I racconti di Mila e Pila. 1° Gennaio: il saggio camino- 2° Parte

Non ha pensato neanche per un istante che sulla tavola sarebbero stati messi due soli piatti.

Ha cucinato per me, per me che ho già la valigia pronta vicino allo scrittoio.

Però è triste la nonna, lo noto dai suoi movimenti più lenti ma è già tutto stabilito: domani mi verrà a prendere mio padre e tornerò con lui a Chicago.

“Nonna, il camino non è ancora acceso, posso pensarci io?” le chiedo con un tono di voce squillante, quasi per mascherare volutamente quel velo di tristezza che ho nel cuore.

“Prima però, bisogna andare a prendere la legna fuori perché ieri l’abbiamo consumata tutta”, dice la nonna con dolcezza.

“Va bene, allora prendo la mia giacca e vado alla legnaia” rispondo mentre imbraccio la cesta di vimini, dove metterò i grandi ciocchi di legna e quelli più fini, che servono per accendere il fuoco.

Fa freddo, oggi fa proprio freddo. però è una bella giornata di sole.

Rientro con il mio carico pesante e accendo il fuoco, sotto l’occhio vigile della nonna.

Sono brava, veloce e accorta, infatti, la fiamma non tarda ad accendersi.

“ Ludovica, la valigia l’ho già preparata io. C’è da sistemare dentro solo il pigiama che indosserai stanotte e gli indumenti di casa che porti addosso. Poi…è tutto pronto per domani” mi dice la nonna mentre sta mettendo le polpettine nella lasagna.

E continua dicendo:

“Sono stata molto bene queste settimane ma già da un paio di giorni la malinconia ha preso il posto dell’iniziale felicità. Già so che mi mancherai, una volta partita per Chicago, ancora  più di prima perché quando saremo lontane, avrò tanti bei ricordi che mi faranno salire le lacrime agli occhi”.

“Non essere così triste, nonna, altrimenti, lo divento anch’io. Abbiamo ancora tutto un giorno davanti da trascorrere insieme”, le rispondo cercando di tranquillizzarla.

“Un giorno…quando si vuole bene a una persona…è troppo poco, comunque, andiamo avanti con la preparazione del pranzo”.

I racconti di Mila e Pila. 1 Gennaio: il saggio camino-1° Parte

Ieri sera abbiamo visto da lontano i fuochi d’artificio che hanno fatto giù al paese.

E mentre abbiamo brindato ci siamo guardate negli occhi, promettendoci che niente avrebbe potuto dividerci, perché il nostro amore è più forte delle distanze, delle masse oceaniche, dei cieli solcati dagli aerei.

Eppure lo sappiamo entrambe che è difficile vivere separate a migliaia di chilometri di distanza però, delle volte, per non soffrire troppo, riusciamo a convincerci che sia proprio così.

Invece no, l’amore ha bisogno di abbracci, di baci, di coccole, l’amore è la quotidianità che diventa mai routine, l’amore è la prima colazione consumata insieme, il perfetto incastro tra la pasta che cuoce e la tavola che, nel frattempo, viene apparecchiata.

Ma dobbiamo sottostare alla legge del più forte, e in questo caso i più forti sono i miei genitori, dai quali tornerò domani.

Domani…è già di tempo di partenze, è già tempo di saluti.

Ma non voglio rattristarmi ancora, la nonna ed io ancora abbiamo l’intera giornata da trascorrere insieme.

Mi precipito giù in cucina ed è già al lavoro davanti ai fornelli.

Sta preparando la lasagna con tante polpettine e filante mozzarella, il pollo ripieno con le patate al forno.

Ha cucinato, durante queste festività natalizie, con la stessa passione e lo stesso amore di quando c’era anche il nonno, il papà e la mamma.

I racconti di Mila e Pila. 31 dicembre: il monopattino in legno e quello d’allumino- 5° Parte

 Hai ragione tu, io sono malmesso e non bello e perfetto come lo sei tu, ma ho tanti ricordi, ricordi di momenti di unione, di amicizia, di aggregazione.

Io nasco dalla volontà di un gruppo di bambini di divertirsi, nelle lunghe giornate estive, con poco. E allora ecco che il figlio della signora Mila disse ai suoi amici che era arrivato il momento anche per loro, di diventare degli inventori.

Pensarono di costruire un monopattino, e il materiale necessario l’avrebbero chiesto un po’ al falegname, un po’ al meccanico.

Qualche pezzo di legno, tre cuscinetti e voilà: ecco il monopattino pronto a sfrecciare per la discesa che dalla vallata porta giù al paese. Quanta gioia nei loro occhi e quanta soddisfazione nel vedere la loro opera completata con tanto ingegno e maestria!

Facevano a gara a scendere giù e si cronometravano a vicenda.

L’estate, quell’anno passò in fretta, anche grazie a me.

Poi, un giorno si accorsero che erano cresciuti un po’ troppo e con grande dispiacere mio e loro, finii nella cantina della signora Mila.

Quando sono triste, penso alla gioia che sono riuscito a regalare e mi torna il sorriso.

Ecco, ora puoi pure parlare”, disse il vecchio monopattino al nuovo mente si stava asciugando qualche lacrima.

Ma il nuovo monopattino stranamente non replicò nulla, si limitò solo ad abbracciarlo.

Poi si scusò per il suo atteggiamento pieno di boria e mettendosi in un angoletto gli chiese se poteva raccontargli qualche storia, proprio come fanno i nonni con i nipoti.

Ma soprattutto gli chiese di trasmettergli un po’ di quell’amore che ancora serbava dentro di sé, quando ricordava quei giorni d’estate trascorsi insieme ai ragazzi del paese.

 

I racconti di Mila e Pila. 31 dicembre: il monopattino in legno e quello d’alluminio-4° Parte

“Cosa c’è che non va, di cosa stai lamentando??” gli chiesi.

“Signora Mila, non faccia finta di non sapere che proprio sopra la mia testa, c’è un monopattino ultra-moderno che si sta dando un sacco di arie. L’ho sentito, sa ieri sera mentre si vantava!”

“Che cosa posso fare per te?” gli dissi.

“Portarmi sopra dal monopattino perché voglio proprio fare due chiacchiere con lui!”

Non seppi di no davanti alla sua richiesta e così presi il nuovo monopattino e lo portai nella sala, vicino al vecchio.

“Ma che fai, non sai che è da maleducati origliare?” disse il monopattino d’acciaio a quello di legno.

“E’ ancor più da maleducati vantarsi!” rispose il vecchio.

“Siamo in democrazia ed io dico ciò che voglio!”!

“Tu potrai pure dire ciò che vuoi ma quello che dici deve avere un senso!”

“Mica butto parole al vento io!”

“ E invece credo proprio di sì! Ti ho sentito, sai, mentre stavi lodando la tua scocca in alluminio e il fatto che riuscivi a dare tanta felicità ai bambini!”.

“Lo vedi, lo vedi che ho ragione. Quindi, secondo te, con me non si divertivano?”.

“Non lo so…” disse ciò mentre il monopattino d’alluminio si stava lucidando lo sterzo cromato.

“Ma guarda un po’ come sei screanzato! Ma cosa dici se non le cose non le sai. Mettiti qui vicino a me e ascolta, senza interrompermi, la storia che ti racconterò.

“Sua Maestà” il Basilico, Re del pesto genovese

Nel  nome, il destino: l’origine etimologica della parola basilico è legato alla regalità, infatti, significa “Erba del re”.

E come affermare il contrario? Come non attribuire alla pianta del basilico un ruolo di primo piano nella cucina mediterranea, un ruolo da re, appunto?

In un sugo leggero, sull’immancabile fresella estiva, sulla “panzanella”, su un pomodoro tagliato a metà…ma il suo trono, quello dal quale ha saputo affascinare le tavole di tutto il mondo, è il pesto.

“Sua Maestà” il basilico (foto di Lorenza Fiorilli)

Una salsa unica, semplice, che è stata celebrata oltreoceano nei primi anni ottanta del secolo scorso a New York, nell’ambito di una rassegna significativamente chiamata “The italian fancy food show”, lo spettacolo del fantasioso cibo italiano. Qualche anno più tardi, nel 1989, il rinomato quotidiano inglese “Sunday Times”,  ha esaltato il pesto in un articolo intitolato “A sauce called pesto”, una salsa chiamata pesto, dove è stata messa in grande evidenza la capacità dei liguri di saper coltivare il famoso basilico nei piccoli fazzoletti di terra ricavati grazie ai famosi terrazzamenti tipici della regione.

In realtà,  per il basilico, siamo debitori proprio agli inglesi, perché sono stati loro ad importare questa pianta, che nasce in Africa e nell’Asia Orientale, nel vecchio continente, di ritorno da uno dei tanti viaggi compiuti durante l’epoca coloniale.

Gli anni ’90 del secolo scorso vedono il pesto prendere la via del Canada, della Germania,  della Giordania e delle Hawaii, ottenendo ovunque lusinghieri consensi. Intanto i coltivatori liguri di basilico riescono ad ottenere l’ambito marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) proprio per tutelarne l’autenticità e per proteggerlo  da eventuali imitazioni e contraffazioni.

Il pesto che si fregia del marchio DOP, deve, però,  nascere dall’incontro del basilico coltivato nell’area tra Pra e Pegli (Genova), con l’olio extra vergine d’oliva, aglio e sale italiano, Parmigiano, Grana o Pecorino DOP e con i pinoli della pianta Pinus Pinea che cresce solo nell’area del Mediterraneo.

Se non disponiamo del basilico genovese, possiamo sempre usare anche quello che in molti coltivano nei vasi, sui balconi e sulle terrazze, ma per aver un pesto di buona qualità, bisogna seguire pochi ma necessari passi: usare il mortaio di marmo e il pestello in legno (l’ortodossia lo vuole di bosso), mai il frullatore, privare le foglioline di basilico della nervatura centrale, schiacciarle con aglio, pinoli, sale, aggiungere il Parmigiano (o Grana o Pecorino o entrambi in egual misura) e infine, l’olio extravergine d’oliva.

Il pesto è ora pronto per andare all’altare con trenette, trofie, linguine in un trionfo di sapori mediterranei.

Alessandra Fiorilli

 

 

I racconti di Mila e Pila. 31 dicembre: il monopattino in legno e quello d’alluminio-3° Parte

La nonna afferra dolcemente quel vecchio gioco di legno e accarezza, una a una tutte le parti di cui è fatto: su ogni parte c’è l’ingegno di mio padre, la sua ricerca di pezzi, le sue richieste al falegname per avere il legno, al meccanico per avere i cuscinetti.

E riflette: sì, la nonna riflette sui tempi andati, sull’infanzia di suo figlio, che ora è lontano ma che comunque è felice perché il suo lavoro gli piace così tanto.

Capisco che ha bisogno di un abbraccio ma lei, ancor prima del mio gesto, si trasforma della signora Mila per scacciare via quel velo di nostalgia.

“Signora Pila, non sa cosa mi hanno combinato questi due monopattini un po’ birbantelli!” dice la nonna.

“Mi racconti signora Mila sono proprio curiosa!” rispondo a tono.

La storia fantastica inizia così.

“ Proprio qualche giorno fa, mentre ero intenta a fare un po’ di pulizie nella cantina, sento una vocina un po’ indispettita dire queste parole:

“ Va dicendo che è bello, cromato, veloce, sicuro…che impertinente!”

Incuriosita, mi avvicinai agli oggetti custoditi in cantina, e notai che era il vecchio monopattino a parlare.

I racconti di Mila e Pila. 31 dicembre: il monopattino in legno e quello d’alluminio-2° Parte

“Nonna…”

“Ludovica, sai che non si parla con la bocca piena…”.

Ingoio quel delizioso boccone ricco di candidi e uvetta e, mettendomi vicino a lei per godere di quello spettacolo che la nonna offre quando è in cucina, le dico che non ho avuto neanche il tempo, in queste settimane trascorse al casolare, di tirar fuori quel monopattino cromato, che la mamma mi ha regalato poco prima di partire per l’Italia.

“ Vai in camera, allora, e fammi vedere come sei brava. Ma non credo proprio che potrai superare tuo padre…” lascia questa frase volutamente a metà per solleticare la mia curiosità.

“Mio padre, perché anche lui andava sul monopattino?” le chiedo corrugando la fronte.

“Certo, Ludovica, ed era velocissimo ma anche molto attento. Pensa che in tanti anni non è mai caduto, non si è mai sbucciato le ginocchia!” continua la nonna.

“Accipicchia…ed io che l’ho sempre immaginato, sin da piccolo, chiuso dentro un laboratorio…” dico mentre cammino su e per giù per la sala.

“Vai giù in cantina Ludovica. Appena entri, sulla sinistra c’è un piccolo aggeggio di legno, prendilo e torna su”.

Non me lo faccio ripetere due volte e dopo qualche minuto entro trionfante con quest’antico monopattino di legno, frutto della fantasia e dell’ingegno di mio padre.

Non posso resistere, vado su in camera mia e prendo anche il mio di monopattino, quello che la mamma mi ha regalato.

Buttare o non buttare? Questo è il dilemma!

 

Sarà capitato a tutti di fare le cosiddette “grandi pulizie”: svuotare e riordinare cantine, garage, ripostigli, cassapanche o scatole che non aprivamo da parecchi anni e che contenevano vecchi documenti o fotografie.

 E alzi la mano chi non ha mai pronunciato almeno una di queste frasi:Può sempre essere utile”, di fronte ad qualcosa che non abbiamo mai usato; “Lo avevo ancora conservato???  Non lo avevo già buttato?”, riferendosi ad un oggetto che la nostra mente non ricordava quasi più; “Beh, è ridotto male, ma è un ricordo di mamma/papà/nonno-a/zio-a/ cugino-a/ migliore amico-a” parlando di un vecchio regalo al quale teniamo particolarmente; “Si, come no! E io ci credevo pure!”, leggendo un bigliettino di San Valentino di un ex con su scritto “Insieme per sempre”; “Come sono invecchiato/a!” guardando una vecchia fotografia.

E quando ci troviamo di fronte a vecchi regali, biglietti di auguri, vestiti che non vanno più, ognuno di noi si trova a dover rispondere alla fatidica domanda: “Lo butto o lo conservo?”.

(Foto di Lorenza Fiorilli)

Sembra una cosa sciocca ma non lo è: di fronte a questa decisione entrano in gioco molteplici fattori, in particolare quelli emotivi. Ogni oggetto, che sia un vestito, un giocattolo di quando eravamo bambini, una cartolina, porta con sé tutte le emozioni, positive o negative, di quel particolare periodo o ci ricorda una persona che magari non c’è più. Ci si trova da soli, con quell’oggetto in mano e ci si sente dubbiosi sul da farsi.  Ma, alla fine, riusciamo sempre a prendere una decisione; e quando si decide di non conservarlo è perché facciamo appello alla nostra parte razionale oppure perché preferiamo tenere con noi il ricordo di quell’oggetto piuttosto che conservarlo fisicamente.

Quando invece prendiamo la decisione di tenerlo, l’importante è che l’oggetto in questione susciti in noi emozioni positive o che sia legato a momenti piacevoli della nostra vita, in quanto conservare cose che ci ricordano persone con cui non abbiamo più un bel rapporto oppure oggetti che ci rimandano ad un momento spiacevole può essere d’intralcio al nostro cambiamento.

In che modo? Ce lo spiega lo space clearing”, ovvero “l’arte di fare spazio”, una disciplina che mette in stretta relazione l’ordine esteriore con quello interiore; secondo i fautori di questa disciplina dovremmo tenere con noi solo cose utili o che, comunque, suscitano in noi ricordi piacevoli ed emozioni positive. Conservare oggetti inutili o che riportano alla mente ricordi negativi o spiacevoli può impedirci di affrontare e accettare i cambiamenti che la vita ci offre, in quanto accumulare oggetti superflui può creare un “ingombro interiore” e diventare una “zavorra emotiva” che ci tiene ancorati ad un passato che non ci appartiene più.

Tale disciplina chiama gli oggetti inutili o superflui “clutter”, e sono tutti quelli legati ad esperienze passate che ci procurano emozioni negative quali tristezza, malinconia o rabbia, oppure oggetti che ci sono stati regalati da persone che, per qualche ragione, vorremo dimenticare.

Fare ordine nei nostri armadi e cassetti, quindi non è una cosa così banale, ma ordine e cambiamento sono spesso legati; non a caso, quando stiamo passando un periodo di trasformazione, quale può essere la fine di una relazione amorosa, il trasferimento in una nuova città, o un cambio di lavoro, viene voglia di riordinare; questo perché quando facciamo ordine nella nostra casa, mettiamo ordine in noi stessi.

Dottoressa Lorenza Fiorilli, Psicologa

 

 

 

 

I racconti di Mila e Pila. 31 dicembre: il monopattino in legno e quello d’alluminio- 1° Parte

 

Si avverte già nell’aria il desiderio di tutti di iniziare un nuovo anno, di dare l’addio a quello vecchio e di stilare un resoconto dei 365 giorni appena trascorsi.

Il signor Luigi, che ci ha già portato dell’ottimo pesce in occasione della Vigilia di Natale, è già passato nuovamente per casa nostra perché quando scendo giù in cucina, la nonna sta imbottendo di mollica di pane, di capperi, di olive e di pomodorini le deliziose seppie che odorano di mare.

“Nonna, per primo c’è sempre il prelibato piatto di spaghetti allo scoglio?” le chiedo con l’acquolina in bocca.

“Stamattina non mi saluti neanche?” mi dice la nonna.

“Scusami!” e così dicendo l’abbraccio forte e le do un bacio lunghissimo sulla guancia.

“Se vuoi per colazione, c’è ancora quel panettone artigianale che abbiamo acquistato ieri al forno della signora Maria” mi dice mentre sta trafficando con lo snocciola olive.

“Nonna ma come fa la signora Maria a preparare dei dolci così buoni?! Si riesce a percepire in bocca ogni ingrediente eppure, lo stesso ingrediente è perfettamente amalgamato con l’altro!” le chiedo mentre sto tagliando una fetta grandissima di panettone.

“La famiglia della signora Maria si tramanda di generazione in generazione l’antico modo di lavorare il pane, la pizza, i dolci. Ma credo che il vero segreto di tanta bontà sia uno soltanto: l’amore che mettono nel loro lavoro!” mi risponde la nonna con infinita dolcezza.

Positano: tra miti e leggende, una bellezza che incanta il mondo intero

Quando ci si trova davanti ad una bellezza che sembra sfuggire ad ogni umana definizione, tanto  che nessuna parola è in grado degnamente di circoscriverla, allora, in nostro aiuto, giungono le leggende, dove spesso, il sacro e il profano  si intrecciano e  convivono felicemente.

Lo splendido panorama in avvicinamento a Positano (foto di Lorenza Fiorilli)

E’ il caso di Positano, uno tra i più caratteristici paesi che imperlano la meravigliosa costiera sorrentina ed amalfitana.

L’inconfondibile profilo d Positano (foto di Lorenza Fiorilli)

Il legame che la cultura italica ha con quella della Magna Grecia, lo ritroviamo in molte leggende che vedono come protagonisti paesi e città costiere del sud Italia, e anche Positano ne è una testimonianza: pare che il nome di questo centro marino,  arroccato sulle pendici dei Monti Lattari che si protendono verso il mare, sia legato al nome del dio del mare, Poseidone, il quale lo fondò in nome dell’amore da lui nutrito per la ninfa Pasitea.

L’Italia, però,  non è solo cultura classica ma anche cristiana, e la seconda leggenda sul nome di Positano è proprio legata all’effige della Madonna che si trovava su una nave, la quale fu colta da una tempesta proprio nei pressi della costa dell’attuale Positano e la leggenda vuole che i marinai sentirono la voce della Madonna dire loro: “Posa, Posa”, e la interpretarono come la volontà dell’effige di rimanere per sempre su quel tratto di costa.

Non è un caso che a Positano la chiesa più importante e anche quella universalmente conosciuta ed immortalata nelle foto, sia proprio quella dedicata a Santa Maria Assunta, la cui cupola è rivestita con le tipiche maioliche della zona. I colori sono il giallo e il verde, che ricordano il colore di un sole, il quale,  difficilmente, anche d’inverno, si scorda di baciare  Positano e il verde, che incornicia questo paese magicamente arroccato sulla roccia.

E i miti classici e le leggende avvolgono anche i tre isolotti ben visibili da Positano, noti con il nome di Isole Li Galli, o Le Sireneuse, per via della storia mitica che le vede protagoniste.

Le Isole Li Galli ben visibili mentre ci si avvicina a Positano (foto di Lorenza Fiorilli)
In lontananza, Le Isole Li Galli (foto di Lorenza Fiorilli)

Si narra, infatti, che proprio su quest’arcipelago formato da tre isolotti, Gallo Lungo, La Rotonda e La Castelluccia, vivessero delle Sirene, pronte ad ammaliare, con i loro canti, i marinai che transitavano  con le loro imbarcazioni. Sembra che di lì passò anche Ulisse, il quale riuscì a resistere alla soave bellezza di quel canto, facendosi legare all’albero della sua nave, evitando così il naufragio certo.

Di nuovo le Isole Li Galli (foto di Lorenza Fiorilli)

 

Le case bianche, i rampicanti, la spiaggia di Marina Grande, il colore di un mare che ti accoglie come in un abbraccio: tutto rende Positano un luogo magico, e non è un caso che il cartello di benvenuto reciti “Positano città romantica”.

La spiaggia di Marina Grande (foto di Lorenza Fiorilli)
Il cartello di benvenuto a Positano (foto di Lorenza Fiorilli)

A Positano sembra che l’estate non vada mai via: le foto che corredano questo mio articolo sono state scattate un fine novembre: chi potrebbe affermare, tranne che per la spiaggia priva di ombrelloni e di bagnanti, che mancasse solo  qualche settimana a Natale?

Alessandra Fiorilli