Sono trascorsi esattamente undici mesi e quattordici giorni dalla nostra partenza per Chicago.
Con nonna Angela ci siamo sentite spesso per telefono e lei, per starmi il più possibile vicino, ha anche imparato a usare la posta elettronica.
“Ma non è la stessa cosa che stare con te, seduta vicino al nostro camino….”
Chiudeva sempre con queste parole (o qualcosa di simile) le sue mail: anch’io la pensavo allo stesso modo ma non l’ho mai detto alla nonna che, una volta spento il computer, mi veniva da piangere e mi sentivo triste, come quel pomeriggio di qualche anno fa, quando mi misi alla finestra e assistetti alle felici corse delle altre bambine vestite con gli abiti del Carnevale.
Subito dopo aver comunicato con nonna Angela per telefono o dopo aver letto e risposto alle sue mail, io mi avvicinavo alle grandi vetrate del nostro bellissimo appartamento in centro e guardavo fuori.
Ma non c’erano i nostri pini che si piegavano secondo la volontà del forte e anche il camino che avevamo trovato in casa era molto, troppo diverso da quello che c’era nel nostro casolare.
Quello di Chicago era un buco nel muro, non aveva qual gradino fatto di mattoncini, dove potersi sedere.
E poi, poi, quel camino, non l’abbiamo acceso mai, così come la mamma ha solo raramente usato il forno della cucina che non ha mai ospitato una pizza fragrante come quelle che mi preparava nonna Angela.
Ma non sono mai stata dispiaciuta per ciò perché, tanto lo sapevo bene, che quella fiamma del camino non sarebbe stata la stessa di quella che ondeggiava nel camino della nonna.
E allora, in preda alla nostalgia, mi mettevo davanti alla nostra vetrata e ci alitavo sopra.