1860: a Napoli, nella centralissima Via Chiaia, nasce il Gran Caffè Gambrinus, la cui gestione passerà, nel 1890, a Mario Vacca, il quale volle fortemente che le sale del locale, ormai punto di ritrovo per i napoletani, venissero affrescate dall’architetto Antonio Curri, che aveva già decorato con la sua arte, formatasi alla Scuola di Posillipo, la Galleria Umberto I, poco distante dal Gambrinus.
Il nome del locale simbolo di Napoli , deriva da quello del Principe delle Fiandre Joannus Primus, considerato patrono della birra, bevanda, questa, non tipicamente partenopea, ma che salverà il Caffè Gambrinus negli anni ’70 del secolo scorso, quando il colera infesterà Napoli, come vedremo oltre.
La sua doppia anima, di Caffè Letterario al mattino e al pomeriggio, e di Caffè Chantant alla sera, farà del Gambrinus un punto di riferimento non solo per gli abitanti di Napoli, ma anche per i letterati, come Gabriele D’Annunzio, il quale durante il suo soggiorno nella città dominata dal Vesuvio, dal 1891 al 1893, proprio nelle sale affrescate del Gambrinus, dove s’ intratteneva, darà alla luce la poesia “A vucchella, “ successivamente musicata da Francesco Paolo Tosti e appezzata in tutto il mondo grazie alla voce del grande Enrico Caruso. Ai tavoli del Gambrinus amavano sedersi anche Benedetto Croce, Matilde Serao e Edoardo Scarfoglio, e questi ultimi, come si narra, ebbero l’idea di fondare il quotidiano “Il Mattino”, proprio davanti ad una tazzina di ottimo caffè.
Particolare di una Sala (Foto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
Non solo gli italiani, tra i quali anche musicisti come il compositore Pietro Mascagni, ma anche gli intellettuali stranieri subirono il fascino del Gran Caffè Gambrinus e delle sue sale: da Oscar Wilde al Premio Nobel per la Letteratura Ernest Hemingway, dalla Principessa Sissi al filosofo francese Jean-Paul Sartre.
Un’ altra Sala (Foto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
In tempi più recenti, il caffè Gambrinus è stato il luogo preferito da Maurizio De Giovanni, dalla cui penna sono nati i romanzi “I bastardi di Pizzofalcone”, poi diventati fiction di successo.
Il grande compositore Pietro Mascagni seduto al tavolo del Gambrinus (Foto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
“Ancora oggi il Gran Caffè Gambrinus accoglie ed organizza incontri letterari e presentazioni di libri, a testimonianza di un fermento culturale ancora così vivo”, dichiara Massimiliano Rosati, il quale, insieme agli zii materni Antonio e Arturo Sergio, gestisce il Gambrinus, che nel corso della sua storia centenaria ha conosciuto, almeno sino al lockdown dello scorso mese di marzo, una solo chiusura: “Nel 1938, quando che i gerarchi ritennero che i locali fossero un punto di incontro per gli intellettuali contrari al fascismo”.
I fratelli Arturo e Antonio Sergio con il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella (Fto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
Ma nel 1946 il caffè riaprì e da allora ha ripreso la sua storia, come se quella parentesi durata 8 anni, non fosse mai esistita per gli animi dei napoletani, per i quali il Gambrinus rappresenta: “Un motivo di orgoglio. Non è un caso che ogni qualvolta i nostri concittadini hanno un ospite in famiglia, decidono di fargli assaporare la vera anima napoletana, offrendogli il nostro caffè”.
Massimiliano Rosati (Foto per gentile concessione di Massimiliano Rosati)
Ma il Gambrinus non è solo sinonimo della bevanda simbolo di Napoli, ma racchiude in sé le tradizioni più care, come: “Il caffè sospeso e la più classica pasticceria”.
Anche il turista è attratto dagli storici locali: “In grado di scatenare in lui una forte curiosità” , turista che non va mai via senza aver gustato il caffè, che per Napoli è un sentimento”.
La tazzina di caffè (Foto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
E poi come non gustare il simbolo della Pasticceria napoletana come la: “Sfogliatella, che rappresenta la napoletanità nel suo essere e che ha avuto una svolta particolarmente felice dopo il 1994, anno in cui Napoli ha ospitato il G7. Non a caso, da allora, le nostre sfogliatelle, sia ricce che frolle, spesso insieme alla pastiera, sono spedite ogni giorno in tutto il mondo”.
Sua Maestà la sfogliatella (Foto per gentile concessione del Gran Caffè Gambrinus)
Dietro lo sfarzo delle sale da thè e alla ricchezza della pasticceria che fa bella mostra di sé, e al via vai continuo, ininterrotto di persone, c’è il sogno di un bambino, come ci racconta Massimiliano Rosati: “Mio nonno Michele, agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, rilevò la conduzione del locale assieme ai figli Artuto ed Antonio, i miei zii, e al genero Giuseppe Rosati, mio padre. Ecco… proprio nonno Michele, quando da bambino, passava per via Chiaia con suo padre, era attirato dalle vetrine appannate del Gambrinus e un giorno, profeticamente, disse al mio bisnonno che di vetrine ne avrebbe aggiunte altre, quando un giorno sarebbe diventato il proprietario del prestigioso locale: e così è stato. Ma prima di arrivare a realizzare questo sogno, la nostra famiglia ha dovuto affrontare il periodo buio dell’epidemia di colera del 1973, quando, a risollevare le sorti del locale fu la comunità di eritrei che abitavano a Napoli, e che facevano largo uso di birra da asporto, ovvero bevevano direttamente dalla bottiglia”.
E quindi quella birra di cui abbiamo parlato all’inizio dell’articolo, “E’ stata provvidenziale”.
Terminata l’emergenza sanitaria del colera, il Gambrinus ha conosciuto una crescita esponenziale, divenendo il locale preferito dei Presidenti della Repubblica Italiana, i quali, quando erano a Napoli non potevano fare a meno di gustare un caffè nello storico locale: “Negli anni ’80 Francesco Cossiga e poi, nel 2001 l’allora Capo di Stato Carlo Azeglio Ciampi che insistette per pagare il caffè. I miei zii all’inizio fecero resistenza, ma poi videro il grande appuntamento con la Storia: quello era il primo euro speso al Gambrinus. “.
Dopo decine e decine di anni di ininterrotta attività, sempre pronti ad accogliere i propri clienti, anche il Gambrinus ha dovuto chiudere nei mesi del lockdown in seguito all’emergenza sanitaria per il Covid-19: “Ci siamo sentiti come un treno in corsa che si è schiantato contro un muro. La cosa più sconvolgente di quei mesi è stato il silenzio, non solo ovviamente, nei nostri locali, ma in tutta Napoli, in tutta Italia. E in una città come la nostra il silenzio fa ancora più male perché per le vie, le piazze c’è sempre quel brusio piacevole che ti coccola e ti fa compagnia”.
Poi la riapertura e quel: “Finalmente!” pronunciato da tutti, eppure, mentre tutto riprendeva vita e le voci tornavano a salire: “Noi abbiamo ripreso a lavorare a testa bassa, così alacremente e con rinnovato impegno, da far nascere, nei nostri laboratori, un silenzio assordante: perché quello non era il momento di parlare, ma di ricominciare il nostro impegno quotidiano”.
Ringrazio Massimiliano Rosati per la sua disponibilità, la sua affabilità tutta napoletana e lo ringrazio per quei suoni, odori e sapori che è riuscito a rendere così reali e vicini attraverso le sue parole, le sue descrizioni di Napoli, della gente, delle personalità, dei turisti, che nel corso degli anni sono entrati al Gambrinus, dove anche la Storia si è seduta al tavolo per sorseggiare un ottimo caffè.
Alessandra Fiorilli