Ci sono dei piatti che non sono soltanto delle pietanze da gustare, ma custodiscono immagini care, capaci, talvolta, di riportarci indietro in tempo.
Chi non ha mai assistito, da bambini, alla preparazione degli gnocchi, con la nonna dal grembiule ombrato di farina? E quante volte abbiamo guardato, incantati, il sapiente movimento delle mani che impastavano con passione semplici ingredienti?
E poi, avremmo sicuramente chiesto alla nonna di aiutarla: eccoci, dunque, forchetta alla mano, ad imprimere su quei piccoli cilindri di pasta, la forma della forchetta, in modo che quelle “rughe” avrebbero assorbito, voluttuosamente, il sugo con il quale sarebbero stati conditi.
Tanta è la poesia che si cela dietro gli gnocchi, da essere considerati non un semplice formato di pasta, ma una famiglia a sé, come confermato dal grandissimo gastronomo e scrittore Pellegrino Artusi, nella sua opera summa “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.
Preparati con le patate, con il semolino, come quelli detti alla romana, o con una semplicissima pasta choux, o pasta bignè, a base di sola farina ed acqua, sanno dominare la scena, anche se il loro condimento è semplice, come richiede la tradizione.
Degli gnocchi si ha notizia già dalla seconda metà del Cinquecento, ma due secoli più tardi arriveranno ad essere annoverati tra i piatti preferiti dai nobili, che sceglieranno di condirli con sughi ricchi e corposi.
A Roma questo piatto è legato un preciso giorno della settimana, quello del giovedì e questa tradizione affonda le sue radici nella cristianità, che vuole il venerdì “di magro” e quindi, un bel piatto di corposi gnocchi mangiati il giorno precedente, rende il povero pranzo del venerdì più sopportabile.
Nella Capitale non è raro trovare tipiche trattorie che ancora seguono questo rituale legato ad una tradizione particolarmente sentita nel secolo scorso.
Regione che vai, giorno dedicato agli gnocchi che trovi: in Campania si servono di domenica, conditi con un semplice sugo al basilico e mozzarella e, se gratinati al forno, prendono il nome di gnocchi alla sorrentina per il particolare connubio di sapori tipici della costa mediterranea come l’odoroso basilico.
Nell’Italia del nord si preferisce condirli con il burro e la salvia, come era soliti mangiarli durante il Rinascimento, e portarli in tavola il venerdì.
Gli gnocchi non disdegnano, come loro compagni, neanche lo speck, le noci, i formaggi.
E quella corposità che avverti appena li porti alla bocca, sono tra le cose più buone che la cucina italiana è in grado di regalarci.
Alessandra Fiorilli