Anima di carta

Foto di Nicholas Massa

Leggi per credere
di essere
quelle parole
che volano,
ti prendono da terra e
il mondo si fa piccolo,
distante anni luce mentre
il profumo della carta
si espande tutt’intorno.
Tu sei lì.
In quei posti,
nell’azione che trascina
alla prossima riga
scritta con l’anima di
chi vuole parlare… Parlarti.

È sottile questa mia anima di carta
che stringi fra le mani,
pagata e studiata.
Cerca di colpirti,
urla qualcosa esponendosi
leggiadra…
L’hai raccolta da terra,
e ripulita dalle tracce del mondo.
La fissi,
guardi la forma,
il colore,
senti la consistenza e non capisci…
Non capisci quanto sia delicata.

Nicholas Massa

L’incanto delle Alpe di Siusi…

L’emozione si siede già accanto a te nell’istante stesso in cui prendi posto nella cabinovia che da Siusi ti conduce, in circa 20 minuti, sull’Altopiano.

A valle sei già a quota 1000 e sai che arriverai fino a quasi 1900 metri, eppure non riesci nemmeno ad immaginare cosa ti aspetta in cima, dove si estende l’altopiano più grande d’Europa: 56 chilometri quadrati.

Nella cabinovia… (foto di Lorenza Fiorilli)
Il tratto che percorreremo…(foto di Lorenza Fiorilli)

 

E mentre t’incanti nel guardare il panorama che inizia lentamente ad abbracciarti,  vedi gli altri che passano dal lato opposto al tuo e li saluti, quasi come li conoscessi da tempo, da sempre, perché il condividere emozioni così forti ti fa sentire parte di un tutto.

Si diventa “amici” nel percorso e si saluta chi è dal  lato opposto al nostro…(foto di Lorenza Fiorilli)

Arrivare alle Alpe di Siusi è giungere in una dimensione che sta tra l’onirico e il surreale, perché sembra di essere protagonisti di un sogno e parte di un paesaggio che credevi esistesse solo nella favole.

La terrazza panoramica che ti dà il benvenuto, appena scesi dalla cabinovia (foto di Lorenza Fiorilli)

Appena scesi dalla cabinovia che quasi ti aspetti che da un momento all’altro sbuchi fuori il coniglio di Alice( la bambina del Paese delle Meraviglie)  e ti chieda di seguirlo…e tu gli dici di sì, lo segui quel coniglio immaginario, tanta è la magia che avvolge tutto il paesaggio circostante.

Lo spettacolo delle Dolomiti (foto di Lorenza Fiorilli)

E mentre ti incammini sui sentieri, non puoi fare a meno di pensare ad Heidi, la famosa protagonista dell’omonimo cartone animato…lei viveva con il nonno sulle Alpi svizzere e qui siamo in provincia di Bolzano, nella cornice dolomitica, ma le montagne si somigliano e quando ti entrano dentro non conoscono confini.

Allora comprendi così facilmente il motivo per cui la piccola Heidi piangeva a Francoforte, lontana dal nonno, dalle sue montagne, dai prati che si perdono a vista d’occhio, proprio come avviene alle Alpe di Suisi. Cartelli in legno  ti indicano i vari sentieri nei quali ti puoi addentrare, mentre baite sono sparse qua a là per poter rifocillarti.

L’aria è cristallina, non si sente altro che l’odore dell’erba e non  c’è altro suono che il fruscio del vento.

Prendiamo il sole su una sdraio, ma non riusciamo a tenere gli occhi chiusi  davanti a tanta bellezza del panorama dolomitico.

Il cielo che sembra spennellato da un pittore…(foto di Lorenza Fiorilli)

E quando vai via, non vorresti farlo e quel coniglio che credevi di aver incontrato, appena scesi dalla cabinovia,  sembra ti voglia trattenere… saliamo, alla fine, sulla cabinovia e ci voltiamo indietro fino a quando dietro di noi quell’alpeggio sconfinato scompare dalla vista,  pur se resterà per sempre impresso negli occhi, nell’anima, nel cuore…

Si sta per scendere a Siusi…(foto di Lorenza Fiorilli)

Alessandra Fiorilli

Consistenze…

Cari lettori, eccomi tornato alla “normalità” con una ricetta povera di grassi saturi ma gustosissima!

É classificato come un antipasto…perché l’ho chiamato consistenze?!

Bene, ogni volta che cucino voglio trasmettere delle emozioni alle persone che mangiano il mio piatto attraverso,in questo caso, varie consistenze preparate con la stessa materia prima e poi, parliamoci chiaro…se non si mette un pizzico di sana follia e tanta passione in quello che si fa, si sta semplicemente preparando del cibo, quindi ho deciso di prendere due elementi, in questo caso, delle zucchine romanesche a “kilometro 0” direttamente dal mio orto e del merluzzo.

Ho preparato la zucchina in vari modi:

1) una cotta al vapore aggiungendo solo del sale grosso e del pepe a fine cottura (poiché se la zucchina é di alta qualità non ha bisogno di condimenti extra)

2) un altra,l’ho fatta stracuocere per creare una salsa bella liscia e setosa.

3)l’ho saltata in padella per 2 minuti a fiamma alta

4)infine con un’ altra zucchina ho ricavato dei veli per realizzare l’involucro del mio “cannolo vegetale”

Dopo aver eseguito tutti questi passaggi, ci dedichiamo al merluzzo. Semplicemente si fa bollire in una pentola con latte,sedano,carota,cipolla,chiodi di garofano e noce moscata. Dopo averlo cotto si mette in una planetaria e si “monta” aggiungendo a filo un po’ di liquido di cottura e del buonissimo olio extravergine d’oliva e otterremo una farcia bella “areosa”. Disponiamo su un foglio di pellicola i veli di zucchina e mettiamo su di essi la farcia, arrotoliamo così da ottenere il cannolo vegetale.

Disponiamo gli ingredienti in base al nostro estro. Avremo un trionfo di verde in tutte le sue forme,consistenze e sfumature. Mi raccomando, in cucina non ci sono limiti: sbizzarritevi e sperimentate.

Un abbraccio, il vostro Alessandro

Anche il piatto fa la sua scena

Appunto, come ho detto, sbizzarritevi ad impiattare gli elementi in modo diverso.

Alessandro Vellucci

 

Difendiamo il cibo vero per difendere la salute. Prevenzione primaria e diagnosi precoce, terapie personalizzate contro il cancro alla mammella: ne parliamo con il Dottor Raffaele Leuzzi

 

C’è confusione tra prevenzione primaria e diagnosi precoce, è per questo che oggi proveremo a fare chiarezza parlandone con il Dottor Raffaele Leuzzi, Specialista in Oncologia Chirurgica e Senologia Diagnostica, il quale, in una precedente intervista, ci ha già chiarito la stretta correlazione tra alimentazione e progressione del cancro.

Il Dottor Raffaele Leuzzi

“Tra gli strumenti della prevenzione c’è prima di tutto il cibo e lo stile di vita, che dovrebbero essere visti con tutta la loro valenza preventiva. La prevenzione può, infatti, ridurre l’incidenza del cancro, mentre la diagnosi precoce  limita i danni del tumore riducendo la mortalità. E qui la differenza è grande, come si può ben capire”.

Lo strumento della diagnosi precoce per eccellenza è la mammografia digitale diretta o la 3D e anche qui occorre fare chiarezza sulla fascia d’età nella quale deve essere effettuata: Lo screening mammografico andrebbe effettuato dai 40 anni in su e non c’è un massimo d’età, quindi quando si leggono di fasce d’età diverse da quelle ora citate, è perché il Servizio Sanitario Nazionale offre uno screening che è un LEA, ovvero un livello essenziale di assistenza, dettato dall’interesse sociale e si basa sul rapporto costi/benefici. Il SSN effettua screening su una popolazione femminile apparentemente sana e asintomatica  per ridurne la mortalità nella fascia di età 50-69 anni. Ma le donne devono sapere che la diagnosi precoce è un bisogno che comincia prima strettamente personale e quindi volontario. Lo screening non prevede nulla a 40-49 anni e dopo i 69 anni, solo di recente alcune regioni praticano lo screening da 45 a 74 anni.  Non c’è un tetto massimo per il rischio di cancro al seno, se consideriamo poi che  l’età maggiormente a rischio è dopo i 40 anni, con picchi sui 55, mentre la mortalità più alta la si registra dopo i 64 anni, vediamo quindi come ci sono fasce di popolazione ad alto rischio non coperte dallo screening.”

Fattori di rischio per l’insorgenza di un tumore alla mammella sono essenzialmente tre, ma sono fattori di rischio immodificabili:  l’età, dopo i 40 anni, la familiarità e la struttura mammaria, struttura che si è profondamente modificata negli anni, come dichiara il Dottor Leuzzi: ” L’aspetto  radiografico della mammella deriva dalle caratteristiche delle sue componenti: tessuto adiposo ( radiotrasparente),  tessuto ghiandolare e stroma ( radio-opachi, densi ). Attualmente i seni densi si aggirano intorno al 50%  e questo tipo ha una prevalenza della struttura ghiandolare, quindi è più a rischio e maschera il cancro ostacolando la diagnosi precoce. I seni, invece, delle nostre nonne erano adiposi e grandi, mentre  oggi i seni sono medio/ piccoli perché l’adipe è diminuito ed è aumentata la componente ghiandolare. Per questo  la diagnostica strumentale sta cercando di andare incontro a questi cambiamenti del seno, prevedendo sempre l’ecografia dopo la mammografia e in casi selezionati alle mammografie con mezzo di contrasto iodato che consente di visualizzare la neoangiogenesi, la vascolarizzazione del tumore. “

La modifica della struttura del seno, prima adiposo e grande, ora più piccolo e denso, è da collegarsi ad alcuni aspetti, quali il tipo di dieta:  Il seno grande è più facile da analizzare perché risulta essere radiotrasparente, a differenza di quello piccolo che è radioopaco. Le nostre nonne, che seguivano la classica dieta  mediterranea con legumi, frutta, verdura, olio Evo, pesce azzurro, vino rosso con moderazione, pochissima carne e cereali non raffinati,  praticavano, senza saperlo,  una dieta  che le salvaguardava dal tumore. La dieta mediterranea, oggi ridotta a brand commerciale, dovrebbe essere il modello alimentare del futuro e non è un caso che nel 2010 è stata proclamata patrimonio immateriale  dell’Unesco, capace altresì, di contrastare le cosiddette malattie del benessere quali, oltre ai tumori, anche  diabete, obesità e patologie cardiovascolari. La dieta non è privazione ma è regola e questa  regola ci dice che dobbiamo prediligere frutta e verdura con filiera corta, a km zero, come si suol dire. La dieta mediterranea è biodiversità, è tutela del paesaggio, è cibo locale, del territorio in cui si svolge l’intero ciclo di filiera. Dovrebbe instaurarsi un’alleanza tra consumatori e piccoli produttori per assicurare che sulle nostre tavole arrivino prodotti  coltivati negli stessi luoghi dove poi vengono consumati. Via libera, dunque, alla dieta mediterranea con cereali non raffinati (che contengono sali minerali, vitamine e fibre)  olio E.V.O (extra vergine d’oliva), verdure, legumi, frutta secca, vino rosso con moderazione e pesce azzurro da consumare due volte la settimana. Concessa anche la carne, con un massimo di una volta la settimana ma che non provenga da allevamenti intensivi, da evitare gli zuccheri e grassi saturi, calorie vuote” dichiara il Dottor Leuzzi, il quale pone l’accento sulla differenza tra :”Cibo vero, quello naturale, stagionale, fresco, locale da agricoltura sana e da cucinare, con uso esclusivo di olio extravergine di oliva come grasso di condimento e cottura; cibo non vero, quello imballato, pronto, ultra-processato, che è insostenibile per l’ambiente e per la salute”.

Per quanto attiene al fattore familiarità, i tumori eredo famigliari sono tra il 5 e il 10% del totale dei tumori al seno, cosa fare, dunque? “ La donna, che in seguito a test genetici che mostrano modificazioni scopre l’alto rischio può prendere due decisioni: vivere con questa spada di Damocle, conducendo una vita da malata, anche se ancora non lo è, o decidere di sottoporsi a mastectomia e ovariectomia, ovvero la rimozione delle ovaie, perché i due rischi sono strettamente correlati. Due trattamenti, questi, ancora più devastanti della possibilità, in futuro, di ammalarsi di tumore alla mammella”. 

Quali sono altri campi di applicazione dei test di espressione genica? “La chemioterapia adiuvante, quella precauzionale dopo l’intervento non è necessaria per una grande proporzione di donne con carcinoma mammario allo stadio iniziale.

I risultati provengono da uno studio, che ha coinvolto più di 10.000 pazienti e testato il test di espressione genica che esamina l’attività per  21 geni.

L’applicazione di questo test nella pratica clinica risparmierà la chemioterapia nel 70% delle pazienti, con carcinoma mammario ormonosensibile, linfonodi ascellari negativi e profilo genetico HER2 negativo. ll test  si chiama Oncotype Dx , ed esamina l’attività di 21 geni in grado di dire qual è la terapia migliore e a chi  potrebbe essere risparmiata la chemioterapia e trarre giovamento dalla sola ormonoterapia.  I risultati sono stati presentati durante la sessione plenaria dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) in corso a Chicago.

Per concludere, la scelta di uno stile di vita più sano consentirebbe di prevenire più malattie di quanto non potrà fare la medicina tecnologica e di prevenire la medicalizzazione massiva delle persone. Il cibo consapevole ha valenza preventiva e terapeutica, in attesa di terapie sempre più personalizzate”.                                    

 

 

 

Alessandra Fiorilli

 

Pronti ad impiattare? Sì? Allora iniziamo con una salsa…

Cari lettori sono tornato questa volta senza un piatto o una ricetta, ma con alcune tecniche di impiattamento…Come tutti sappiamo, la cucina contemporanea si basa sopratutto sul mangiare prima con gli “occhi”  e, proprio per questo, oggi vi fornisco qualche idea  su come  impiattare  con una salsa di zucchine. Buona visione e… largo alla fantasia!❤

 

 

 

Alessandro Vellucci

 

Quando i profumi erano formaggi….

 

Si lo so, è un titolo assai curioso questo.. ma lo capirete se leggerete fino in fondo il mio articolo…

Ormai basta andare in pizzeria e notiamo bambini piccoli, che ancora non sanno parlare e camminare, che guardano video sullo smartphone dei genitori; nelle case ci sono fratelli che discutono per chi ha la precedenza a gareggiare con l’ultimo gioco della playstation; adolescenti che fanno a gara per scaricare l’ultima app da internet…

Tutti questi passatempi e giochi sono passivi: danno ai bambini e ai ragazzi già delle istruzioni sul come si vince, su come accumulare punti, su come sconfigge l’avversario.. Non sono i bambini i veri protagonisti, non tirano fuori le loro emozioni e la loro fantasia, non hanno modo di stimolare la loro creatività perché non creano loro il gioco, ma lo subiscono.

L’uso sempre più massiccio della tecnologia ha tolto molte cose ai ragazzi, e prima tra tutte, proprio la loro fantasia e creatività. Esse, invece, sono essenziali per il corretto sviluppo psichico del bambino, per il suo sviluppo cognitivo ed emotivo. Attraverso il gioco i bambini esprimono loro stessi, i loro desideri e le loro paure; mettono in atto, sotto un’altra forma, gli episodi che hanno vissuto nell’arco della giornata. Non a caso, l’osservazione di quali giochi adopera il bambino e di come li usa, viene impiegata dagli psicologi per capire se egli sta attraversando un periodo problematico o se soffra di qualche disturbo in particolare.

Una simpatica ed altamente esemplificativa foto scattata da Lorenza Fiorilli

 

Ma questo può avvenire solo se i bambini si comportano come tali, e cioè se ritornano a colorare, scarabocchiare, modellare pupazzetti con il pongo, costruire case e macchinine con i mattoncini colorati, disegnare faccine sui sassolini e formare una famiglia di sassi…

E’ vero, non si può tornare indietro, ormai i giochi tecnologici hanno preso il sopravvento; i ragazzi sono abituati ad avere tutto e subito, ma se i genitori e le insegnanti della scuola d’infanzia riusciranno a far amare di nuovo ai bambini la semplicità e riusciranno a far capire loro la bellezza di costruire e improvvisare una situazione di gioco, forse non tutto sarà perduto…

Io e mia sorella abbiamo avuto la fortuna di vivere la nostra infanzia qualche decennio fa, quando ancora nello zainetto dell’asilo non avevamo l’ultimo modello di cellulare ma il nostro peluche preferito; quando all’ora di pranzo non stavamo ognuno con la testa china sui tablet ma si mangiava e si parlava tutti insieme; quando, nonostante i nostri genitori non ci hanno fatto mancare mai nulla, giocattoli compresi, noi due preferivamo giocare con la nostra fantasia..

Si, ne avevamo tanta io e mia sorella; anche se lei è più grande di me di quasi sette anni, non l’abbiamo mai sentita questa differenza. Noi, che trasformavamo con la nostra creatività oggetti comuni in altri impensabili.. Come quando, a turno la mia o la sua cameretta, si trasformava in un negozio di formaggi che erano per noi due le bottiglie vuote di profumo di mia madre o della mia nonna materna (ecco qui spiegato il titolo del mio articolo!!). Chiedevamo a loro di non buttare le bottiglie perché noi le avremmo usate in un altro modo; quelle con una forma triangolare li facevamo diventare pezzi di parmigiano, quelle un po più “bombate” delle mozzarelle, e così via.. E a turno una di noi impersonava la cliente e un’altra la commessa del negozio..

E questo è solo un esempio di come ci divertivamo a creare noi la situazione di gioco e di quanto abbiamo usato la nostra fantasia; ma su questo potrei scrivere un altro articolo!!

Spero di non avervi annoiato, ma, al contrario, di aver suscitato in voi il desiderio di insegnare ai vostri figli o nipoti quanto sia più divertente giocare con delle bottiglie vuote piuttosto che uccidere mostri con il cellulare…

Lorenza Fiorilli

 

 

I colori degli anni ’60

Carissimi lettori, oggi concludiamo la carrellata di abiti tipici degli anni ’60.

Due abiti tipici degli anni ’60

L’abito rosso raffigurato ha una linea svasata, la lunghezza arriva fin sotto il ginocchio, ha una cinta arancione che riprende anche il colore delle bretelle.  Sono presenti due tasconi con bottoni neri. La scollatura è a barchetta, sotto le maniche e sotto l’orlo è  presente una decorazione fatta di piccoli quadrati uniti tra loro. La coroncina in fiori e le scarpe a stivaletto sono gli accessori principali.
L’abito giallo, è invece composto da due pezzi:  un pantalone e una camicia. Il pantalone ha una linea dritta, mentre la camicia ha una linea morbida. La stampa della camicia ha quattro colori, ovvero quelli più usati negli anni 60′, così come caratteristica dell’epoca era la coroncina di fiori attorno alla testa, come si vede anche dal mio bozzetto.

Per concludere degnamente, non poteva mancare l’abito da sposa di quegli anni con una scollatura a “barchetta”, una linea svasata, dove si aprono due piegoni chiamati “bugie”. Le scarpe sono a punta e hanno un laccio sulla caviglia dove vengono allacciate. La semplicità di questo abito lo rendono unico ed elegante.

…e l’abito da sposa…

Giulia Di Giacomantonio

Pendolare…

Foto di Nicholas Massa

Nell’attesa di una goccia,
il vento ammanta le idee e il freddo le congela,
una mattina nell’attesa,
dei ritardi con la nomea,
del menefreghismo sporco e lento,
delle tasse sui biglietti,
dei timbri,
delle corse ai posti liberi,
del caldo affollato e maleodorante,
delle chiacchiere senza fine,
delle telefonate senz’arte,
dei panini argentati,
dei libri studiati,
degli sguardi assonnati…
Attendo il prossimo treno.

Nicholas Massa

Silvano, Otello, Gabriele: i ragazzi degli anni ’60 a Nettuno

La guerra stava per terminare, o sarebbe finita di lì a poco, quando nacquero i ragazzi che sarebbero stati i protagonisti del Boom Economico, un periodo memorabile, senza eguali.

Avrebbero sognato sulle note dei cantanti americani più in voga dell’epoca, avrebbero dondolato sulle gambe per seguire il ritmo del twist, avrebbero ballato, guancia a guancia, con la ragazza per la quale avevano preso una cotta, avrebbero atteso il sabato e la domenica per incontrarla di nuovo, nella casa di quell’amico che aveva messo a disposizione la propria casa.

Anni mitici, anni che rivivremo grazie ai racconti di tre ragazzi degli anni ’60… sì, ragazzi, hanno se hanno passato la settantina da un po’: perché il loro animo è giovane, e perché serbano nel cuore tutta la passione di quel periodo irripetibile.

Loro sono, in rigoroso ordine alfabetico,  Silvano Casaldi, Otello De Santis, Gabriele Petriconi.

E quando cominciamo a parlare, i ricordi si fanno reali.

“La musica era cambiata molto in quegli anni, la prima rivoluzione l’aveva fatta già nel 1958 Domenico Modugno con il suo “Nel blu dipinto di blu”.  Poi arrivò Bindi, Celentano con il suo “24000 baci” e il rock dagli Stati Uniti. Ricordo che comprai il mio primo giradischi a rate e che lo mettevano nel cortile di casa così che tutti potevano ascoltare la musica e ballare”, racconta Otello.

 

Otello De Santis

 

“I dischi, a Nettuno, li si potevano acquistare in via Romana e in via Gramsci,, ma soprattutto a Roma e, se si voleva risparmiare qualcosa, li si comprava ai baracconi che si spostavano di paese in paese, in occasione delle feste patronali. Si potevano trovarne di usati, un po’ rigati, ma si risparmiava molto”, gli fa eco Silvano.

Silvano Casaldi

Musica e ballo, dunque, negli anni ’60, e dove c’era da ballare non poteva mancare Gabriele, il più “modaiolo” di tutti e tre:” Avevo la fortuna di avere una sorella che sapeva cucire, così potevo sempre seguire la moda, specie quella d’oltreoceano: infatti indossavo calzoni stretti, pettinino, portacerini, polsini in similpelle sulla camicia e persino un mantello. E così vestito non perdevo un’occasione per sfoggiare la mia capacità nel ballo”.

D’estate le terrazze mattonate si trasformavano in luoghi magici, dove i primi palpiti del cuore si fondevano con il gusto della libertà, e con quello dei biscottini e del vermouth che veniva spesso offerto ai ragazzi, come racconta Silvano, il quale a proposito degli abiti indossati dai ragazzi, dice: “Delle volte, però, era d’obbligo il vestito, specie nei ricevimenti nuziali, ricevimenti ai quali capitava spesso di “imbucarci” perché un amico di un nostro amico era stato invitato”.

E se durante il sabato e la domenica si ballava, nelle case, durante l’inverno e sulle terrazze d’estate “Ma anche qualche volta nelle grotte”, come dice Gabriele.

Gabriele Petriconi

Il resto del settimana ci si incontrava nei bar: “Dove ci si sfidava a biliardino, a flipper, ma anche a carte. I premi in palio potevano essere un caffè o, semplicemente, un pacchetto di caramelle”, come dice Otello.

Immancabile nei bar era anche il juke-box, perché la musica era parte integrate dalle vita dei giovani: “I famosi film con Gianni Morandi, i cosiddetti “musicarelli” non erano altro che la fedele ricostruzione di quello che veramente facevano noi”, dice Gabriele.

Non solo i bar, ma anche ogni spiaggia aveva i juke-box,  come ricorda Gabriele, il quale svela: “ Ballare faceva rima con conquistare, specie d’estate, quando, molti di noi avevano la classica storiella con qualche ragazza romane…e come dimenticare la Marciaronda, dove ci scambiavamo baci, appoggiandoci a quelle pietre che al sole diventavano bollenti.”

E sempre Gabriele, da modaiolo qual era, ricorda un particolare: “Quando acquistavamo i jeans ci tuffavano a mare vestiti per restringerli e poi li  scolorivano con i sassi  della prima diga, perché li volevamo così, effetto usato”.

Musica, batticuori, balli, voglia di stare insieme, terrazze, biscotti, vermouth, baci rubati, juke box, flipper e biliardino: quanta nostalgia degli anni  ’60, anche e forse soprattutto per chi non li ha vissuti, come me…

Alessandra Fiorilli

Il nuovo collaboratore di EmozionAmici è Carlo Belleudi

 

La rivista “EmozionAmici” da oggi si avvale di un nuovo collaboratore : Carlo Belleudi, classe 1999, studente del Liceo Musicale “Chris Cappell College” e con la passione per le sette note sin da quando era piccolo, una passione che lo porta a dire: “La musica è tutta la mia vita perché penso che sia il miglior modo per esprimere quello che provo”.

Carlo Belleudi mentre suona la sua batteria (foto per gentile concessione di Carlo Belleudi)

La batteria è il suo primo amore, ma: “Suono anche la chitarra, il pianoforte e il sassofono”.

Le sensazioni che Carlo prova sono talmente profonde ed intense da farlo sentire, quando suona:  “La persona  più forte del mondo. Un insieme di emozioni che non mi abbandonano mai, neanche quando finisco di suonare il pezzo”.

Una passione, quale per le sette note che Carlo condivide, dal 2017 con altri ragazzi, insieme ai quali ha fondato il gruppo “God Slap”, nato, come ci racconta Carlo: “A scuola, quando un giorno ci diedero da svolgere un compito strutturato per rivisitare, in chiave moderna, i pezzi dei Beatles. Dopo ciò,  gli insegnanti ci chiesero di esibirci anche l’ultimo giorno di scuola. Fu un’esperienza, questa, che ci piacque talmente tanto da pensare di continuare a suonare insieme. Così decidemmo di fondare un gruppo tutto nostro, gruppo che è composto da cinque elementi : basso elettrico, batteria, percussioni, tastiere, chitarra. Insieme ci divertiamo molto, e la passione che ci unisce è quello di suonare ciò che ci più ci piace”.

Il gruppo sta raccogliendo già  le sue prime soddisfazioni:  “Ci hanno contattato per diverse serate in zona e abbiamo suonato anche in giro per il Lazio” dice Carlo che nel 2013 ha partecipato al Concorso Internazionale per Musica da Camera, risultando 1° nella Categoria di Musica d’Insieme e  per 3 anni consecutivi ha conseguito un Master in Batteria presso Monte San Biagio.

Il momento delle prove per Carlo e i suoi colleghi:” E’  crescereè divertirsi con amici che hanno la tua stessa passione,  e con i quali condividi  momenti importanti della vita”, conclude Carlo che per la rivista  EmozionAmici ci parlerà appunto dell’evoluzione della musica, nonché ci regalerà suoi inediti come sottofondo a servizi video giornalistici che tra breve arricchiranno il nostro giornale.

Alessandra Fiorilli