Il Ristorante Carignano di Torino ha ottenuto la sua prima Stella Michelin. Marco  Miglioli, Chef de Cuisine, ci svela la “ricetta” di questo locale nel cuore di Torino.

La prima Stella Michelin per il Ristorante Carignano arriva nello stesso anno in cui anche l’Hotel dal quale dipende, il Grande Hotel Sitea a Torino, ha visto coronare la sua lunga storia con l’agognata quinta Stella. Il 2018 è, dunque, un anno da ricordare, anche se il riconoscimento giunto al Carignano è solo un punto di partenza, come ci conferma lo Chef de Cuisine Marco Miglioli, fortemente voluto dall’Executive Chef Fabrizio Tesse, con il quale Miglioli ha già lavorato in precedenza.

Da sinistra: lo storico Resident Chef Ruggero Rolando, l’Executive Chef Fabrizio Tesse e lo Ched de Cuisine Marco Miglioli (foto per gentile concessione del Grand Hotel Sitea , Torino)

La giovane promessa del Carignano arriva a Torino dopo una lunga esperienza:”Conseguito il diploma all’Istituto Alberghiero, ho avuto il privilegio di andare a lavorare a Villa Crespi , dello Chef  Antonino Cannavaciuolo, per 2 anni, per passare poi al ristorante Trussardi di Milano, per un anno”. Mignoli vola poi anche a Londra,  a Montecarlo e a Dubai.  Nonostante tutte le brillanti esperienze all’estero, il suo cuore e la sua anima appartengono a quei ricordi da bambino, che ancora oggi sono la sua “Stella Polare” in cucina: “Provengo da un famiglia in cui il buon cibo, possibilmente a km 0, è stato sempre l’elemento più importante. Non è un caso che al mattino, la spesa l’andiamo a fare  al mercato giornaliero a Porta Palazzo, a Torino, preferendo anche  prodotti di nicchia.” Marco Miglioli,  l’aria della cucina l’ha respirata sin da adolescente:  “Avevo 13 anni e aiutavo la nonna al bar nel preparare i caffè”.

Il giovane chef è poi riuscito a volare in alto “Non solo grazie alla passione, ma anche ad un pizzico di fortuna e al fatto di essere, come si suol dire, al posto giusto nel momento giusto”.

Presso il Ristorante Carignano, che ha appena cinque tavoli ed è aperto a cena, la parola d’ordine è:” Tradizione e innovazione. Rispettiamo, infatti, le tecniche basilari delle nostra migliori tradizioni, cercando di aggiungere, ovviamente, qualcosa di noi”.

La prima Stella Michelin: “Viene assegnata sulla base di un insieme di elementi, quali la location, la cantina, il servizio. Questo ambito riconoscimento ci ha cambiato mentalmente perché si riparte verso nuovi traguardi. Questa stella è solo una partenza”.

Alessandra Fiorilli

Torino: Luci d’Artista  compie 20 anni. Un Museo all’aperto diventato il simbolo delle festività natalizie del capoluogo piemontese. Del profondo significato culturale ne parliamo con l’Assessore alla Cultura del Comune di Torino, Francesca Paola Leon

 

Sino al 19 gennaio 2019 è possibile regalarsi una visita a quello che, ormai, è diventato non solo l’appuntamento “simbolo” del Natale torinese, ma un vero e proprio “Museo d’Arte all’aperto”. Quest’anno Luci d’Artista ha raggiunto il traguardo dei 20 anni, durante i quali sono cambiati i vertici amministrativi della città, ma ciò che è sempre rimasta fedele a se stessa è l’essenza dell’evento, un “biglietto da visita” della regale Torino.  Impreziosite dalle luci artistiche non solo le piazze e le vie del  centro storico,  ma anche le circoscrizioni e le zone più lontane dagli eleganti palazzi e luoghi che parlano della lunga storia italiana. Cosa è cambiato durante gli anni e cosa è rimasto lo stesso in quest’ evento, ce lo dice l’Assessore alla Cultura del Comune di Torino, Francesca Paola Leon, la quale, gentilmente, ci ha dedicato un po’ del suo tempo per realizzare quest’ intervista.

L’Assessore alla Cultura del Comune di Torino, Francesca Paola Leon Per gentile concessione dell’Assessorato alla Cultura)

Luci d’Artista continua ad essere un esempio virtuoso di intervento artistico-culturale nello spazio pubblico, fuori dalle tradizionali sedi espositive. Il progetto, alla sua XXI^ edizione, nasce come “museo a cielo aperto” circoscritto al Centro Storico, con l’obiettivo di diffondere – attraverso le opere luminose realizzate da artisti di fama internazionale – i linguaggi dell’arte contemporanea e di valorizzare il patrimonio dei beni artistici e storici della Città.

Daniel Buren, “Tappeto Volante”, Piazza Palazzo di Città. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

 

Questo progetto – imitato in Italia e all’estero – ha consentito la massima accessibilità e fruibilità ai cittadini ed è diventato un elemento forte attrazione  turistica.

Luigi Stoisa “Noi”, Via Garibaldi. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

 

Questa Amministrazione dal 2017 – in occasione del ventennale di Luci d’Artista – ha voluto portare le Luci anche sul resto del territorio urbano, prevedendo l’istallazione di almeno un’opera per ogni Circoscrizione. Si, ogni anno, attraverso la collocazione delle opere temporanee in luoghi diversi e significativi della Città (almeno una per circoscrizione), ci si prefigge l’obiettivo di valorizzarle, di farle conoscere ad un pubblico più ampio e di creare altresì attesa e curiosità: un modo per rendere più accessibili i linguaggi dell’arte contemporanea.

Valerio Berruti, “Ancora una Volta”, Via Giulio di Barolo. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

  Alle finalità consolidate negli anni, si è aggiunto quindi l’obiettivo di offrire anche ai residenti in altri contesti urbani – ad di fuori del centro storico – la possibilità di fruire delle opere del patrimonio di Luci,  valorizzando altri luoghi ritenuti significativi, attraverso un percorso partecipato che ha condotto alla individuazione dei luoghi dove collocare le Luci d’Artista.

 

La Città quest’anno ha anche avviato, in una delle circoscrizioni che ospita un’opera di Luci, una sperimentazione: un’azione che è stata realizzata con la partecipazione attiva dei cittadini e delle realtà pubbliche e private operanti nel quartiere (scuole, associazioni, enti,…;  realizzando, attorno all’installazione dell’opera, alcuni progetti educativi rivolti  a studenti ed insegnati delle scuole dell’obbligo.

 

 

Tobias Rehberger, “My noon”, cortile della Scuola Elementare Carlo Collodi. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

Oltre alle 23 Luci d’Artista “storiche”, vi sono altre opere luminose realizzate da associazioni, privati  ed enti, che arricchiscono l’offerta al pubblico”.

 

L’inaugurazione di “Luci d’Artista” 2018 è avvenuta il 31 ottobre scorso nel cortile della Scuola Elementare Carlo Collodi e sono state recitate fiabe e filastrocche di Gianni Rodari.  L’evento è diventato così, nel corso degli anni,  davvero di tutti: dai bambini agli artisti internazionali, dai cittadini di Torino ai turisti, così come ci conferma l’Assessore Leon

“Certo, Luci d’Artista è un evento di “tutti e per tutti”.

Nicola Maria “Regno dei  Fiori: Nido Cosmico di tutte le anime”, Piazza Carlina.  Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

 

Dando seguito ad uno dei punti qualificanti del Programma di questa Amministrazione, l’Assessorato alla Cultura ha ritenuto indispensabile che la scelta dei luoghi, in cui posizionare le opere, fosse condivisa con i cittadini e con tutti i rappresentanti delle Circoscrizioni.

Vasco Are “Vele di Natale”, Piazza Foroni. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

 

Successivamente, al fine di far conoscere in modo stimolante le opere di Luci d’Artista e altre opere d’arte contemporanea presenti nel territorio urbano, che costituiscono parte significativa del suo patrimonio artistico e culturale, la Città con la Circoscrizione 8 – per la prima volta –  ha sperimentato in collaborazione con il Dipartimento Educazione della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e il PAV – Parco Arte Vivente il progetto educativo-artistico-culturale “Incontri illuminanti con l’arte contemporanea” rivolto a  insegnanti, studenti e famiglie, coinvolgendo più di 30 classi”.

Ormai Luci d’Artista non è solo il modo in cui la prima capitale d’Italia festeggia le festività natalizie, ma anche una cartolina del tutto particolare che ciascuno può portarsi via con sé, dopo essere stato accolto, abbracciato, coccolato da questo spettacolo di luci e di magia. Chiedo all’Assessore Leon quante siano state le persone accorse lo scorso anno:

 

 

“ Luci d’Artista, che inaugura il mese dell’arte contemporanea nella nostra città, fa parte dell’offerta culturale in un momento in cui gli eventi cittadini ruotano attorno ai grandi eventi legati all’arte contemporanea e alle Fiere, tra le quali la prestigiosa Artissima contornata dalle fiere satellite come FlashBack, The Others, Paratissima, Dama, solo per citarne alcune.   da   Non siamo in possesso di dati certi. Da Turismo Torino e Provincia sappiamo però che nell’edizione 2017-2018 hanno partecipato 7.500 persone allo Special Tour Luci d’Artista da loro organizzato”.

Francesco Casorati “Volo su…”, Via di Nanni. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

Luci d’Artista non sono soltanto luminarie natalizie, dunque,  ma molto di più :”

Luci d’Artista è una manifestazione apprezzata in Italia e all’estero e, per questo, diventata elemento caratterizzante dell’offerta culturale della Città. Offre a cittadini e turisti scenari artistici inediti nello spazio pubblico. E’ inoltre un’occasione per rendere più accessibile l’arte contemporanea e i suoi linguaggi ai cittadini (delle diverse età) nei luoghi della vita quotidiana. Le luci d’Artista sono a disposizione di tutti i cittadini e dei turisti. I dati sulle presenze nel mese di novembre ci dicono di un incremento dell’8,7% di turisti rispetto allo stesso mese nel 2017”.

Giulio Paolini “Palomar”, Via Po. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

 

Torino rimane sempre la prima capitale d’Italia: regale, di una bellezza che incute un timore reverenziale. E’ per questo motivo che, rispetto ad altre città, le luci installate sono comunque di classe e meno appariscenti?

“Non sono d’accordo, nel giudicarle “meno appariscenti” di altre. Basti pensare ad esempio a “Vento solare di Luigi Nervo” o a “Piccoli Spiriti Blu” di Rebecca Horn …

Luigi Nervo “Vento Solare” , Piazzetta Mollino. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

Il nostro evento è semplicemente diverso dagli altri, perché le opere sono ideate da artisti di fama internazionale scelti dai direttori artistici di due musei d’arte contemporanea di eccellenza come la GAM e il Castello di Rivoli: non sono solo significative dal punto di vista estetico, dietro alla loro creazione vi è sempre una corrente artistica, un concetto, un messaggio che l’artista consegna alla Città.

Rebecca Horn “Piccoli Spiriti Blu”, Monte dei Cappuccini. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

 La scelta del progetto Luci d’Artista di Torino privilegia alla dimensione “evento temporaneo appariscente” la capacità delle opere luminose di essere fruibili in un tempo più lungo e di diventare così parte caratterizzante del paesaggio urbano”.

Luigi Mainolfi “Luì e l’arte di andare nel bosco”, Via Carlo Alberto. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

 

Torino, dunque, si presenta così: ricca di luci che ti fanno camminare a testa in su  per non perderti lo spettacolo di queste opere d’arte.  Illuminate  lo sono non soltanto le magnifiche piazze, i corsi centrali, la Mole, ma anche il grattacielo. Chiedo all’Assessore Leon se questa scelta sia un modo per far capire che Torino è sia storia che modernità.

“L’arte contemporanea, come tutte le arti e correnti artistiche, ha le sue radici nella storia:  l’Opera di Maurizio Nannucci, sulla facciata della GAM “All art has been contemporary” esprime un concetto fondamentale: tutte le arti del passato sono state arti contemporanee nel momento della loro espressione. E’ interessante che anche soggetti privati come Intesa-San Paolo vogliano concorrere ad ampliare l’offerta del patrimonio di Luci d’Artista della Città arricchendo la manifestazione cittadina con nuove opere artistiche luminose come “α-cromative” di Migliore+Servetto Architects sul grattacielo progettato da Renzo Piano.

ARTE, dunque: due consonanti  e due vocali che sembrano essere diventate essenziali per l’organizzazione, ogni anno, di Luci d’Artista, come ci conferma l’Assessore Leon: “Luci d’Artista è un museo d’arte all’aperto, ma non certo esaustivo: perché l’arte come le altre forme espressive può essere comunicata in innumerevoli modalità, tante quante sono gli artisti che possono essere invitati a collaborare a questo o ad altri progetti.

Mario Airo “Cosmometrie”, Piazza Carignano. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

Un lavoro, dunque, quello che conduce la città di Torino a Natale, che inizia molto tempo prima e  che richiede un grande impegno, come ci conferma l’Assessore alla Cultura: Per visionare, valutare e selezionare con competenza gli artisti più idonei a produrre nuove opere volte ad arricchire il patrimonio di Luci d’Artista è indispensabile avere un’approfondita conoscenza dell’arte contemporanea a livello internazionale. Per questo motivo nell’eventualità di nuovi allestimenti di nuove opere, da inserire nel patrimonio permanente di Luci d’Artista, la selezione dell’artista e del progetto viene effettuata dalla Direzione del Castello di Rivoli e dalla Direzione della GAM della Fondazione Torino Musei, di concerto con la Città di Torino. Una scelta confermata da una valutazione di fattibilità da parte dei consolidati partner tecnici del progetto Luci: IREN e Fondazione Teatro Regio Torino.

Piero Gilardi “Migrazion iClimate change”, Galleria San Federico. Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

 

Ogni artista, con la sua opera esprime “unicità”, utilizzando la luce, interpreta in modo personale la realtà collegandosi con i diversi linguaggi del contemporaneo”

Mario Merz “Il Volo dei Numeri”, Mole Antonneliana. . Città di Torino – Progetto Luci d’Artista
Area Cultura – Servizio Arti Visive Cinema Teatro Musica

 

Luci d’Artista: è arte e cos’altro per Torino?

“Pensando a questo evento lo si associa all’arte, al turismo e alla promozione della Città: per la sua inaugurazione a fine ottobre come evento di avvio del programma dello Speciale Autunno ContemporaryArt Torino+Piemnte  e nel periodo nelle feste natalizie), però è diventato anche un momento per promuovere partecipazione comunitaria, coinvolgendo dei cittadini e dei soggetti pubblici e privati dei diversi territori e anche strumento per promuovere percorsi educativi-artistici-culturali, di avvicinamento ai linguaggi e alle produzioni dell’arte contemporanea.”

In ogni angolo della regale Torino, dunque, si possono ammirare queste opere d’arte di luce: a piazza Carignano ad attenderci sono le Cosmometrie, opera di Mario Airò,  ispirati da quarantadue disegni di Giordano Bruno, proiettati sulla pavimentazione della piazza stessa. In Via Giulia di Barolo ci attende “Ancora una volta”,opera di Valerio Berruti, ispirata alla tecnica di video animazione: infatti i 10 fotogrammi dell’opera luminosa si relazionano con lo spazio sottostante. A Piazza Palazzo di Città si cammina sotto un pergolato di luci, opera di Daniel Buren. Anche le Gallerie della città, Umberto I e San Federico sono impreziosite, rispettivamente, da creazioni di Marco Gastini e Piero Gilardi. Mentre in via Carlo Alberto si cammina leggendo una poesia scritta da Giudo Quarzo, che si compone, passo dopo passo, in colori diversi tante sono le strofe che la compongono, grazie alla maestra di Luigi Mainolfi. Il simbolo di Torino, la Mole Antonelliana, è illuminata da “Il volo dei numeri”: una lunga sequenza in cui ogni cifra è la somma delle due precedenti: è la serie di Fibonacci, rivista in chiave artistica da Mario Merz.

Alessandra Fiorilli

 

 

Pietro Fusella ci racconta la singolare storia del Chiaja Hotel de Charme a Napoli  immerso in un’aria di antica nobiltà e di “donnine allegre” del secolo scorso.

 

 

Napoli è così: sospesa, come lei sa fare, tra “sacro” e profano” e questa fusione tra due facce della stessa medaglia, è visibile ovunque poggi lo sguardo. E così, in uno dei tanti vicoli, puoi trovare la statua della Madonnina, oggetto di devozione “sacra”, gelosamente custodita in un’edicola ornata di fiori,  e poi, qualche metro più in là, decine e decine di persone con i numeri da giocare, per la devozione “profana” che il popolo di Napoli ha per il lotto. E poi c’è il “sacro” rito del pranzo domenicale, con il famoso “rrau’ ch’adda ppippià”, e il “profano” strett-food che coinvolge tutti: bambini, adolescenti, giovani, anziani…perché mangiare in strada il famoso “cuopp” di terra o di mare, la pizza a portafoglio, la sfogliatella, non è placare lo stomaco, ma fare un regalo all’ anima.

E poi, ancora, c’è il “sacro” delle vie dello shopping  elegante e della movida, e il “profano” dei “vasci” nei Quartieri Spagnoli…

In questa perfetta mistura s’inserisce anche la storia singolare del “Chiaja Hotel de Charme”, situato nell’omonima via di Napoli. E così, in un “sacro” palazzo nobiliare del 1700, il palazzo Giroux, l’intero primo piano ha visto fondersi un appartamento appartenuto al Marchese  Lecaldano  Sasso la Terza con il “profano” di una ex casa di tolleranza chiusa con la legge Merlin. Ma entriamo insieme in questo stabile: ad accoglierci c’è un maestoso portone che, di sera, viene chiuso e il cui accesso è consentito da una porticina ricavata all’interno  del portone stesso. Nel cortile d’ingresso c’è ancora il portinaio nella sua stanzetta e,  dopo essere saliti sulla scala in stile vanvitelliano, si accede nell’ albergo, nato nel 2001 proprio da una commistione, appunto, di “sacro” e di “profano”.

Pietro Fusella, Direttore del Chiaja Hotel de Charme, e il suo avo nel dipinto che si trova nella Sala d’ingresso della struttura (foto per gentile concessione di Pietro Fusella)
Il ritratto del Marchese Lecaldano Sasso La Terza  nell’ingresso dell’appartamento nobiliare (per gentile concessione di Pietro Fusella, archivio Gallery dell’Hotel)

Gli ospiti di quest’albergo possono, così, trovarsi immersi in due atmosfere completamente diverse tra loro ma che i proprietari hanno saputo fondere. Alcune camere si trovano, infatti, nell’antica Casa Lecaldano Sasso la Terza, che fu abitata tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 proprio dal Marchese Nicola, altre, invece, sono ubicate nello storico “Casino di Salita S. Anna di Palazzo”, chiuso nel 1958 dalla legge Merlin. Come è avvenuta questa fusione tra il “sacro” e “profano”, ce lo svela direttamente Pietro Fusella, pronipote del Marchese Lecaldano, nonché Direttore del Chiaja Hotel de Charme. Era l’anno 2001 e Napoli non viveva un momento felice e non si presentava come oggi, con la grande area pedonale di via Chiaia  e  via Toledo. C’era, inoltre, una crisi degli alloggi e la proprietà immobiliare  della nostra famiglia si stava degradando, così venne l’idea di procedere ad una ristrutturazione e di adibire l’appartamento al primo piano di palazzo Giroux ad uso ufficio, ma io proposi di farne un albergo, in un momento dove le strutture recettive di Napoli si trovavano solo sul lungomare Caracciolo e nei pressi della stazione ferroviaria. La ristrutturazione non riguardò solo l’appartamento, ma anche quei mobili e quelle suppellettili che sono attualmente ospitate nell’ingresso con il camino e nelle varie stanze. In tutto furono ricavate 14 camere: il nostro albergo era una vera bomboniera: piccolo e molto curato negli ambienti e con l’atmosfera di una casa nobiliare di fine 1800. Le cose andarono talmente bene che, dopo appena un anno di attività, decidemmo di ingrandire la struttura, acquistando un appartamento adiacente al nostro, che ci avrebbe consentito di occupare l’intero primo piano di Palazzo Giroux.  Solo quando entrammo ci accorgemmo che si trattava, in realtà, di una casa di tolleranza chiusa dalla legge Merlin del 1958, il cui ingresso non era su via Chaia, ma sulla traversa accanto, strategicamente posta nel vicolo Sant’Anna di Palazzo. Così come avevamo fatto per l’appartamento del nostro avo, procedemmo alla ristrutturazione, puntando su tappezzerie dai colori carichi, mantenendo intatta la bellissima vetrata liberty, lasciando altresì, in bella vista, il tariffario dell’epoca.

Un particolare dell’antico camino (per gentile concessione di Pietro Fusella, archivio Gallery dell’Hotel)
…e dell’ingresso(per gentile concessione di Pietro Fusella, archivio Gallery dell’Hotel)

 

La vetrata in stile liberty nell’ala della  casa di tolleranza chiusa dalla legge Merlin del 1958, poi incorporata negli anni 2000 dall’albergo (per gentile concessione di Pietro Fusella, archivio Gallery dell’Hotel)

Chiedo a Pietro Fusella in che modo fu accolta questa fusione: “Con grande e vivo interesse, nonché con curiosità. Alcune  signore  emiliane, ad esempio,  ci chiedono, espressamente, al momento della prenotazione della stanza, che la stessa sia ubicata nell’ex casa di tolleranza. Moltissimi sono incuriositi dai vecchi oggetti originali esposti nel corridoio. Resistenza fiera solo da una coppia di giovani francesi che,  trovatisi di fronte a questa novità, si rifiutarono categoricamente di soggiornare in una di quelle stanze e chiesero, quindi, di essere trasferiti nella parte della casa del Marchese Lecaldano”.  Oltre a questa inusuale commistione, un’altra particolarità del Chiaja Hotel de Charme è che ogni stanza ha un nome proprio: nell’appartamento del Marchese ci sono, tra le altre,  la stanza “e don Nicola”, la stanza “e Zi Checchina”,  mentre nel vecchio casino, si trova quella intitolata a Anastasia ‘a Friulana, Mimì do’ Vesuvio, Dorina da Sorrento.  Questa struttura alberghiera al centro di Napoli è strettamente legata anche alla vita culturale della città, come ci dice il Direttore Pietro Fusella: “Un giorno di tanti ani fa, in una Napoli che ancora sonnecchiava, incontrai un amico, al quale chiesi: “Che vogliamo fare?”.  E così nacque l’idea di organizzare, nel mio albergo,  qualche incontro di poesia. Da allora non è mai venuto meno l’interesse per questa che è diventata una manifestazione patrocinata dal Comune di Napoli. Quest’anno abbiamo festeggiato i 10 anni di “Poetè”, questo il nome dell’evento, e da novembre ad aprile abbiamo un fitto calendario di eventi, tanto che alcune sere sono previste le presentazioni di due libri”.

Napoli è così: piena di storie da raccontare…

 

Alessandra Fiorilli

 

 

L’amore è…

 

Non so quanti di voi ricordano la raccolta di figurine “Love is…” (che rientrano tra quelle che compravo da bambina ma di cui non finivo mai la collezione completa!): c’erano due personaggi, uno maschile e uno femminile, ritratti tipo fumetto, che in ogni figurina rappresentavano delle situazioni tipiche di una coppia innamorata; sulla parte alta c’era scritto, appunto, love is…, e in basso la dicitura raffigurante la situazione stessa.

Tra le tante didascalie c’erano: “avere quel pizzico di cavalleria”; “non mostrare mai impazienza”; “un tenero abbraccio sulla porta di casa”; “essere rannicchiati vicini vicini sul divano”; “portarla ad un concerto all’aperto”.  Questi sono solo alcuni dei modi in cui, secondo i creatori delle figurine, è possibile mostrare amore nei confronti di un’altra persona.

Ma cos’è veramente l’amore? E non solo inteso quello verso un altro essere vivente ma anche quello per il proprio lavoro, per la propria casa, per la natura; prima di dare qualche definizione più “scientifica” e razionale, vi dico cosa è per me l’amore:

è amore quando, nonostante abbia quasi quarant’anni, non riesco ad andare a dormire se non do la buonanotte a mia madre, personalmente, o telefonicamente se non ci troviamo nello stesso luogo; è amore quando ho aspettato anni, dopo la  morte di mio padre, prima di mangiare di nuovo le pannocchie lesse, che avevamo l’abitudine di mangiare insieme il pomeriggio di Ferragosto, e anche se sono riuscita ad assaggiarle di nuovo, senza di lui non hanno più lo stesso sapore; è amore, quando nonostante siano passati più di venti anni dalla perdita di alcuni miei gatti, alcune notti sogno ancora che sono vivi e che stanno giocando in giardino, allora scendo di corsa le scale per andare da loro, ma mi sveglio con le guance bagnate di lacrime; è amore quando, nonostante è dalla nascita che abito sempre nella stessa casa, ancora mi emoziono a vedere il sole che filtra dalle finestre…

Foto di Lorenza Fiorilli

Dal punto di vista anatomico e biologico, ogni area del nostro cervello è deputata al riconoscimento e alla gestione di particolari capacità; l’area coinvolta nell’amore, e quindi nelle emozioni e nei sentimenti è il sistema limbico, in particolare una ghiandola, a forma di mandorla, detta amigdala, e che si trova all’incirca in corrispondenza della tempia.

Ovviamente, come ogni essere vivente è unico, così sarà unico anche il suo cervello, e quindi unica la sua capacità e l’intensità ad amare. In particolare, il cervello femminile e quello maschile sono diversi dal punto di vista anatomico, come dimostrano studi scientifici, e quindi diverso è il modo in cui riconoscono ed elaborano le emozioni.

Tornando alle nostre figurine, e cioè all’amore tra due partner, alcuni studi nel campo della scienza delle relazioni hanno evidenziato che alcune caratteristiche comportamentali e alcune situazioni possono contribuire alla nascita e al mantenimento di una relazione amorosa. Tra queste: saper ridere insieme; somigliarsi dal punto di vista intellettivo e formativo; essere gentili; avere un atteggiamento accomodante; avere buone capacità di dialogo.

Ognuno di noi pensa di sapere cosa sia l’amore, di conoscerlo, di provarlo, di dimostrarlo, ma credo che al di là delle ricerche in campo scientifico e psicologico e al di là dei consigli degli esperti, il modo più semplice di sapere se si stia amando nel modo “giusto” un’altra persona, sia guardarla negli occhi e vedere se riusciamo a donargli serenità e gioia, e se, in altre situazioni che non riguardano il nostro partner, riusciamo ad emozionarci e a provare entusiasmo, anche per  cose che possono sembrare banali…

Dottoressa Lorenza Fiorilli, Psicologa

La Menopausa: fattori genetici, fattori ambientali, sintomi menopausali e terapia ormonale sostitutiva. Ne parliamo con la Ginecologa Francesca Sagnella.

 

Una tappa fisiologica di ogni donna, un passaggio dalla vita fertile a quella nonfertile, un momento che, superata la quarantina, sembra attenderci dietro l’angolo, con tutto il suo carico, non solo di cambiamenti del corpo e dell’umore, ma anche di profonda valenza psicologica. Per menopausa -dichiara la Dottoressa Francesca Sagnella, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana- s’intende la fine del ciclo mestruale e dell’attività ormonale ovarica. L’età media in cui le donne italiane entrano in questa fase è intorno ai 50 anni, infatti la menopausa fisiologica copre un arco che va dai 45 ai 55 anni. Quando una donna entra in questa fase prima dei 40 anni, parliamo di menopausa precoce; se accade tra i 40 e i 45 anni parliamo di menopausa prematura”.

La Dottoressa Francesca Sagnella, Specialista in Ginecologia ed Ostetricia, Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana.

 

Pertanto, in considerazione dell’aumento progressivo dell’età media alla quale arriva il primo figlio, sarebbe opportuno per le donne conoscere, anche se in maniera approssimativa, l’età in cui potrebbe terminare il periodo di fertilità:L’instaurarsi della menopausa è legato a fattori genetici: ogni donna dovrebbe chiedere alla mamma e alla nonna l’età alla quale sono entrate in menopausa, essendoci una forte familiarità. L’entrata in menopausa può inoltre essere influenzata da fattori ambientali, terapie chirurgiche (interventi sulle ovaie), farmacologiche (chemioterapie) o fisiche (radioterapia), ma anche dallo stile di vita e dalle cattive abitudini. Sappiamo infatti che le donne fumatrici possono entrare in menopausa due anni prima delle non fumatrici”.

Si può anche avere un’indicazione massima sulla propria riserva ovarica e quindi, indirettamente, sull’età in cui arriverà la menopausa, sottoponendosi a dei semplici esami clinici: Per conoscere la propria riserva ovarica, esistono dei parametri ormonali quali il dosaggio dell’FSH, da fare al terzo giorno del ciclo e l’ormone antimullierano, da associare alla conta dei follicoli antrali che si esegue mediante un’ecografia transvaginale la quale consente di contare i piccoli follicoli ancora presenti nelle ovaie”.  Ogni giovane donna potrebbe, quindi, con degli esami non invasivi, individuare il periodo della vita nel quale è possibile pensare ad una gravidanza, salvo ovviamente altre problematiche non inerenti alla riserva ovarica: “Purtroppo in questo campo c’è poca informazione -dichiara la Dottoressa Sagnella- dovremmo consigliare alle giovani donne di informarsi circa la propria predisposizione genetica alla menopausa precoce, anche perché è importante sapere che la qualità e il numero degli ovociti cominciano a ridursi sensibilmente già 10 anni prima della menopausa; chi andrà in menopausa a 40-45 anni, pertanto, sarà già molto meno fertile a 30-35 anni, rispetto a donne coetanee che andranno in menopausa a 50 anni”.

La menopausa generalmente non arriva senza segnali, i più rilevanti sono: Irregolarità del ciclo, che può essere più ravvicinato ed abbondante, comparsa di tachicardia, aumento di peso (tra i 4 e i 5 chili), perdita dei capelli, secchezza della pelle e delle mucose, disturbi del sonno e dolori articolari, che interessano 1 donna su 4”.

Tra le conseguenze di cui si parla molto e che è un vero spauracchio, c’èl’osteoporosi, ossia la perdita di massa ossea causata dal crollo degli ormoni (estrogeni). Di fronte a questo quadro, abbiamo delle armi vincenti: Svolgere regolarmente attività fisica , seguire una corretta alimentazione e integrarla con calcio e vitamina D, non fumare e, quando possibile, instaurare una terapia ormonale sostitutiva. Ovviamente, in casi di osteoporosi severa, sono disponibili molti farmaci che possono ridurre molto il rischio di fratture ossee. E’ importante sapere, infatti, che il 40% delle donne dopo la menopausa subisce una frattura.

Tra i sintomi ben noti della menopausa ricordiamo anche la secchezza vaginale e il calo del desiderio e le “famose” vampate: “In molti dei sintomi menopausali è coinvolto l’ipotalamo, una regione del cervello molto sensibile ai livelli di estrogeni che, tra le varie funzioni, regola la fame, il caldo-freddo e l’umore. Non a caso molte donne, in questa fase della vita, possono soffrire di alterazioni del tono dell’umore, fino alla depressione”.

L’età media delle donne è aumentata quindi, anche una volta andate in menopausa, gli anni davanti sono ancora molti, “La medicina ha pensato bene di migliorare la qualità della vita attraverso terapie molto personalizzate. C’è da considerare, infatti, che la menopausa non è solo la fine del periodo fertile, ma anche di una diminuzione drastica degli estrogeni che proteggono dalle malattie cardiovascolari. Non è un caso che in menopausa il colesterolo, i trigliceridi e la glicemia tendono ad aumentare. E qui la terapia ormonale offre un grande aiuto, proprio quella che da anni è stata demonizzata, specie a seguito di studi scientifici condotti negli Stati Uniti d’America, su donne sottoposte a terapia ormonale sostitutiva ma non ben selezionate. Questi studi avevano infatti coinvolto donne obese, in menopausa da 10 anni, e comunque non donne sane. I risultati a cui sono pervenuti sono stati, quindi, fuorvianti. E’ di fondamentale importanza, infatti, la selezione delle pazienti candidate alla terapia ormonale: un attento esame clinico, con la precisa valutazione dei sintomi, dei fattori di rischio che possono emergere dalla storia della paziente e dagli esami di laboratorio, consentono allo specialista di valutare il rapporto rischio/beneficio”.  Chiedo alla Dottoressa Sagnella se tutte le donne possono sottoporsi a tale terapia :” E’ da escludere, ad esempio, in donne che hanno avuto un tumore all’ovaio, al seno, o che sono state colpite da ictus, tromboflebiti o soffrono di malattie autoimmuni come il lupus. Donne sintomatiche che non presentano fattori di rischio possono, invece, trarre enorme beneficio dalla terapia ormonale, purché  iniziata entro i 5 anni dall’entrata in menopausa. Purtroppo, a causa di una propaganda negativa ed allarmistica, sono ancora pochissime le donne in Italia che godono dei benefici di questo trattamento farmacologico (circa il 4%, contro il 51% in altri Paesi europei). Concludendo, possiamo dire che oggi non è più necessario sopportare i disturbi menopausali. Con l’aiuto del medico è infatti quasi sempre possibile trovare la giusta strategia per alleviare i sintomi e vivere meglio una nuova fase della vita.”

Alessandra Fiorilli

Il coinvolgente Maestro Giorgio Rivari ci parla della sua disciplina: la Human Dance Tecnique  

Uno di quegli incontri casuali in una splendida giornata autunnale dal sapore estivo…e mentre mi sto incamminando verso i vicoli del delizioso borgo, una musica mi  rapisce e mi spinge sin nella piazza dove è allestito un piccolo palco. E su questo palco, una figura al tempo stessa eterea ma forte, sta facendo la sua performance. Lui è energia pura, passione per la danza, lui ti coinvolge, ti rapisce, ti ipnotizza. Indossa una baschetto bianco alla francese, che, come svelerà lo stesso Maestro nel corso dell’intervista:” Ho riconosciuto, un giorno, come una parte di me, qualcosa che mi apparteneva da sempre”. 

Il Maestro Giorgio Rivari, con il suo inseparabile baschetto alla francese (Foto per gentile concessione di Giorgio Rivari)

 

Lui è il Maestro Giorgio Rivari, al quale, terminata la performance dimostrativa, mi sono avvicinata per conoscerlo, perché il mio fiuto da giornalista mi suggeriva che lui aveva qualcosa di bello da raccontare.

E di ciò ho avuto conferma durante l’intervista che gentilmente mi ha concesso.

Muggia, un piccolo centro a 12 chilometri da Trieste: è qui che nasce Giorgio Rivari nel 1960.

“All’età di 6-7 anni,  papà mi iscrive ad una squadra di calcio, ma io ero  gracile: la parola  “malaticcio” rende bene l’idea. I medici parlavano di una TBC ossea…avevo spesso le gambe ingessate, entravo ed uscivo dagli ospedali, dove non mi opponevo mai alle cure dolorose che mi attendevano perché più forte di tutte era la speranza, o meglio la certezza, che un giorno sarei riuscito a vincere io la battaglia contro questa patologia che avrebbe compromesso una crescita normale”.

Nel frattempo il piccolo Giorgio si avvicina alla danza, all’insaputa del padre che scoprì questa sua passione il giorno in cui lo seguì e lo vide entrare in una Scuola di Muggia. Dopo un primo tentennamento, i genitori lasciano Giorgio libero di scegliere e lui sceglie la danza, uno, due, mille volte. “Ho frequentato tutti i corsi possibili e facevo molti spettacoli nella mia zona  e in quelle limitrofe. Nel frattempo, mi avvicino anche alla Kick Boxing disciplina della quale sono sesto dan e alle Arti Marziali, delle quali sono terzo dan”.

Il Maestro Giorgio Rivari (Foto di Valentina Sasso)

L’agonismo in queste due discipline gli permette l’incontro che gli aprirà scenari nuovi e inaspettati: Ho l’opportunità di volare a Portland, nell’Oregon, dove faccio la conoscenza con il Nia, Azione Integrativa Neuromuscolare, ovvero una danza che combina il movimento del corpo, basandosi su 52 movimenti principali e che ha, come fine, quello del piacere di muovere il corpo”.

Il Maestro Rivari e l’espressività del suo corpo in uno scatto di Valentina Sasso

Dopo il ritorno in Italia: “Dove ho portato questa disciplina in molti Centri insegnandola, oltre alla danza contemporanea, in Scuole di Trieste , Gorizia, Udine e Slovenia, sento un giorno di poter e di voler dare qualcosa di più, di essere pronto a creare un metodo tutto mio per trasmettere qualcosa di più intimo: ed è , così, nata l’HDT, la Human Dance Technique, una danza di sviluppo personale e di tecniche corporee che vede ogni parte del corpo dotata di una propria coscienza ed anima. Se ci pensiamo bene, il nostro corpo è abituato a sentire musica, sin dal battito cardiaco,  e a muoversi sin da quando siamo nell’utero materno, quindi la danza non è una condizione, quanto piuttosto proprio una necessità umana”.

La passione per la danza espressa dal Maestro in uno scatto di Valentina Sasso

Gli chiedo di descrivere come è articolata una sua lezione di HDT:  “La mia masterclass dura un’ora e mezza, un po’ di più della classiche lezioni, perché durante i primi trenta minuti ci concentriamo in silenzio sul prendere contatto con il corpo. Iniziamo dalle estremità e cominciamo con dei movimenti che poi, naturalmente, diventano sempre più ampi. La parte centrale della lezione, quindi, è un insieme di movimenti coreografici attraverso i quali il corpo riesce a star bene con se stesso. E questo è il fine della HDT: ci muoviamo per stare bene, per sciogliere le tensioni, per diminuire lo stress che talvolta ci paralizza, ma non siamo competitivi tra noi quando siamo a lezione. La danza diventa un supporto psicologico attraverso gli sblocchi emotivi Ciascuno dà tutto sé stesso, ma senza fare paragoni con gli altri”.

 

Il Maestro Rivari è molto di più di ciò che racconta, tant’è che le parole non sono sufficienti o in grado di esprimere pienamente davvero la grande carica umana e professionale di Giorgio che incanta, sempre. “Ho gioia nel muovermi, sì…e credo fermamente in quello che disse un giorno il grande ballerino russo Nurejev: balla con me cinque minuti e ti racconterò la tua vita. E davvero  noi siamo il nostro corpo strettamente legato al cuore, all’anima. E la HDT riesce a coinvolgere corpo, mente, spirito”.

 

Il Maestro Rivari da otto anni svolge anche la propria attività all’interno del progetto promosso dall’azienda sanitaria  HPH per prevenire il burn out e che, successivamente, è stato aperto anche al pubblico. Nell’ambito di questo progetto Giorgio è coadiuvato anche da psicologi, insegnanti di educazione fisica e artisti.

Spinto sempre dal  grande desiderio di conoscere e di perfezionarsi nel suo campo, è partito alla volta della  Spagna, dove ha imparato il Ballet Fit, un nuovo metodo di ballo legato alla danza classica e, proprio di questa disciplina, è certificatore unico in Italia.

Quindi Giorgio Rivari, ce l’ha fatta: “Quando da bambino entravo e uscivo negli ospedali, non ho mia avuto esitazioni. I miei genitori erano preoccupati ma io sapevo che ce l’avrei fatta grazie alla danza, della quale io mi percepisco come un veicolo e quando sono a lezione mi dico che meno ci sono io più c’è lei”.

Ma è impossibile non accorgersi del Maestro Rivari quando insegna, quando si muove, fluido e flessibile, coinvolgente e appassionato, con il suo inseparabile baschetto alla francese.

 

Alessandra Fiorilli

A spasso per Vipiteno…

 

Annoverato tra i più bei borghi d’italia, Vipiteno-Sterzing, in provincia di Bolzano e nel fantastico e magico Sudtirol, ha un fascino che ti cattura appena cominci ad incamminarti verso il Corso principale, tutto inghirlandato di palazzi dipinti con colori pastello e di finestre tipiche della zona.

I tipici palazzi color pastello che danno il benvenuto ai turisti (Foto di Lorenza Fiorilli)
Uno scorcio dell’architettura tipica del Sudtirol  (Foto di Lorenza Fiorilli)
Particolare della facciata di un palazzo (Foto di Lorenza Fiorilli)

E quando sei lì, con lo sguardo che non sa dove posarsi,  e che volge ora verso i monti, ora verso gli abbaini, sembra di essere in uno di quei paesi descritti nelle favole per bambini.

Particolare delle finestre (Foto di Lorenza Fiorilli)
…come in un modo fiabesco…(Foto di Lorenza Fiorilli)

Lungo il Corso, dove si aprono i caratteristici portici,  svetta il simbolo del paese: la Torre dei Dodici, che divide la città vecchia dalla città nuova.

I tipici portici (Foto di Lorenza Fiorilli)
La Torre dei Dodici, simbolo di Vipiteno (Foto di Lorenza Fiorilli)

La catena delle Dolomiti che abbraccia Vipiteno, regala ai turisti un’aria cristallina, pura.

Scorcio dei monti che circondano Vipiteno (Foto di Lorenza Fiorilli)
Scorcio (Foto di Lorenza Fiorilli)

E quando sei lì non puoi fare a meno di pensare a quanto possa essere affascinante d’inverno, specie durante il periodo natalizio, quando vengono allestiti i tradizionali Mercatini di Natale nel Sudtirol, che si trovano anche a Bolzano, Merano, Bressanone, Brunico. E ti immagini anche la neve quando poi percorri la strada nel senso contrario, e prometti a te stessa che il saluto tributato a Vipiteno, è solo un “Arrivederci”

Alessandra Fiorilli

 

La magia di Settembre

 

Per me il nuovo anno non è mai iniziato il 1° Gennaio ma il 1° Settembre.

Forse perché in ogni fase della mia vita è sempre coinciso con qualcosa di nuovo da fare (che personalmente ha riguardato in particolar modo gli studi): è il mese in cui incominciava il nuovo anno scolastico e quindi c’era il diario da scegliere, i libri che profumavano di nuovo, l’aspettativa e la “paura” nei confronti dei nuovi insegnanti; poi è arrivata l’università con il nuovo anno accademico e i gli esami da sostenere; dopo ancora le prove da affrontare per diventare psicologa.

Foto di Lorenza Fiorilli

E’ sempre stato il mese in cui, da bambina e da adolescente, fantasticavo sul mio futuro e sui sogni che avrei voluto realizzare; e anche ora, che ho raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissata, Settembre mi dà sempre quella carica, quell’ottimismo e, a volte, quella sana incoscienza di incominciare nuovi progetti e affrontare nuove sfide.

Ma è cosi solo per me? Certo che no.

Settembre per molti è il mese di una “rinascita”, di un nuovo inizio: chi comincia (o ricomincia) ad andare in palestra; chi vive insieme ai propri figli la novità di iniziare un nuovo ciclo scolastico; chi, dopo le ferie, magari cambia ufficio o mansioni, o chi, semplicemente, ricomincia la propria routine quotidiana ma la affronta in modo nuovo. Perché non c’è bisogno di stravolgere la propria vita o di porsi obiettivi inarrivabili; basta guardare alle cose che già si hanno in modo nuovo, con più gratitudine e con meno atteggiamento critico. Il “nuovo inizio” non deve coincidere per forza con un cambio di lavoro, di città, di sport da praticare, ma può essere anche semplicemente interiore.

Se avete un obiettivo da voler realizzare, piccolo o grande che sia, o qualcosa che non avete mai osato mettere in pratica, per paura di non farcela o del giudizio altrui, questo è il mese giusto per farlo. Le cose nuove possono far paura, ma se affrontate con lo spirito giusto possono essere fonte di grandi soddisfazioni.

 

Sarà per il cielo così terso che ho l’impressione che sia più blu rispetto agli altri mesi, tanto che alcune volte mi incanto a guardarlo; sarà per quel mare cristallino e che luccica come se ci fossero migliaia di diamanti sparsi; sarà per quell’aria né calda né fredda, ma Settembre è il mese in cui anche l’impossibile mi sembra possibile…

Dottoressa Lorenza Fiorilli, Psicologa

“Flan parisienne”: quando la pasticceria francese incontra la storia…

 

 

Ciao, cari lettori di EmozionAmici!  Vi scrive il vostro Alessandro, sempre da Parig, città dalla quale sto inviando questi miei “reportage” gastronomici, scritti dopo aver assaggiato personalmente le tipicità d’Oltralpe.  Dopo aver visto la “mille feuille”, oggi vi parlerò di un altro dolce, poiché la Francia è famosa soprattutto per la pasticceria. Si tratta di una ricetta tradizionale: “flan parisienne”. La preparazione  è estremamente facile, infatti  è una crema pasticcera cotta su una base di pasta sfoglia o brisee con sopra una crosticina croccante ricavata dalla zucchero a contatto con il calore. Questo dolce unisce due nazioni:  l’Inghilterra e la Francia,  perché le sue prime tracce risalgono al lontano 1399, durante il banchetto organizzato in occasione dell’ incoronazione di Enrico IV d’Inghilterra. Questa variante esiste in tutto il mondo, anche in Portogallo e in Cina, dove la si trova in formato monoporzione, mentre in Francia e in Inghilterra viene presentata come torta che è poi divisa in fette, il cui costo è alla portata di tutti: 2,80 euro.

“Flan parisienne” nella foto di Alessandro Vellucci

Le cose migliore si scoprono nei mercatini e, soprattutto, nella periferia di Parigi, una città ricca di multietnicità.

Le prossime volte andremo in giro per le vie gastronomiche di Parigi.

A presto…il vostro

Alessandro Vellucci

 

Cronache di pasticceria francese: da Parigi parliamo del dolce “Mille feuille”

Ciao a tutti carissimi lettori, vi parla il vostro Alessandro direttamente da Parigi e nel suo giorno di riposo dal lavoro.

La “mille feuille”, anche conosciuta come “napoleon”…nella foto di Alessandro Vellucci

 

Oggi il protagonista della mia rubrica per “EmozionAmici” è un dolce che qui in Francia è un emblema e che  Italia è uno dei dolci più richiesti  e talmente diffuso nella nostra nazione,  da essere  in molti a pensare che sia tipico della nostra penisola. In realtà, la provenienza esatta di questo dolce è sconosciuta, anche se si hanno i primi cenni scritti proprio in Francia. Il suo nome è “mille foglie” in Italia e ” mille-feuille o napoleon”  nella terra d’oltralpe: è un dolce che si compone di tre fragranti strati di pasta sfoglia con un ripieno di crema pasticcera e  con una glassa di cioccolato. Anche nel modo in cui viene servito è diverso, se ci pensiamo bene, in Italia viene preparato soprattutto come torta per feste e ricorrenze varie come compleanni e matrimoni,  mentre in Francia  è diffusissimo in formato monoporzione, dalle dimensioni di un lingottino. Il gusto è paradisiaco e, per quanto mi riguarda,  rientra nella classifica dei cibi più nostalgici della mia infanzia. Le varianti sono infinite, così come il ripieno che può essere  di  cioccolato, di frutta secca, di fragole…

Parigi mi ha stupito sia per il cibo che, ovviamente, per i monumenti… ora capisco perché la chiamano la città degli innamorati: anche  se non ti innamori di una ragazza, ti innamori della “mille foglie”.

Un saluto e un bacione dal vostro Alessandro … da Parigi vi aggiornerò… a presto.

Alessandro Vellucci