall’antichità, una sua diretta antenata la vede protagonista sulla tavola degli etruschi, dei greci, dei babilonesi e degli egiziani, i quali preparavano, in occasioni di eventi particolarmente importanti, una focaccia arricchita con erbe aromatiche.

E’ però con i  Romani che la nostra pizza ha i legami più profondi, sia da un punto etimologico che da quello delle tradizioni: il grande Publio Virgilio Marone, l’autore dell’Eneide, in alcune sue opere parla della preparazione di un impasto, il “libum”, una sorta di focaccia di farro macinato.

Il termine pizza, inoltre, deriva dal participio passato del verbo “pinsere”, ovvero schiacciare, macinare, pestare, verbi che ancora oggi sono strettamente legati al momento della preparazione dell’impasto stesso.

E in molti, nell’antico impero romano, seguivano questo rituale per preparare il libum: s’iniziava con la macinazione dei chicchi di farro, si setacciava la farina così ottenuta, la si impastava con acqua e sale, si aggiungevano erbe aromatiche, la si lavorava sino ad ottenere una sfoglia sottile che veniva poi cotta sulle ceneri del focolare domestico.

Secoli e secoli dopo, la storia decide di fare l’occhiolino all’inventiva del popolo napoletano: è il 1889, il Re d’Italia, Umberto I è a Napoli con la consorte, la Regina Margherita. La coppia reale viene omaggiata dal miglior pizzaiolo della città, Raffaele Esposito, da tre pizze. La prima, la classica, con  pomodoro e basilico, la seconda, alla marinara, con pomodoro, aglio e origano, la terza con pomodoro, mozzarella e basilico creata appositamente da Esposito per omaggiare i colori della bandiera italiana. La storia narra come la Regina Margherita, colpita dalla grande maestria del pizzaiolo napoletano, l’abbia voluto incontrare di persona per complimentarsi con lui. E Raffaele, in segno di viva ed eterna riconoscenza per questo gesto, decise di chiamare quella pizza condita con pomodoro, mozzarella e basilico, pizza Margherita, appunto, in onore della Sovrana d’Italia.

Dal 1889 la pizza Margherita è la pizza per eccellenza, la più richiesta e quella che sempre con grande piacere viene preparata nelle case degli italiani, magari nei lunghi pomeriggi invernali.

Una pizza casalinga prima di essere infornata…(foto per gentile concessione di Maria Umili)
Una pizza rossa con mozzarella preparata a casa (foto per gentile concessione di Maria Umili)
…e quando si prepara la pizza a casa, non ci si limita solo alla classica rossa: eccone una con pomodorini e basilico (foto per gentile concessione di Maria Umili)

Il 2004 è stato  l’anno nel quale la pizza napoletana  ha ottenuto il marchio Sgt (Specialità tradizionale garantita), proprio per tutelare la modalità di lavorazione e le materie prime che devono essere usate. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’unico macchinario consentito è quello dell’impastatrice nella sola fase di preparazione, mentre i panetti e la sfoglia, che sarà lavorata a disco, dovranno conoscere solo la mano dell’uomo. La cottura  dovrà avvenire a forno a legna, ad una temperatura di 485° e la durata sarà compresa tra i 60 e i 90 secondi.

Gli ingredienti per la pizza a marchio Sgt, invece, saranno pomodori pelati o pomodorini freschi, olio extravergine di oliva, aglio, origano, per la Marinara , mozzarella di bufala campana DOP, basilico fresco e mozzarella Sgt per la Margherita.

La pizza: un alimento che affonda le sue radici nella storia dell’uomo e che ancora oggi è capace di scaldarci il cuore.

Alessandra Fiorilli

 

 

 

I racconti di Mila e Pila- 2 Gennaio: è l’ora dei saluti- 2° Parte

Dovrò attendere un altro anno prima d’incontrarla nuovamente…ce lo siamo confidate proprio ieri sera: il gioco di Mila e Pila funziona bene solo se siamo noi due, tra queste colline.

L’unico pensiero che mi consola è che la nonna mi ha promesso di venirmi a trovare, durante l’anno che è appena iniziato.

Certo, non sarà la stessa cosa che stare qui, davanti al camino, ma comunque l’importante è non dover attendere un altro anno prima di poterla riabbracciare nuovamente.

Intanto sono qui, in piedi davanti alla finestra aperta, e guardo le stelle…le stelle…sembra così strano che possano essere le stesse che ci sono anche a Chicago.

Non mi è mancata per niente la mia nuova città adottiva e nonostante mio padre e mia madre non hanno perso occasione di dirmi, ogniqualvolta ci siamo sentiti, durante queste settimane per telefono, quanto fosse spettacolare il Lago Michigan ghiacciato, io non ne ho sentito la nostalgia.

Si può sentire nostalgia di qualcosa che non si ama?

Credo proprio di no.

Possiamo avvertire la mancanza di ciò che sentiamo parte di noi, e questa lontananza ci può condurre per mano quasi fino a un dolore fisico, come quello che provo tutte le sere quando a farmi compagnia, dalla grande vetrata del soggiorno della nostra casa di Chicago, sono quelle centinaia di luci che corrispondono ciascuno a una stanza, a una persona, a una vita, costretta a muoversi tra metropolitane e traffico impazzito.

I racconti di Mila e Pila- 2 Gennaio: è l’ora dei saluti- 1° Parte

Sono le 2:43 del 2 gennaio, mi sto girando nel letto che sembro un pollo allo spiedo.

Non riesco a prender sonno.

A nulla è valsa la sempre deliziosa camomilla con il miele preparata dalla nonna, così come non mi è servito per niente contare tutte le pecore che pascolano nelle nostre campagne.

Mi agito tra le lenzuola come quelle anguille che durante il periodo natalizio si muovono, l’una sull’altra, in quelle vasche di plastica, pronte a venir prelevate dal retino del pescivendolo.

Non riesco letteralmente a chiudere occhio, eppure sono stanca, e sino a quando sono stata in cucina con la nonna avevo anche sonno, tanto che gli occhi mi si sono chiusi più volte mentre aiutavo la mia Mila a mettere tutto in ordine.

Prima sì, ma non adesso, non riesco ad addormentarmi sapendo che questa è l’ultima notte che trascorrerò in questo letto, perché domani…domani sarò di nuovo in terra americana.

Mi alzo dal letto, anche perché capisco che è del tutto inutile continuare a fare la lotta con il cuscino e con il piumone.

Apro, cercando di fare  meno rumore possibile, prima la finestra e poi la persiana e mi affaccio sulla nostra vallata.

Il freddo della notte sembra venirmi incontro, mi abbraccia e vorrei che quella notte non finisse mai.

Se potessi farlo, impedirei al sole di alzarsi in cielo tra qualche ora, lui non lo sa ma i suoi raggi significano per me dover abbandonare questo casolare ma soprattutto mia nonna e la mia amatissima signora Mila.

I racconti di Mila e pila-1° Gennaio: il saggio camino- 3° Parte

Ecco che decide di trasformarsi nella signora Mila, per spezzare questo filo di malinconia che sembra avvolgere questo primo dell’anno.

“Signora Pila, non può immaginare che cosa mi è successo qualche giorno fa, quando stavo cercando di accendere il camino”, mi dice la nonna, guardandomi negli occhi.

“Bene, mi trovavo davanti alla grande bocca del camino, pronta ad accendere il fuoco con i fogli di carta e i piccoli pezzetti di legna, quando, all’improvviso, sentii un vocione cavernoso lamentarsi.

“Basta, sono stanco, ho lavorato per tutti questi anni, senza avere in cambio mai neanche un semplice grazie. Oggi non faccio il mio dovere, oggi io non mi accendo”.

Capii dalle parole che a parlare era stato proprio il camino.

“Perché mi dici queste cose? Sono sempre stata molto brava con te! “ gli risposi.

“Brava sì ma non riconoscente: ho riscaldato, cucinato e nessuno mai si è soffermato a parlar bene di me, non ho mai ricevuto in cambio una parola di ringraziamento!” continuò il camino.

“Il mio ringraziamento non è fatto di parole ma di gesti. Volerti accendere tutti i giorni, durante l’inverno, significa che io ho bisogno di te, che mi piacere la tua compagnia.

Mi dispiace se hai frainteso il mio silenzio, ma questo era da interpretare come un modo per dirti grazie”, gli risposi con un tono di voce rassicurante.

“Hai ragione, ma ho bisogno di segni tangibili, concreti che mi diano la forza per continuare a svolgere il mio lavoro”, disse il camino.

I racconti di Mila e Pila. 1° Gennaio: il saggio camino- 2° Parte

Non ha pensato neanche per un istante che sulla tavola sarebbero stati messi due soli piatti.

Ha cucinato per me, per me che ho già la valigia pronta vicino allo scrittoio.

Però è triste la nonna, lo noto dai suoi movimenti più lenti ma è già tutto stabilito: domani mi verrà a prendere mio padre e tornerò con lui a Chicago.

“Nonna, il camino non è ancora acceso, posso pensarci io?” le chiedo con un tono di voce squillante, quasi per mascherare volutamente quel velo di tristezza che ho nel cuore.

“Prima però, bisogna andare a prendere la legna fuori perché ieri l’abbiamo consumata tutta”, dice la nonna con dolcezza.

“Va bene, allora prendo la mia giacca e vado alla legnaia” rispondo mentre imbraccio la cesta di vimini, dove metterò i grandi ciocchi di legna e quelli più fini, che servono per accendere il fuoco.

Fa freddo, oggi fa proprio freddo. però è una bella giornata di sole.

Rientro con il mio carico pesante e accendo il fuoco, sotto l’occhio vigile della nonna.

Sono brava, veloce e accorta, infatti, la fiamma non tarda ad accendersi.

“ Ludovica, la valigia l’ho già preparata io. C’è da sistemare dentro solo il pigiama che indosserai stanotte e gli indumenti di casa che porti addosso. Poi…è tutto pronto per domani” mi dice la nonna mentre sta mettendo le polpettine nella lasagna.

E continua dicendo:

“Sono stata molto bene queste settimane ma già da un paio di giorni la malinconia ha preso il posto dell’iniziale felicità. Già so che mi mancherai, una volta partita per Chicago, ancora  più di prima perché quando saremo lontane, avrò tanti bei ricordi che mi faranno salire le lacrime agli occhi”.

“Non essere così triste, nonna, altrimenti, lo divento anch’io. Abbiamo ancora tutto un giorno davanti da trascorrere insieme”, le rispondo cercando di tranquillizzarla.

“Un giorno…quando si vuole bene a una persona…è troppo poco, comunque, andiamo avanti con la preparazione del pranzo”.

I racconti di Mila e Pila. 1 Gennaio: il saggio camino-1° Parte

Ieri sera abbiamo visto da lontano i fuochi d’artificio che hanno fatto giù al paese.

E mentre abbiamo brindato ci siamo guardate negli occhi, promettendoci che niente avrebbe potuto dividerci, perché il nostro amore è più forte delle distanze, delle masse oceaniche, dei cieli solcati dagli aerei.

Eppure lo sappiamo entrambe che è difficile vivere separate a migliaia di chilometri di distanza però, delle volte, per non soffrire troppo, riusciamo a convincerci che sia proprio così.

Invece no, l’amore ha bisogno di abbracci, di baci, di coccole, l’amore è la quotidianità che diventa mai routine, l’amore è la prima colazione consumata insieme, il perfetto incastro tra la pasta che cuoce e la tavola che, nel frattempo, viene apparecchiata.

Ma dobbiamo sottostare alla legge del più forte, e in questo caso i più forti sono i miei genitori, dai quali tornerò domani.

Domani…è già di tempo di partenze, è già tempo di saluti.

Ma non voglio rattristarmi ancora, la nonna ed io ancora abbiamo l’intera giornata da trascorrere insieme.

Mi precipito giù in cucina ed è già al lavoro davanti ai fornelli.

Sta preparando la lasagna con tante polpettine e filante mozzarella, il pollo ripieno con le patate al forno.

Ha cucinato, durante queste festività natalizie, con la stessa passione e lo stesso amore di quando c’era anche il nonno, il papà e la mamma.

I racconti di Mila e Pila. 31 dicembre: il monopattino in legno e quello d’alluminio-4° Parte

“Cosa c’è che non va, di cosa stai lamentando??” gli chiesi.

“Signora Mila, non faccia finta di non sapere che proprio sopra la mia testa, c’è un monopattino ultra-moderno che si sta dando un sacco di arie. L’ho sentito, sa ieri sera mentre si vantava!”

“Che cosa posso fare per te?” gli dissi.

“Portarmi sopra dal monopattino perché voglio proprio fare due chiacchiere con lui!”

Non seppi di no davanti alla sua richiesta e così presi il nuovo monopattino e lo portai nella sala, vicino al vecchio.

“Ma che fai, non sai che è da maleducati origliare?” disse il monopattino d’acciaio a quello di legno.

“E’ ancor più da maleducati vantarsi!” rispose il vecchio.

“Siamo in democrazia ed io dico ciò che voglio!”!

“Tu potrai pure dire ciò che vuoi ma quello che dici deve avere un senso!”

“Mica butto parole al vento io!”

“ E invece credo proprio di sì! Ti ho sentito, sai, mentre stavi lodando la tua scocca in alluminio e il fatto che riuscivi a dare tanta felicità ai bambini!”.

“Lo vedi, lo vedi che ho ragione. Quindi, secondo te, con me non si divertivano?”.

“Non lo so…” disse ciò mentre il monopattino d’alluminio si stava lucidando lo sterzo cromato.

“Ma guarda un po’ come sei screanzato! Ma cosa dici se non le cose non le sai. Mettiti qui vicino a me e ascolta, senza interrompermi, la storia che ti racconterò.

“Sua Maestà” il Basilico, Re del pesto genovese

Nel  nome, il destino: l’origine etimologica della parola basilico è legato alla regalità, infatti, significa “Erba del re”.

E come affermare il contrario? Come non attribuire alla pianta del basilico un ruolo di primo piano nella cucina mediterranea, un ruolo da re, appunto?

In un sugo leggero, sull’immancabile fresella estiva, sulla “panzanella”, su un pomodoro tagliato a metà…ma il suo trono, quello dal quale ha saputo affascinare le tavole di tutto il mondo, è il pesto.

“Sua Maestà” il basilico (foto di Lorenza Fiorilli)

Una salsa unica, semplice, che è stata celebrata oltreoceano nei primi anni ottanta del secolo scorso a New York, nell’ambito di una rassegna significativamente chiamata “The italian fancy food show”, lo spettacolo del fantasioso cibo italiano. Qualche anno più tardi, nel 1989, il rinomato quotidiano inglese “Sunday Times”,  ha esaltato il pesto in un articolo intitolato “A sauce called pesto”, una salsa chiamata pesto, dove è stata messa in grande evidenza la capacità dei liguri di saper coltivare il famoso basilico nei piccoli fazzoletti di terra ricavati grazie ai famosi terrazzamenti tipici della regione.

In realtà,  per il basilico, siamo debitori proprio agli inglesi, perché sono stati loro ad importare questa pianta, che nasce in Africa e nell’Asia Orientale, nel vecchio continente, di ritorno da uno dei tanti viaggi compiuti durante l’epoca coloniale.

Gli anni ’90 del secolo scorso vedono il pesto prendere la via del Canada, della Germania,  della Giordania e delle Hawaii, ottenendo ovunque lusinghieri consensi. Intanto i coltivatori liguri di basilico riescono ad ottenere l’ambito marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) proprio per tutelarne l’autenticità e per proteggerlo  da eventuali imitazioni e contraffazioni.

Il pesto che si fregia del marchio DOP, deve, però,  nascere dall’incontro del basilico coltivato nell’area tra Pra e Pegli (Genova), con l’olio extra vergine d’oliva, aglio e sale italiano, Parmigiano, Grana o Pecorino DOP e con i pinoli della pianta Pinus Pinea che cresce solo nell’area del Mediterraneo.

Se non disponiamo del basilico genovese, possiamo sempre usare anche quello che in molti coltivano nei vasi, sui balconi e sulle terrazze, ma per aver un pesto di buona qualità, bisogna seguire pochi ma necessari passi: usare il mortaio di marmo e il pestello in legno (l’ortodossia lo vuole di bosso), mai il frullatore, privare le foglioline di basilico della nervatura centrale, schiacciarle con aglio, pinoli, sale, aggiungere il Parmigiano (o Grana o Pecorino o entrambi in egual misura) e infine, l’olio extravergine d’oliva.

Il pesto è ora pronto per andare all’altare con trenette, trofie, linguine in un trionfo di sapori mediterranei.

Alessandra Fiorilli

 

 

I racconti di Mila e Pila. 31 dicembre: il monopattino in legno e quello d’alluminio-3° Parte

La nonna afferra dolcemente quel vecchio gioco di legno e accarezza, una a una tutte le parti di cui è fatto: su ogni parte c’è l’ingegno di mio padre, la sua ricerca di pezzi, le sue richieste al falegname per avere il legno, al meccanico per avere i cuscinetti.

E riflette: sì, la nonna riflette sui tempi andati, sull’infanzia di suo figlio, che ora è lontano ma che comunque è felice perché il suo lavoro gli piace così tanto.

Capisco che ha bisogno di un abbraccio ma lei, ancor prima del mio gesto, si trasforma della signora Mila per scacciare via quel velo di nostalgia.

“Signora Pila, non sa cosa mi hanno combinato questi due monopattini un po’ birbantelli!” dice la nonna.

“Mi racconti signora Mila sono proprio curiosa!” rispondo a tono.

La storia fantastica inizia così.

“ Proprio qualche giorno fa, mentre ero intenta a fare un po’ di pulizie nella cantina, sento una vocina un po’ indispettita dire queste parole:

“ Va dicendo che è bello, cromato, veloce, sicuro…che impertinente!”

Incuriosita, mi avvicinai agli oggetti custoditi in cantina, e notai che era il vecchio monopattino a parlare.

I racconti di Mila e Pila. 31 dicembre: il monopattino in legno e quello d’alluminio- 1° Parte

 

Si avverte già nell’aria il desiderio di tutti di iniziare un nuovo anno, di dare l’addio a quello vecchio e di stilare un resoconto dei 365 giorni appena trascorsi.

Il signor Luigi, che ci ha già portato dell’ottimo pesce in occasione della Vigilia di Natale, è già passato nuovamente per casa nostra perché quando scendo giù in cucina, la nonna sta imbottendo di mollica di pane, di capperi, di olive e di pomodorini le deliziose seppie che odorano di mare.

“Nonna, per primo c’è sempre il prelibato piatto di spaghetti allo scoglio?” le chiedo con l’acquolina in bocca.

“Stamattina non mi saluti neanche?” mi dice la nonna.

“Scusami!” e così dicendo l’abbraccio forte e le do un bacio lunghissimo sulla guancia.

“Se vuoi per colazione, c’è ancora quel panettone artigianale che abbiamo acquistato ieri al forno della signora Maria” mi dice mentre sta trafficando con lo snocciola olive.

“Nonna ma come fa la signora Maria a preparare dei dolci così buoni?! Si riesce a percepire in bocca ogni ingrediente eppure, lo stesso ingrediente è perfettamente amalgamato con l’altro!” le chiedo mentre sto tagliando una fetta grandissima di panettone.

“La famiglia della signora Maria si tramanda di generazione in generazione l’antico modo di lavorare il pane, la pizza, i dolci. Ma credo che il vero segreto di tanta bontà sia uno soltanto: l’amore che mettono nel loro lavoro!” mi risponde la nonna con infinita dolcezza.